{) .!J, BIANCO ~ILROSSO Pi•iil•U IlPartitopopolarefraduepoli: o sceglieonasceràsconfitto di Pietro Scoppola a nascita del Partito popolare sulle ceneri della Democrazia cristiana, così come si annun- L eia, non è un grande elemento di chiarezza nel quadro complesso e confuso della politica italiana. Per definire una linea politica non basta la scomunica dei cosiddetti «centristi» (che in realtà vogliono aprire «a destra» alla Lega e a Berlusconi), quando poi il richiamo al Patto Segni reintroduce dalla finestra quella stessa prospettiva che è stata scacciata dalla porta. L'idea di essere alternativi, insieme e con pari fermezza, al Msi, alla Lega e a Berlusconi da un lato e alla sinistra italiana dall'altro somiglia più a un suicidio politico ed elettorale che a una proposta politica. Nè Sturzo, né De Gasperi, né Moro hanno mai concepito il centrismo come una geometrica equidistanza, ma sempre come una iniziativa politica diretta ad allargare gli spazi della democrazia e a coinvolgere destra e sinistra (come partiti e come elettorati) nell'area democratica: l'assillo di De Gasperi negli ultimi anni di vita era proprio quello dei troppo stretti spazi di ricambio della democrazia italiana. Oggi invece, per ricreare gli spazi di un centro che la riforma elettorale ha messo radicalmente in crisi, per restare in una posizione di equidistanza, il Partito popolare sarebbe costretto a spingere verso posizioni estreme sia la destra italiana che la sinistra, chiudendo la porta a quella prospettiva di alternanza che è stata l'elemento di forza della mobilitazione dei cittadini nei referendum elettorali. Esemplare in proposito la intervista che il filosofo Buttiglione - nuovo consigliere di Mario Segni e forse anche di Mino Martinazzoli - ha rilasciato a «La discussione» del 25 dicembre scorso: per fondare l'ipotesi centrista egli deve appunto negare l'esistenza di spazi democratici e costituzionali a destra e a sinistra. Un centri29 smo così teorizzato, dentro un sistema non più proporzionale ma maggioritario e contro la realtà della maturazione complessiva dell'elettorato italiano, significa un forte elemento di freno, anzi un arretramento nello sviluppo della democrazia. Così non si raccoglie il frutto di quel processo di crescita del quale la Dc è stata la principale artefice, ma lo si contraddice e se ne annullano gli effetti. Gli eredi della Dc sono di fronte a una scelta non facile ma necessaria. Possono proporre, sul modello tedesco, un ruolo al nuovo partito, alternativo alla sinistra: ma devono in questo caso misurarsi con la realtà di una «destra sbagliata» cui proprio le incertezze della Dc hanno dato spazio - rappresentata da quell'insieme di forze che si chiamano Msi, Lega e movimento berlusconiano di «Forza Italia» per riconquistare l'elettorato, e per far questo devono inevitabilmente fare i conti con queste forze, stabilire una qualche forma di intesa elettorale. Devono cioè in questa ipotesi tirare la destra verso il centro e non spingerla verso posizioni estreme per avere uno spazio libero al centro del sistema. Una impresa non facile nella quale tuttavia si può impegnare chi si sente ad essa chiamato o ha interesse a farlo. Possono viceversa, gli eredi della Dc o una parte di essi, contribuire a costruire una moderna e credibile sinistra di governo. Questa impresa comporta, a sua volta, la necessità di misurarsi con la realtà della sinistra italiana con le sue incertezze e ambiguità: il Pds, che proprio per questo disegno è nato, recalcitra all'ipotesi di ritrovarsi con avversari a sinistra, teme una rottura nella sinistra italiana. Le difficoltà sono molte ma non si comprende come quella sinistra democristiana che sotto la guida di Aldo Moro, concepì e realizzò la politica di solidarietà nazionale, coin-
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