Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 48 - gennaio 1994

smo inefficienza e incompetenza nella gestione della formazione. La formazione deve diventare una delle strategie di riforma nel nostro Paese. Infine, l'ultimo tipo di disoccupazione, quella che viene detta dagli economisti «frizionale». Si tratta della disoccupazione necessaria al funzionamento del mercato, richiesta dal suo stesso funzionamento. È quindi una disoccupazione del tutto fisiologica, che tende ad aumentare nei sistemi economici in cui aumenta la mobilità professionale e ogni persona cambia più volte lavoro nell'arco della sua vita. È la realtà che va imponendosi anche in Italia. Anche per questo tipo di disoccupazione è possibile fare qualcosa, che migliori il funzionamento del mercato, ne aumenti l'efficienza. Penso, in particolare, alla riforma del collocamento, per trasformarlo da istituto burocratico ad agenzia di informazione ed orientamento sul territorio, che sfrutti le potenzialità dei mass media e coinvolga le imprese, la scuola, il sistema formativo e gli enti pubblici. 4. Vincoli e obiettivi di un programma (... per chi non crede alla «fine della storia») Se questo è il quadro della realtà della disoccupazione, è evidente che i suoi molteplici significali impongono di definire una strategia multiforme per combatterla. Tale strategia deve tener conto dei vincoli economici e sociali, che oggi sono più stringenti di I / .{)!LBIANCO ~ILROSSO • u,i--s, •a;J pochi decenni fa. In primo luogo il vincolo della competitività internazionale. Ma la competitività di un Paese dipende anche dalla produttività e dalla qualità della produzione e quindi dalla capacità di investire e di innovare. Il secondo vincolo è dato dalle strozzature del processo di sviluppo e dalle compatibilità che questo deve rispettare o rigenerare. Molti mercati sono saturi e comunque l'utilità dei loro prodotti è ormai drasticamente ridotta; molti prodotti generano contraddizioni tra l'utilità individuale e quella collettiva e, a lungo andare, risultano incompatibili con i vincoli ambientali (si pensi al mercato delle automobili). Lo sviluppo ha generato i suoi stessi limiti. Anche da questo punto di vista ci sembra di primaria importanza che i paesi avanzali investano nella ricerca e esprimano capacità di innovazione: società democratiche e di libero mercato devono dimostrarsi all'altezza di questo compito. In conclusione non mi sembra che si possa dichiarare esaurito il programma di sviluppo delle società e delle economie occidentali. Non possiamo rinunciare alla crescita delle economie, a meno che non si accetti di divenire più poveri, non solo in termini individuali, ma anche collettivi. E c'è da ritenere che, a livello sociale e di riforme politiche, in una situazione di ristrettezza, di minore disponibilità di risorse, sia più difficile anche praticare una vasta solidarietà, dare vita ad un nuovo patto nazionale, assicurare i servizi fondamentali, sviluppare prestazioni per i più svantaggiati. Non possiamo rinunciare a perseguire aumenti di produttività. In caso contrario ci ritroveremmo più chiusi sulla scena internazionale I come sistema economico prima di tutto, ma non solo. I processi di integrazione internazionale ci obbligano ad un confronto che richiede adeguati comportamenti, ma questo induce dinamismo rimescolando situazioni consolidate, rendite ingiustificate. Ma non possiamo neanche rinunciare agli obiettivi di benessere, di nuova qualità della vita ed equità sociale. Piuttosto si tratta di accettare che questi obiettivi siano declinati in forme nuove, consapevoli che i problemi del benessere oggi sono in gran parte problemi di qualità della vita, e che obiettivi di equità sociale richiedono di ri· definire le forme di tutela dei diritti, di riorganizzare la divisione del lavoro, di ridisegnare le competenze dello Stato e quelle del mercato. Il problema della disoccupazione, in ultima analisi, sta dentro questa tensione, un po' sintomo delle difficoltà che il programma di sviluppo delle società occidentali incontra, un po' l'effetto più maturo del dispiegarsi di quello stesso programma. La soluzione non può che essere cercata dentro una strategia di riproposizione e di rinnovamento di quello che potremmo definire il miglior «modello europeo»: conciliare le ragioni della crescita e quelle dell'equità, le ragioni dell'economia e quelle della società. /( --r--- ' ) J I I / .,•'1 _,,,,., - --:."'· .· / l 44

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