Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 48 - gennaio 1994

D!LBIANCO ~ILROSSO 111,;.i§t, a ;1 Illavorocomeemergenzamondiale: quattropuntidi strategia p er quanto riguarda il lavoro e le sue prospettive la prima cosa da dire è che è inutile illudersi. La ripresa quando verrà di posti di lavoro ne creerà pochi. Porterà dei miglioramenti sul versante dei redditi e dei consumi. Ma non su quello del lavoro. La spiegazione è semplice. Nei paesi ricchi (e quindi anche in Italia) l'industria continua a ridimensionare il suo peso. Il fenomeno è profondo ed irreversibile. I settori dei servizi e del lavoro autonomo non sono più in grado di assorbire, come per il passato, la manodopera eccedente espulsa dall'agricoltura e dall'industria. Anche il terziario tende a dimagrire. Per avere un'idea si pensi ai problemi di ristrutturazione della Pubblica Amministrazione di cui si sia discutendo in Italia. Ma anche fuori dell'Italia le tendenze in allo inducono a riflettere. La compagnia aerea Swissair (per fare un solo esempio) ha deciso di spostare a Bombay la propria contabilità. Questa decisione fa intuire quali effetti devastanti potrà avere nei prossimi anni, grazie alle reti telematiche, il decentramento dei servizi e non più solo dei prodotti. In Europa i disoccupati sono ormai 20 milioni. Previsioni concordi ritengono che il prossimo anno potrebbero aumentare di altri due milioni. È un esercito che non preme più ai cancelli delle fabbriche (come profetizzava Marx). Ma assedia, di fallo, i governi di tutta Europa. Chi perde il posto di lavoro non perde anche il diritto di volo. E poiché a perdere il posto di lavodi Pierre Carniti ro non è più solo la manodopera meno qualificata (con scarso peso politico) ma anche e sempre più gli impiegali, i tecnici, i quadri, ecco che anche i governi conservatori incominciano a preoccuparsi di come si comporterà questo esercito, se la ripresa (quando verrà) dovesse premiare solo chi ha avuto la fortuna di conservare il posto di lavoro. Questo spiega perché la Francia e la Germania hanno assunto l'occupazione come la principale emergenza nazionale. Questo spiega inoltre perché il conservatore Balladour ha condiviso la proposta delle 32 ore settimanali del socialista Rocard. E perché in Germania la Volkswagen ha concordato con i sindacali la settimana di 4 giorni (di 28,8 ore) con una riduzione dei salari di circa il 10 per cento ed una diminuzione degli orari di oltre il 20 per cento. Insomma in tutta l'Europa il dibattilo è vivace, al limite dell'utopia, ed investe i progetti di società futura e gli stili di vita. In Italia no. Rimane sollo tono. Noi guardiamo al dibattilo francese e tedesco con ingiustificato distacco. Alcuni autorevoli rappresentanti dell'imprenditoria e della Confindustria si sono limitati a dire banalità come «ma loro non hanno la Cassa Integrazione». Quasi che un ammortizzatore sociale fosse una soluzione ai problemi della disoccupazione crescente. Alla perdita o alla mancanza di lavoro che comporta: traumi personali e familiari; costi economici, sociali e politici. Costi che hanno ormai superato ogni soglia di tollerabilità. Da noi non è in discussione nessuna vera proposta. Ogni tanto pseudo ri38 medi vengono contrabbandati per medicine miracolose. All'inizio dell'anno, ad esempio, la Confindustria chiedeva a gran voce la riduzione dei lassi di interesse assicurando 150 mila nuovi posti di lavoro per ogni punto di riduzione. Da allora i tassi di interesse sono diminuiti di quattro punii, ma la disoccupazione invece di diminuire è aumentala. Intendiamoci, c'erano e ci sono eccellenti ragioni per abbassare il costo del denaro. Ad incominciare dal fallo che si riduce il peso degli interessi sulla montagna di debito pubblico che abbiamo accumulato. Ma l'idea che ci possa essere una relazione meccanica e parallela Ira abbassamento dei tassi e riduzione della disoccupazione è solo una estemporanea invenzione confindustriale. Lo stesso si deve dire a proposito della flessibilità o del blocco dei salari presentali, in altrettante campagne, come ricette miracolose per migliorare la situazione del!'occupazione. Le politiche di flessibilità, più che un amumento dell'occupazione, di solito determinano una riduzione dei salari. Perché tendono a sostituire lavoro proietto con lavoro precario. Intendiamoci, questo non significa che non dovevano essere abbandonate alcune rigidità. Che ingessavano il sistema produttivo e costituivano un ostacolo per lutti quelli (e non sono pochi) che desiderano lavorare, ma possono farlo solo a determinate condizioni. Ma ormai in Italia ed in Europa di flessibilità ce n'è anche troppa ed ogni ulteriore misura in questo campo serve solo a diminuire il grado di tutela del lavoro. Con effetti depressivi sulle dinamiche

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