D!LBIANCO Oil, ILROSSO Mikiiliii Unprogrammiastituzionale per il Poloprogressista di Augusto Barbera - 1polo progressista di Governo, così come il co- l stituendo polo moderato, si trovano entrambi a dover segnare una discontinuità profonda con la lunga tradizione costituzionale italiana che è stata contrassegnata o da crolli di regime o da pratiche trasformistiche, che ha conosciuto sì mo- - dernizzazioni politiche o lenti ricambi di ceto politico, ma mai attraverso la vittoria di uno schieramento sull'altro. Si è sempre proceduto attraverso la cooptazione del nuovo nel vecchio dal connubio tra Cavour e Rattazzi, al trasformismo della «rivoluzione parlamentare» di Depretis alle innovazioni di Giolitti dopo il discorso di Dronero (1902) fino al centro-sinistra e alla solidarietà nazionale. L'89 ha però consentito di superare le ragioni della scelta consociativa di questo dopoguerra: il mondo non è più diviso in due, si sfaldano le vecchie «appartenenze», è cresciuta sempre più la mobilità del voto, cadono i cechi steccati. In questo contesto non credo che settori della società italiana temano realmente la vittoria della sinistra più di quanto settori di quella britannica temano quella laburista. Nonostante alcuni eccessi di polemica politica, utilizzati ad arte da chi vorrebbe a tutti i costi ricostruire un «centro» contro gli opposti estremismi (di cui la democrazia non ha oggi bisogno) dobbiamo riconoscere che tra le principali forze in campo vi è una comune accettazione dei valori liberaldemocratici, ovvero, se questo non convince tutti, si può dire che le forze politiche che si dispongono lungo l'asse destra-sinistra si ritengono portatrici di «verità parziali»; nessuno ritiene (per fortuna) di avere le chiavi per aprire le porte della storia. Ci si divide molto più prosaicamente tra chi accentuerà più l'uno o l'altro polo della dialettica fra autorità e libertà, tra valorizzazione delle differenze e promozione dell'eguaglianza, tra competizione e solidarietà, tra libertà d'impresa e diritti dei lavoratori, tra «spontaneità» del mercato e esigenze di regolazione dello stesso, tra deci21 sione e partecipazione; in breve, tra conservazione e cambiamento, tra scommessa sul futuro e gestione del!' esistente. Se questo è vero, se l'Italia ha i presupposti per divenire una democrazia maggioritaria non si potranno eludere nella prossima legislatura riforme costituzionali proprie del «modello Westminster» che dovranno essere progettate dentro uno «spirito costituente» senza rigidità di parte. Tuttavia il polo progressista ha il dovere di enucleare prima del voto le proprie posizioni di partenza. In primo luogo abbiamo bisogno di un meccanismo elettorale ed istituzionale che ci conduca più limpidamente di quanto possiamo fare stavolta alla scelta diretta di una maggioranza e del suo leader, recuperando per alcuni versi il modello della legge sul sindaco. Penso ad una sensibile riduzione della quota proporzionale nella legge elettorale della camera dal 25% al 10% destinando il 15% dei seggi così liberato ad un «premio di Governo». Immaginerei infatti un secondo turno su lista nazionale in cui il capitalista sarebbe il candidato Premier ed in cui ai vincenti dovrebbe andare il 15% dei seggi della Camera, eliminando così quasi del tutto i rischi di «coabitazione» tra un Premier ed una maggioranza di carattere opposto. In secondo luogo mi sembra necessario un «bicameralismo ineguale» con la seconda Camera trasformata in Camera delle Regioni a partire da due modelli di riferimento, quello del Senato spagnolo e quello del Bundesrat tedesco. È una scelta inevitabilmente conseguente a quel!' opzione per il «regionalismo forte» che sarà l'eredità principale della Bicamerale di questa legislatura. In tutti gli Stati che hanno fatto una scelta di tal genere non si è potuto infatti fare a meno di una sede istituzionale di raccordo tra competenze dello stato e delle Regioni. Penso poi a due mutamenti simmetrici per stabilizzare la logica del «modello Westminster»:
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