Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 48 - gennaio 1994

{) ,!.LBIANCO ~ILROSSO liikiiiit;i trasformarsi in partito nazionale, o dall'Msi se abbandonerà formalmente le proprie radici fasciste, o dal Partito popolare formato sia dal movimento di Segni sia da una parte della vecchia Dc (se accetterà pienamente la logica del sistema elettorale maggioritario), o dai club «Forza Italia» proposti da Berlusconi, o, più probabilmente, da una combinazione di alcune di queste forze. Ma ognuno di questi «progetti» presenta difficoltà rilevanti, anche se non insormontabili. La Lega, che pure rappresenta potenzialmente il candidato più agguerrito a guidare l'area di centro-destra, non riesce a conseguire risultati elettorali apprezzabili al di fuori della Padania. Per trasformarsi in partito nazionale e stipulare alleanze con gli altri soggetti della destra liberaldemocratica, la Lega dovrebbe abbandonare le suggestioni secessioniste e accettare senza equivoci l'intangibilità nazionale e diventare più esplicitamente il rappresentante politico di individui e gruppi identificabili più su base sociale (lavoratori autonomi, persone che non dipendono dallo Stato per il proprio reddito, abitanti dei centri piccoli e medi) che su base geografica. Ma la proposta di costituzione federalista fatta da Bossi al pre-congresso di Assago, che configura una labile confederazione di tre stati sovrani, preclude la possibilità di alleanze, che pure sarebbero possibili sulla base di priorità programmatiche come lo sviluppo del libero mercato, la riforma fiscale, l'imposizione di un tetto alla spesa pubblica, ecc. L'Msi, pur rendendosi probabilmente conto che per crescere deve diventare moderato, ha tuttora handicap ideologici non facilmente superabili, nonostante i gesti simbolici come l'omaggio di Fini ai morti delle Fosse ardeatine. Finché non ripudia formalmente le proprie radici fasciste (magari facendo nascere alla sua destra una sorta di rifondazione missina), il Msi non ha possibilità di crescita al Nord, dove il ricordo della Resistenza è fortunatamente ancora vivo. La DcPartito popolare continua a coltivare il sogno del partito di centro e dell'unità dei cattolici e è segnata dal conflitto tra i rinnovatori e i vecchi leader clientelari. Il movimento di Segni non ha an16 cara scelto se vuole diventare l'ala destra dello schieramento progressista (come io personalemente continuo a auspicare), o il nucleo centrale di un moderno partito conservatore. E infine la proposta di Berlusconi non ha molte probabilità di riuscita se ripropone un coinvolgimento diretto degli imprenditori in politica; come mostrano i precedenti sia in Italia che all'estero, dall'esperienza fallimentare di Confintesa alla fine degli anni '50 al tentativo recente di Ross Perot negli Stati Uniti, la partecipazione diretta sia di un partito degli imprenditori alle elezioni, sia di µn partito con a capo un imprenditore, spaventano più persone di quante non convincano a aderire, per la buona ragione che una delle regole fondamentali della democrazia è la separazione del potere economico dal potere politico, a maggior ragione se si tratta di un potere economico che controlla importanti mezzi di comunicazione di massa. Se invece il movimento dei club Forza Italia si propone di agevolare l'incontro di diverse componenti della destra moderata intorno a un programma e a candidature comuni, senza il diretto coinvolgimento di Berlusconi, allora può svolgere un ruolo positivo per la trasformazione del sistema politico italiano. Quanto prima si costituirà un destra democratica moderna capace di aggregare interessi legittimi e di rappresentare valori e opinioni altrettanto legittime in una democrazia moderna, tanto meglio sarà per la democrazia italiana. Quanto più tarderà, tanto più vi sarà spazio per manovre trasformistiche e proposte populiste e si aggraverà il rischio del non governo e della divisione del paese tra nord e centro-sud. Sulla scena della politica italiana si sono nel passato rappresentati aspri conflitti ideologici, mentre dietro le quinte si svolgevano negoziati consociativi nella produzione delle leggi e delle politiche pubbliche, con gravi conseguenze per il bilancio dello stato. Oggi si stanno finalmente creando le condizioni per la competizione tra due aree politiche che concordano «ideologicamente» sulle idee e i principi fondamentali della democrazia liberale, ma si confrontano duramente su concreti programmi di governo e sulle strategie politchè ritenute più idonee a realizzarli.

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