Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 48 - gennaio 1994

-- .... ---·- ~-- ISS 1120-7930- SPED.ABB.POST.- GR. mno% ~lLBIANCO '-XILROSSO MENSILE DI DIBATTITO POLITICO / ··--·---. - - ... Cattolici·P·eolitica: noi,ilPapa,laSinistra di Giovanni Gennari ncora su Cattolici e politica. Gran discutere, di questi tem- A pi, sulla fine della Dc, sul _futuro dei cattolici, e sulla lettera del Papa ai vescovi italiani ... l. Una situazione nuova. Il problema. è nella realtà, non nella lettera del Papa, comunque essa sia intesa, e i fatti dicono alcune cose precise. Primo. La ve_cchiaDc non c'è più. È stata dissolta dal peso di un cinquantennio di potere che da mezzo era diventato fine. Oggi tra i suoi resti si possono distinguere almeno tre parti, e forse quattro. C'è la Dc dei ladri di regime e degli in48. ANNOV0 • GENNAIO1994• L.3.500

IN QUESTO NUMERO EDITORIALE Giovanni Gennari Cattolici e Politica: noi, il Papa, la Sinistra pag. 1 ATTUALITÀ Pierre Carniti Berlusconi in Politica? L'esordio, sul fisco, è un pasticcio pag. 5 Adriano Ossicini Una nuova stagione politica per i cristiani? pag. 7 Gian Primo Cella 5 dicembre: è stata vera la vittoria della Sinistra? pag. 11 Tiziano Treu Ritardi istituzionali e politici. Una riflessione sempre più urgente pag. 13 Alberto Martinelli Il bipolarismo asimmetrico: una sinistra, molte destre pag. 15 Stefano Ceccanti Oggi chi resta al Centro è suicida. pag. 17 Giorgio Tonini Cattolici alle prese col pluralismo Sandro Antoniazzi Verso il bipolarismo. È l'ora delle scelte pag. 20 Augusto Barbera Un programma istituzionale per il Polo progressista pag. 21 Giorgio Benvenuto Un programma, e un simbolo per la scommessa di progresso pag. 23 Gianfranco Pasquino Tre priorità per i progressisti: riforme, fisco, lavoro pag. 25 Carlo Ripa di Meana Lo spazio dei progressisti: non veti, ma programmi comuni pag. 27 Pietro Scoppola Il Partilo popolare fra due poli: o sceglie o nascerà sconfitto pag. 29 Cento anni di Maritain pag. 31 Marco lvaldo Filosofia e storia nel pensiero di Maritain pag. 31 Giorgio Tonini Jacques Maritain: laicità come confine della politica pag. 33 DOSSIER Disoccupazione in Italia ed in Europa: soluzioni finte e rimedi veri Pierre Carniti Il lavoro come emergenza mondiale: quattro punii di strategia pag. 38 Giovanni Bianchi Disoccupazione: le risposte tra Stato Sociale e mercato pag. 42 Fernando Charrier La Chiesa e i diritti degli uomini del lavoro pag. 45 Pietro Merli Brandini Disoccupazione e prospettiv~ internazionali: distorsioni e rimedi pag. 47 Romano Prodi Non lavoro e strategie Cee tra cause e possibili risposte pag. 49 Livia Turco Emergenza lavoro: come ridisegnare la società intera? pag. 51 SHvano Veronese Strategia dei tempi e degli orari di lavoro pag. 53 Luigi Viviani Disoccupazione strutturale e nuove frontiere del lavoro pag. 55 Ermanno Gorrìeri Condusioni: un orizzonte che non consente più alibi pag. 56 Gabriele Clini La crisi dell'occupazione in Italia e in Europa pag. 57 Vassily Leontief Lavorare meno, e favorire i redditi familiari pag. 59 L'EUROPA E IL MONDO Giulio Querini Somalia 1994. Prepariamoci al dopoguerra pag. 65 INTERVENTI . Gino Vecchio Il Meridione è decisivo per il futuro della democrazia pag. 67 Paolo Giammarroni Nomi, simboli, presenze. Essere visibili in tempi opachi pag. 69 Ennio Di .Francesco Infanzia e gioventù violata. Un rispetto da recuperare pag. 71 Le illustrazioni di questo numero riproducono disegni del Prof. Paolo Portoghesi

D!LBIANCO ~ILROSSO •HPNKfnJt418 quisiti, tra cui spiccano uomini sulla cui vicinanza anche a certe istanze ecclesiastiche nessuno può dubitare. Difficile pensare che questa Dc abbia un futuro significativo. C'è la Dc raccolta attorno a Mino Martinazzoli, che oggi politicamente dispone di figure nuove come Rosi Bindi e Alberto Monticone, nel nome della eredità spirituale e politica di Benigno Zaccagnini e, almeno in parte, di Aldo Moro. Questa Dc vorrebbe dar vita ad un Partito Popolare, forza laica di ispirazione cristiana, di orientamento centrista con propensioni verso sinistra e con chiusura netta sulla destra, e quindi verso Lega, Msi ed eventuali armate berlusconiane. C'è la Dc che si arrocca sugli appelli moderati dei Mastella, dei Pierferdinando Casini e delle Fumagalli Carulli, che manifesta apertamente un orientamento di centro destra, con aperture verso Berlusconi, Lega ed Msi, e con l'obiettivo di evitare una vittoria futura dello schieramento di sinistra. Ci sarebbe anche Mario Segni. Idealmente pare vicino a questi ultimi, ma politicamente i suoi giochi sono del tutto aperti, al punto che qualcuno lo vuole, e altri magari lo teme, come vero leader del futuro Centro moderato, mentre sono tanti che vorrebbero consegnargli in blocco ciò che resterà della intera Dc, nella speranza che egli sia capace di tenere insieme i pezzi, realizzando ancora una volta il miracolo che in passato ha funzionato così bene. Secondo. I cattolici italiani, come tali, da tempo non sono più in un solo partito. La cosa è visibile e chiara almeno da venti anni, con un processo sempre crescente in numero, e anche in presa di coscienza. È stato vero sempre, anche quando filosofie e ideologie materialiste e atee erano in auge, e implicavano difficiliscelte di coscienza e ardue distinzioni filosofiche.Oggi è più che mai un fatto. Terzo. Le ragioni ideologiche e politiche della unità politico-partitica dei cattolici italiani, valide per qualche decennio a causa del pericolo reale del comunismo internazionale, non ci sono più. A rigore di termini esse idealmente e teoricamente hanno cominciato ad esaurirsi da circa quindici anni, dalla scelta laica, «non teista, non ateista, non antiteista», del Pci di Enrico Berlinguer nella famosa Lettera al vescovo di Ivrea, Luigi Bettazzi, che per la verità il Pci non ha mai preso sul serio al suo interno. Politicamente, invece, quelle ragioni hanno cominciato a svanire nel momento della scelta democratica e occiden3 tale dello stesso Berlinguer. Da allora, almeno da allora, i pericoli per la democrazia italiana non sono più venuti dalla sinistra storica. Lo aveva capito Aldo Moro, che forse anche per questo ha pagato il prezzo assoluto che tutti sappiamo. C'era,, tuttavia, l'Urss, e la sua potenza internazionale, con l'apparato ideologico e militare del comunismo mondiale. Oggi non c'è più. Oggi chi da noi parla di anticomunismo lo fa per coprire la volontà di tutelare alcuni interessi, anche legittimi, che però vanno dichiarati come tali e chiamati con il loro nome. Questo, sia chiaro, sottintende che non ha più ragioni di essere neppure il comunismo, perché i morti in politica non risorgono, e un sistema sbagliato, una volta finito, non per questo diventa giusto. Ciò vuol dire che non può aver senso, oggi, per i cattolici, una·scelta di alleanza piena con chi comunista non ha cessato di essere e di proclamarsi. Un cattolico cosciente non può non vedere che ciò che resta vivo, degli ideali una volta detti comunisti, è solo ciò che è proprio ed originale degli ideali cristiani più autentici e certo non smentiti dalla storia, né dai tradimenti di tanti cristiani. Quarto. L'identificazione di cattolici e democristiani, che all'inizio ha tutelato le libertà democratiche in pericolo, ha reso anche dei servizi agli interessi della Chiesa e delle sue istituzioni, ma ha appesantito gravemente la Chiesa come comunità concreta e storica. L'unità politico-partitica dei cattolici, spinta oltre certi limiti di tempo, e di decenza, ha ferito l'immagine della Chiesa stessa e la proponibilità reale della fede e del Vangelo nelle circostanze concrete della vita di tanta gente. Questo è un punto, forse, su cui i credenti italiani, la Chiesa come tale, non ha ancora pubblicamente riflettuto. La condivisione ecclesiasticocattolica del potere terreno politco, e della responsabilità per le ingiustizie che esso ha causato, ha alimentato anche il deserto del secolarismo, e il rifiuto di massa della pratica cristiana. Una riflessione di Chiesa, su questo punto, sarebbe un grande «segnodei tempi», davvero nuovi per tutti. 2. LaLetter.adel Papa. Alla luce di questi fatti che senso può avere la recente lettera del Papa ai vescovi italiani? Pare importante che nessun responsabile di Chiesa abbia dichiarato che essa equivale allo schierarsi del Papa nella lotta elettorale italiana. Del resto basta pensare alla sorte degli appelli episcopali, anche recenti, in prospettiva elettoralistica.

{)!LBIANCO ~ILROSSO I a Il p HJ ;J '+ 1' a Quanti cattolici italiani hanno obbedito a certi richiami insistenti? Chi vorrà coingolgere persino il Papa in una avventura elettorale dall'esito catastrofico? La Sala Stampa vaticana, e i cardinali Martini, arcivescovo di Milano, e Ballestrero, ex presidente della Cei, hanno ripetuto che nella lettera va letto un richiamo essenzialmente religioso. Chi è credente non può che accogliere l'appello al valore della fede e della sua unità, alla necessità della «comune preghiera», grande e forte, che chiude lo scritto del Papa, e in cui il cardinale Martini ha visto l'essenza più profonda e vera del messaggio rivolto, - egli ha ribadito-, «a vescovi e cattolici italiani, non ai politici». Un richiamo, ha scritto Martini, a svegliarci dal sonno, in un tempo di desolazione, a prenderci le nostre responsabilità, a purificarci dai reciproci sospetti, e a collaborare con «leforze sane della Nazione». Il tutto è posto nel contesto della apertura all'Europa, di rifiuto del consumo e del denaro come leggi supreme e valori automatici. Proprio per questo molti cattolici oggi si riconoscono in una realtà come quella dei CristianoSociali. Unità del paese, messa in guardia dai rischi separatisti e dalle tendenze corporative ed egoistiche, solidarietà effettiva, fraternità universale, giustizia sociale, lotta efficace alla disoccupazione e allo sperpero individuale e collettivo, sviluppo della iniziativa privata e della creatività imprenditoriale in armonia con il bene comune, limitazione dell'intervento pubblico al necessario: sono tra i valori sociali programmatici cui ispirano le loro scelte. Nel concreto delle scelte elettorali di ciascuno, e delle alleanze politico-programmatiche dei prossimi mesi, la ribadita unità nella fede di tutti i cattolici coerenti, per quanto riguarda i fini della politica, non ostacolerà la varietà di opzioni per quanto riguarda i mezzi, in ciò compresi. partiti e schieramenti programmatici. È la nostra laicità cristiana vissuta liberamente e responsabilmente. 3. La «laicità» richiesta a tutti. Ma il discorso non finisce qui. Su questa base si pone anche ciò che i cattolici, come singoli cittadini e come forze sociali, possono e debbono chiedere ai loro eventuali alleati nella competizione elettorale e programmatica, con davanti la realtà concreta della legge elettorale, ancora imperfetta, e del panorama delle forze in campo. Quella laicità che molti cattolici hanno con4 quistato e difeso dentro la Chiesa, distinguendo i fini dai mezzi, la fede dalle scelte particolari, le dichiarazioni di principio dagli strumenti reali da adottare per migliorare la società, e che tanti di essi hanno dimostrato con scelte anche difficili, come nel caso delle leggi discusse e discutibili sul divorzio e sull'aborto, che non dichiaravano un principio, per noi inaccettabile, - come lo era anche per i cattolici noti e dichiarati che quelle leggi hanno promulgato e sottoscritto, presidenti della Repubblica, del Consiglio e ministri del Governo allora in carica-, ma regolamentavano una realtà dolorosa già in atto, predisponendo anche i mezzi per prevenirla, è davvero il caso di chiederla a tutti i possibili alleati politici dei cattolici stessi. Occorre fare i conti, tutti, con la crisi delle ideologie e con la richiesta della limitazione della politica e dei programmi, per quanto riguarda la possibile futura alleanza progressista, al regno dei mezzi. I cattolici non potranno allearsicon chi non rispetta le loro scelte di principio ideale e religioso, pur conservando le sue: la fede, o la non fede, non si mettono ai voti, né si possono sacrificare per qualche alleanza. È necessario per tutti, anche per le forze storiche laiche e di sinistra italiane, voltare davvero pagina, non legare scelte filosofiche e ideali secolaristici e antireligiosi ai programmi e alle scelte politiche, e rinunciare definitivamente alla identificazione di comodo di cattolico e Dc, di progresso e antireligione, di cultura e rifiuto della fede, di Chiesa e oscurantismo, di cristianesimo e ideologia moderata, di valori etici cristiani e cattolici e repressione della vita e della libertà. Spetta anche a chi vuole essere interlocutore credibile dei cattolici accogliere nei fatti questa esigenza, condizione di ogni passo avanti. L'alleanza politica detta progressista deve nascere da opportunità realistiche, non mortificanti per nessuno, non egemonizzate da vecchie ideologie magari nascoste, non ripetitive di schemi che in passato hanno consentito l'utilizzazione di comodo di forze e persone ufficialmente cattoliche per coprire resistenze profonde, di cultura, di ideologia, di valori, alla piena libertà, davvero laica, di coscienza e di scelte di fini della vita. Se non si realizzerà questo autentico salto di qualità tutto può tornare in discussione: l'identità ideale, e la libertà coerente non costituiscono merce di scambio.

~li-~ BIANço l_XILROSSO ATTUALITÀ BerlusconiinPolitica? L'esordio,sulfisco, è unpasticcio di Pierre Camiti p asticciando con le cifre della pressione fiscale Berlusconi ha fatto la sua rumorosa entrata in scena nella campagna elettorale. Secondo il Cavaliere di Arcore la nostra pressione fiscale è ormai arrivata ai vertici assoluti in Europa. Da qui la sua proposta: ridurre il peso del fisco fissandone per legge il limite rispetto al Prodotto Interno Lordo. Si può agevolmente replicare che l'assunto è sbagliato ed il rimedio, comunque, inefficace. Infatti tutti i paesi europei che economicamente stanno meglio del nostro hanno una pressione fiscale maggiore. È il caso del Belgio, della Danimarca, dell'Olanda, della Francia e della Ger5 I mania. Persino la Gran Bretagna che pure soffre di una economia debilitata dalla cura Thatcher (se si considerano le imposte in senso stretto, cioè al netto dei contributi sociali) ci sopravanza con il 27,70 per cento contro il nostro 25, 70. Ma anche prescindendo dall'ignoranza delle situazioni di fatto c'è da dire che l'idea di creare un vincolo giuridico per porre limiti «invalicabili» alle entrate è piuttosto un espediente propagandistico (appunto una boutade da campagna elettorale) che una misura concreta. Basterebbe ricordare che l'articolo 81 della Costituzione (il quale «obbliga» ad indicare per ogni legge di spesa la copertura finanziaria) è stato sistematiI ------#

{'!,L BIANCO ~ILROSSO iiiki+iiiii - ' \ 1. '-·· · ......... camente eluso, per concludere che i vincoli giuridici (inclusi quelli costituzionali) da soli non sono in grado di arginare un bel niente. In realtà quindi quella di Berlusconi più che una proposta di politica fiscale è semplicemente una accattivante presa di posizione diretta ad accaparrarsi la comprensibile insofferenza dei contribuenti verso il fisco e trasformarla in consenso elettorale. D'altro canto l'insofferenza verso le tasse esiste ovunque (sia nei paesi più tartassati del nostro, che negli altri) e la battaglia «contro le tasse», al posto di quella per l'equità fiscale, è dappertutto un ingrediente classico della propaganda politica di destra. Il problema vero per l'Italia è il divario tra entrate e spese rispetto al Prodotto Interno Lordo, che è di oltre 12 punti. Questo divario è la causa del nostro dissesto economico-finanziario. Quando perciò Berlusconi suggerisce di bloccare o, addirittura, di ridurre le entrate, significa che immagina di colmare il divario con una drastica riduzione della spesa. Dovrebbe tuttavia sapere che la spesa per oltre 1'80 per cento è composta da tre voci fondamentali: interessi sul debito; prestazioni sociali; dipendenti pubblici. Come aspirante leader politico Berlusconi dovrebbe quindi avere l'amabilità di dire (soprattutto a coloro che pensano di votarlo) dove e che cosa propone di tagliare. Pensa di consolidare il debito? Oppure liquidare pezzi interi di Stato Sociale, incominciando, ammesso che basti, dallo smantellamento della sanità e della previdenza? O, infine, pensa si possano attuare diverse centinaia di migliaia di licenziamenti nei vari settori dell'amministrazione pubblica? In tal caso dove? Nella scuola, -·· ...... - ' ,I \ , , 6 sanità, Polizia, Carabinieri, amministrazione finanziaria, giustizia? Se non pensa a nulla di simile, è sulle restanti voci di spesa che immagina di agire? Persino un «dilettante» della politica come Berlusconi dovrebbe però sapere che lì c'è poco da fare, se non a prezzo di un ulteriore impoverimento e degrado delle infrastrutture e dei servizi pubblici. I quali, al contrario, dovrebbero essere più efficienti ed efficaci anche per migliorare la nostra capacità di competizione. Ma efficienza ed efficacia esigono, di solito, più risorse. E per reperirle difficilmente può bastare la pur indispensabile lotta agli sprechi. La conclusione da trarre è che si può camminare sulla strada del risanamento economico e finanziario solo se si agisce, con equità e determinazione, tanto dal lato delle entrate che da quello delle uscite. È invece irrealistico e velleitario se si pensa di intervenire solo sull'uno o sull'altro versante. Poiché i discorsi di Berlusconi sulla pressione fiscale non hanno nessun fondamento concreto essi devono quindi essere interpretati come una sorta di metafora per dire basta allo Stato Sociale. Se perciò, alle imminenti elezioni, il «blocco d'ordine» da lui auspicato dovesse avere successo, tanto per fare un solo esempio, in futuro lo stato di salute di ogni famiglia italiana dipenderà soltanto dallo stato delle sue finanze. Una vergogna che negli Stati Uniti l'amministrazione Clinton sta faticosamente tentando di eliminare. In questa deprecabile evenienza saremmo ben presto costretti a constatare a nostre spese quanto avesse ragione Manzoni di dire che: «non sempre quel che vien dopo è progresso».

D!.LBIANCO ~ILROSSO MiiNl••i Unanuovastagionepolitica peri cristiani? di Adriano Ossicini s ono assolutamente d'accordo con Pierre Camiti quanto afferma che chiunque leggesse l'intervento del Papa «secondo la vecchia abitudine di guardare alla presenza della Chiesa come rivolta al problema della cucina politica» commetterebbe un grave errore. L'intervento del Papa va inquadrato in un vasto disegno storico ed epocale, in una realtà di profonda e spesso drammatica trasformazione dell'Italia e del Mondo, trasformazione nella quale la Chiesa ha avuto un ruolo di grande rilievo e non può certo rinunciare a rivendicarne uno fondamentale per il futuro. Il discorso del Papa va letto, per i suoi riflessi religiosi, sul piano della realtà storico-politica, non immiserendolo nella dialettica quotidiana ed anche l'invito a una presenza il più possibile unitaria dei cattolici va, come giustamente dice Camiti, interpretata come unità sui valori. Sturzo stesso molti anni fa invocò una presenza il più possibile ampia dei cristiani in politica, ma definì la loro ipotetica unità forzata come violenza alle loro coscienze. Ma proprio l'analisi storica che penso si debba fare dà ragione alle preoccupazioni del Papa e dimostra che c'è ancora uno spazio e una utilità per la presenza dei cristiani in politica anche e, voglio dire, in modo particolare, nel nostro Paese. Non c'è dubbio che una determinata epoca storica si è conclusa. In sostanza l'organizzazione sorta alla fine della ultima guerra mondiale codificata negli accordi di Yalta non è più alla base degli equilibri internazionali sui quali si reggevano, anche in modo determinante, quelli nazionali. Non si tratta solo del crollo del muro di Berlino, della profonda crisi del comunismo internazionale, della «fine» dei paesi del cosiddetto socialismo reale. Si tratta di un mutamento 7 radicale negli equilibri di potenza anche per quanto riguarda tutto l'assetto politico ed economico internazionale. Tutto questo ha avuto profondi riflessi sulla nostra politica interna in quanto profondamente legata alla situazione internazionale. Il tipo di democrazia, per certi aspetti forzatamente bloccata, sulla quale si reggevano i nostri equilibri interni e sul quale era sorto ed era risultato egemone quello che viene comunemente chiamato il «progetto» degasperiano, è profondamente in crisi da lungo tempo. Ma con questo progetto, insieme ad esso, anche se per differenti ragioni, sono entrati in crisi tutti i partiti che in qualche modo avevano avuto un ruolo egemone al governo e all'opposizione nella nostra realtà politica. Oltre tutto a questa crisi politica si è accompagnata una profonda crisi ideologica, un vero e proprio tramonto delle ideologie. Ma il tramonto delle ideologie e la crisi dei sistemi e delle forze politiche tradizionali ha rimesso in discussione anche termini e formule prima usati con sicurezza o comunque con una certa oggettiva possibilità di orientarsi attraverso di essi. Termini come sinistra, destra, centro pur non perdendo una loro validità puramente indicativa, vanno ridefiniti. Ancor più vanno ridefiniti termini come socialismo, socialdemocrazia, democrazia avanzata, democrazia popolare ecc. Tramontate le ideologie, in base alle quali erano state per lungo tempo «costruite» certe «classificazioni», diventa molto difficile dire su quali basi, in teoria e in concreto, ci si possa definire «progressisti», e che cosa significhi oggi sul piano teorico, politico ed economico definirsi di destra, di centro o di s.inistra. Perché c'è indubbiamente una tendenza, ancora, ad autodefinirsi, per ragioni di comodo, secondo determi-

{)!L BIANCO a.l,, IL ROSSO Mikiil•t;i nate etichette, che però sono usate non tenendo conto di ideologie e di culture politiche superate. Perciò si tratta di ridefinire le forze politiche e i loro orientamenti alla luce della nuova situazione, su precise basi programmatiche, ma che in qualche modo tengano conto di una realtà nuova e della esigenza di chiarezza anche sul piano teorico ed etico. Anche un termine ampiamente usato come quello di progresso resta estremamente generico e per certi versi anche ambiguo. Sembra che il termine «progresso» si affermi, perché più ampio del concetto di «sinistra»; comprende sia chi vuole più giustizia nella società, sia tutti coloro che vogliono il «nuovo», un nuovo modo di fare politica che si liberi dai «compromessi» dei partiti del passato. Tuttavia il termine mantiene un'ambiguità che del resto è stata ampiamente messa in luce dalla cultura del nostro secolo: non solo da Heidegger, ma anche pensatori attenti alle ragioni della liberazione e dell'eguaglianza (da Mounier a Benjamin a Bloch) lo hanno sottolineato, «Progresso» richiama un avanzamento lineare, un miglioramento «naturale»: ma così occulta la radicalità del male, dei conflitti e delle ingiustizie sociali; e, d'altra parte, banalizza il bene, sembra darlo per scontato, come semplice accumulo. Come se ogni «processo» della storia umana andasse considerato alla fine positivo, anche senza indicare la meta a cui tende. Anche il termine laicità che aveva un suo ruolo e una sua importanza, specie in un paese egemonizzato da un partito che chiamandosi cristiano e chiedendo l'unità dei cattolici poneva non modesti problemi sul piano appunto della laicità 8 della politica, va profondamente rivisto. Oggi che questa forza politica ha terminato il suo ruolo e che in teoria, oltre che in pratica, nessuno può invocare una vincolante unità per tutti i cattolici si pone per tutti, oltre che per i cristiani, una ridefinizione del termine laicità. Laicità è in sostanza, oggi, come avrebbe dovuto sempre essere, se determinate contingenze storiche non l'avessero impedito, non l'assenza di una fede ma la libertà di utilizzare la propria fede i termini non integralisti. E allora in questa fase nuova si tratta di porre la dialettica politica e il ruolo dei partiti secondo una nuova progettualità. Tutto questo, oltre tutto, è anche legato e, in qualche modo, vincolato alle nuove forme di organizzazione e di confronto, determinate dalle trasformazioni largamente volute dal popolo italiano per le quali le elezioni sia sul piano locale che su quello nazionale, non sono più legate a forme rigide di proporzionale, ma ha un bisogno reale di precise alternanze, con schieramenti ad essi vincolati. Si tratta perciò di vedere quali forze politiche e in quali forme, su quali basi teoriche e programmatiche entreranno in gioco nella nuova realtà del nostro paese. Per quanto riguarda quei cattolici che hanno avuto attraverso la democrazia cristiana un ruolo determinante comunque lo si voglia valutare, nella vita politica del nostro paese, è venuto il momento di prendere atto che comunque una nuova fase si apre in modo assolutamente irreversibile! Ma non si tratta solo di «fuggire» da Tangente-

D!LBIANCO ~ILROSSO iiikiiliii poli o addirittura di cercare in qualche modo di ricostruire un'egemonia perduta. Si tratta di stabilire quale possa essere il ruolo dei cristiani nella nuova realtà politica. E questo riguarda non solo la Dc, ma tutti coloro che hanno operato in politica sulla base di un'ispirazione cristiana. Per tutti l'interrogativo è questo! È venuto il momento della diaspora, ossia dell'inserimento dei cristiani nei vari partiti che si vanno riorganizzando o esiste ancora la necessità o comunque l'utilità di un movimento a ispirazione cristiana? Non si tratta, di stabilire la legittimità oggi, di un partito a ispirazione cristiana. Tale legittimità è ovviamente fuori discussione; ci sono stati (e ci sono?) partiti a ispirazione marxista, idealistica, positivistica, radicale e così via. Non si vede perché un gruppo di credenti e non credenti che diano una determinata lettura del cristianesimo nei suoi riflessi politici e sociali non possono organizzare un movimento politico. La aconfessionalità, lucidamente definita da Sturzo fin dal suo discorso di Caltagirone del 1905 non significa privatizzazione della fede! Il partito popolare fu fondato con. una chiara posizione sulla laicità della politica. Un partito o movimento a orientamento cristiano, è legittimo. Si tratta di vedere oggi-in Italia in che modo sia utile o addirittura necessario. Quello che è chiaro è che non lo è nella vecchia linea di una forzata, per necessità storico-politiche, unità dei cattolici. Quello che è chiaro è che anche l'utilità, nella quale noi crediamo, di un movimento a ispirazione cristiana, per così dire, nella tradizione cattolica democratica (e quella sturziana si ripropone in termini di attualità) non esclude la presenza dei cattolici o dei cristiani in altre formazioni politiche nei limiti nei quali essi, in coscienza, lo ritengano possibile. Ma a me pare che su due temi di larga importanza un movimento popolare ad ispirazione cristiana sia ancora oggi necessario nel nostro paese. Il primo tema è quello dello stato sociale, della politica sociale. La crisi di quello che viene chiamata la «soluzione comunista» non ha, a nostro modo, risolto il problema posto da quella che veniva a sua volta chiamata la «sfida comunista». Il sistema politico-economico rimasto egemone dopo la crisi del mondo comunista, quello che viene comunemente chiamato neoca9 pitalista contiene ancora e forse più di prima, in sè, delle profonde contraddizioni a causa delle quali l'umanità passa ancora attraverso una situazione di crisi drammatica e in molti paesi non si raggiungono neanche condizioni minime, sul piano fisico e morale, ché si possa parlare di rispetto non dico della persona ma della condizione umana. Ora la rivoluzione rappresentata sul piano etico dal Concilio Vaticano II, la polemica portata avanti sul piano sociale dalla Chiesa e dal laicato cristiano, fino alla Centesimus annus, l'azione del volontariato cristiano in difesa dei deboli dei diversi e diseredati, sul piano italiano e internazionale, hanno un'importanza che non può essere trascura.la e che ha delle valenze anche sul piano strettamente politico. Di fronte al prevalere di una cultura «radicale» basata sull'individualismo come non riconoscere a certe forze di ispirazione cristiana un grande ruolo nella lotta contro una società basata sul consumismo e sul- !' egemonia del profitto? Esiste poi il grande problema della bioetica che oggi si propone in modo direi quasi prepotente. Lo sviluppo della scienza ha permesso di affrontare i problemi del destino umano alla radice. Possiamo incidere su questo destino già prima della nascita degli esseri umani sul piano genetico. Possiamo decidere se e come far nascere un individuo. Si parla di fecondazione omologa ma anche eterologa, si prospetta addirittura l'ipotesi di esperimenti sugli embrioni. Si discute di eutanasia attiva o passiva. La scienza può spingere l'uomo addirittura a livelli di delirio di onnipotenza. Ora questi temi divengono per forza temi politici legati alla organizzazione e alla politica sociale. Su questi temi dovremo certamente misurarci. Ora è abbastanza chiara e risulta sostanzialmente con una evidenza non discutibile, la estrema difficoltà per dei cristiani di indentificarsi su questi temi, con gran parte delle altre forze politiche per le posizioni teoriche e pratiche da esse su questi temi assunte. Questi temi, anche se non solo essi, ma in modo assolutamente prevalente, giustificano ancora, a mio avviso, la presenza di un gruppo di cristiani che si organizzi nel modo autonomo come movimento politico. Certo aprendo un confronto dialettico senza schemi e pregiudizi; ma i limiti delle invocate «contaminazioni» su questi temi sono evidenti! La convivenza tra differenti posizioni teoriche ed eti-

{)!LBIANCO ~ILROSSO iiikidliM che tra partiti non è certo la stessa di quella necessaria per i militanti dello stesso partito! Perciò non si tratta di rinnovare, di rifondare qualcosa, ma di avviare un progetto radicalmente nuovo. Quando De Gasperi fondò la Democrazia cristiana non rinengò affatto l'esperienza popolare e sturziana, ma ne propone una programmaticamente e teoricamente nuova che reputava necessaria in un determinato momento storico. Lo stesso De Gasperi non vedeva la storia come qualcosa di fisso e di immutabile e mi scrisse molti anni fa «verrà un giorno nel quale sarà fatale la formazione di un movimento cristiano conservatore e di uno "labourista"»! La ricerca dell'unità rischia di essere oltre che un feticèio oggi qualcosa di impraticabile e pericoloso perché fa ritardare decisioni urgenti con il rischio di vedere forze determinanti ai margini della storia. È necessario un nuovo soggetto politico. È chiaro che questo va fatto non nella vecchia logica partitocratica ossia di partiti burocratici tendenti a occupare sul piano sociale e organizzativo tutto lo Stato, nel quadro di una democrazia bloccata. Oggi i partiti debbono tornare ad essere realmente dei veri e propri movimenti di opinione. Ed anche le alleanze vanno fatte con grande disponibilità, senza rigidità, alla luce delle nuove riforme, sul piano elettorale, che spingono a convergenze più o meno vincolanti. E tutto questo è possibile, per tutti, ma certamente per dei cristiani, su basi etiche e teoriche chiare, con programmi politici precisi e determinati, avendo cioè la possibilità di un confronto su posizioni autonome sul piano ideale ed organizzativo. Debbo dare atto agli amici del Movimento Cristiano-Sociale di aver fatto una lucida analisi della realtà politica tirandone delle conseguenze politicamente valide. Essi hanno rivendicato l'importanza di un movimento di ispirazione cristiana per la peculiarità che ha la tradizione cattolico-democratica sul piano del solidarismo, della difesa dello stato sociale e della difesa dei valori che fanno della politica una realtà fondata sulla morale. Ma proprio per questo essi si sono posti, con coraggio, il problema che le alleanze vanno fatte non in base a modesti calcoli elettorali o di difesa di interessi particolari, ma sulla base di precisi programmi e di scelte precise. Essi vogliono combattere il vecchio pregiudizio che i cristiani siano sempre con una rivoluzione di ritardo, nel momento in cui invece la Chiesa e i cristiani sul piano sociale spesso sono all'avanguardia e vogliono combattere l'altro vecchio pregiudizio che il cristianesimo sia sinonimo di moderatismo. Le alleanze vanno fatte con coraggio e in dife-- sa di precisi programmi. Io credo, come credono Camiti e Gorrieri, che la difesa di quanto è rappresentato storicamente dal solidarismo cristiano e dalla tradizione cattolico-democratica sul piano sociale non possa essere difeso in una coalizione di centro o di centro-destra e che non si possa lasciar credere che la sinistra sia una realtà nella quale i cattolici non possono operare con coraggio forti di una tradizione ed un insegnamento che li mette al sicuro da ogni strumentalizzazione. Qui è Rodi, qui dobbiamo saltare.

{'!LBIANCO """'ILROSSO iilkiiliii 5dicembre: èstatavera lavittoriadellaSinistra? di GianPrimoCella olti, soprattutto i grandi quotidiani, doM po le elezioni del 5 dicembre hanno usato una espressione di commento piuttosto inconsueta nella storia repubblicana, e comunque in.passato sempre limitata alle fonti giornalistiche di partito. L'espressione era netta, inquietante per non pochi settori della società: vittoria della sinistra! Chiunque sia interessato alle vicende politiche italiane, per scopi analitici o per fini operativi, deve innanzitutto valutare l'attendibilità di questo commento. Non esito a proporre la mia valutazione, che cercherò poi di argomentare: il giudizio sulla vittoria della sinistra non è del tutto attendibile ed anche qualora lo fosse, da esso non potrebbero essere tratte quelle conseguenze sul piano più generale che in altri tempi sarebbero state plausibili, anche se non certe. Conseguenze del tipo: oggi a Roma, Napoli, Genova, Venezia, Trieste, domani in Italia. Vediamo di esporre la prima perplessità. Certo non si può negare che in queste città abbia vinto uno schieramento elettorale formato in prevalenza da forze, tradizionali e nuove, della sinistra, che ha visto quasi sempre nel Pds la componente più numerosa ed organizzata. Tuttavia non si può negare che in molti casi il sindaco eletto avrebbe potuto essere accettato anche da uno schieramento di centro-sinistra, se non di centro. L'eccezione è rappresentata dal caso di Napoli, ma in questo caso l'appartenenza del sindaco eletto al tradizionale apparato politico-partitico ex-comunista era ampiamente compensata dalla corsa, sul fronte opposto, di un candidato, (o meglio, candidata) francamente impresentabile. Inoltre non mi sembra che le campagne 11 elettorali siano state condotte all'insegna di quella caratterizzazione di sinistra che ha segnato altre campagne più o meno lontane nella storia della Repubblica. Le forzature di tipo «antifascista» o «anti-co~unista» sono state tentate, ma solo in piccola parte accolte dall'elettorato. Ed anche la forzatura che appariva più fondata e condivisibile, quella anti-fascista, non sembra sia stata molto efficace, visto il successo di voti ottenuto dal candidato del Msi a Roma. Tali rilievi non sono marginali, e conducono a ridimensionare il giudizio certo di vittoria della sinistra, nel senso tradizionale che la parola assume. Quello che sicuramente hanno messo in luce le ultime elezioni amministrative, come ha ben rilevato Renato Mannheimer, è il premio concesso alla capacità di costituire alleanze. Hanno vinto, insomma, gli schieramenti fondati su alleanze che presentavano (con l'eccezione di Napoli) candidati in grado di fornire garanzie all'alleanza nel suo insieme, e perciò anche ai membri minori. Qualcuno a questo punto potrebbe osservare che stiamo, attraverso questi rilievi, semplicemente assistendo al sorgere di una sinistra moderna, capace di costituire un polo di alternanza, in un sistema ormai definitivamente bi-polare. Sarebbe bello ma non è così. Il sistema è solo in via di bi-polarizzazione, ed è ancora lontano dalla configurazione finale (la leggenda dei due poli, si intitolava un intervento recente del maggior politologo italiano, Giovanni Sartori). Come tale, sembra elementare ricordarlo ancora, il sistema ha bisogna di un coerente quadro istituzionale, che «costringa» le scelte elettorali dei cittadini in senso bi-polare. Questo quadro è for-

{'.!J, BIANCO OIL, ILROSSO J;iikiil•ii nito dalla legge elettorale comunale fondata sul doppio turno, e sulla presa immediata della posizione (il takeover). Questo quadro non può invece essere fornito dalla legge maggioritaria a turno unico (con correttivo proporzionale) che regolerà le prossime elezioni politiche. Ammesso, e non concesso, che una qualche forma di polarizzazione si sia manifestata, sul piano locale, nelle elezioni amministrative nulla assicura che questa si riproduca, sul piano nazionale, nelle prossime elezioni politiche. Tutto qui. Questo vuol dire che la sinistra avrà comunque il grosso problema di raccogliere un ampio settore dei voti di centro, in un centro che non sarà sguarnito di pretendenti dichiaratamente centristi (come sarebbe invece in un sistema stabilmente bi-polare). Aggiungiamo che la frattura (il cleavage, direbbero i politologi) sulla quale si esprimerà il prossimo voto politico non sarà tanto quella destra/sinistra, e nemmeno quella federalismo/stato nazionale, sarà piuttosto quella ambigua, ma potenzialmente devastante, del vecchio/nuovo (già passata al filtro ironico degli acronimi, ovvero Vcr, vecchio che resiste, e Nca, ,nuovo che avanza). La sinistra dovrà in qualche modo accettare questa ambigua frattura, e non sarà facile. Ma allora conterà veramente poco la caratterizzazione di sinistra alle prossime elezioni? Servirà per vincere o contribuirà a far perdere? Saranno così ininfluenti i successi, gli esempi, delle elezioni di dicembre? Conteranno ma molto meno di quanto pensano alcune forze della sini- (_./ I/.. ..- . stra. Con una precisazione, riguardante gli sforzi di riorganizzazione della destra (ad esempio la alleanza possibile di lega e berlusconiani). All'interno degli obiettivi ormai non più impliciti di queste forze domina quello di «liberazione» della egemonia della cultura politica della sinistra, comunista in primo luogo, una egemonia, si dice, che dura ormai da un quarto di secolo. Tale obiettivo esplicito, ne nasconde un altro più implicito riguardante la connessa possibilità di «liberarsi» anche da ampie parti della protezione sociale, e dai connessi vincoli, innanzitutto sindacali. Il primo obiettivo, esplicito, costituirebbe il veicolo culturale, e in parte ideologico, per il secondo, più implicito. Obiettivi di questo tipo sembrerebbero richiedere, di risposta, una caratterizzazione di sinistra. Certo, ma con un rischio: il rischio della sinistra di indignarsi solo per il primo, lasciando più sotto silenzio il secondo. Un rischio grave per uno schieramento che deve conquistarsi una parte dei voti di centro. Un centro che, ritengo, è più disposto a condividere il primo obiettivo di «liberazione» che il secondo. Un effetto perverso, potrebbe essere causato anche da un eccesso di tranquilizzazione emanante dal Pds (dagli excomunisti come si sentirà sempre più spesso dire), una atmosfera che potrebbe essere avvertita come uno sgradevole effetto di patronage. Un patronage che sarebbe inevitabilmente stritolato da quella frattura vecchio/nuovo, sulla quale, piaccia o meno, saranno chiamati a esprimersi gli elettori. 1 !f 'r-:-- } ( / I ( ~~~~~" ~"--...- ./,, 12

{)!LBIANCO ~ILROSSO Miklillii Ritardiistituzionaelipolitici. Unariflessionseemprepiùurgente di Tiziano Treu - tempi delle decisioni politiche e istituzionali si I restringono; ma questo non facilita, per ora, la chiarezza. Riscontro una sfasatura fra i due piani, quello istituzionale e quello politico in senso stretto. Nelle ultime tendenze istituzionali si può verificare una certa coerenza ed efficacia di go- - verno. Nonostante (o a motivo?) della confusione politica nell'ultimo anno e mezzo si sono attuate iniziative istituzionali significative. Molto ha contribuito l'incombere dell'emergenza: ma si sono anche avviate iniziative di riforma. In sé questa divaricazione non è anomala: anzi potrebbe essere utile. In un momento di destrutturazione del quadro politico partitico tradizionale le istituzioni possono agire positivamente con relativa autonomia. Senonché ciò non può durare a lungo se non concorrono circostanze particolari: cioè se il quadro politico non mantiene una certa «apertura». Al riguardo le prospettive politiche sono a dir poco incerte. Il fatto che si debba votare con una nuova formula elettorale «troppo rigida» non aiuta. Passare da un sistema bloccato a un bipartitismo «virtuoso» con un solo turno e in pochi mesi non è certo facile. Il Giappone, ad esempio, che ha avuto un sistema di governo monopartitico simile all'italiano sta passando per una fase di coalizioni flessibili fra partiti diversi che sembra funzionare. A noi questa possibilità u sembra preclusa: dalle incrostazioni politiche ben più forti in Italia che in ogni altro paese sviluppato e anche dalla legge elettorale. La proposta del «centro di transizione» avanzata da alcuni aveva (anche) questo intento. Prendendo atto che non ci sono subito le condizioni per un bipartismo virtuoso, proponeva di utilizzare aggregazioni fra gruppi diversi appunto come strumenti di transizione. L'obiettivo era di evitare la nascita di un bipartitismo radicalizzato su poli «estremi» (Lega da una parte, Pds aperto a Rifondazione dall'altra) invece che articolato come nelle democrazie più consolidate su due poli interm<i1dic, onservatore e progressista, entrambi moderati. Questa proposta sembra aver perso tutte o quasi le sue chance; tante o poche che fossero. Per molti motivi: per la eterogeneità delle sue componenti potenziali e attuali; per il timore che sia troppo simile alla ripresentazione di coalizione fra vecchi partiti che a una riaggregazione nuova come è necessario per il procedere delle tendenze centrifughe e disgregatrici rispetto a quelle di aggregazione intermedia. Senonché queste ultime tendenze costituiscono un pesante condizionamento all'evoluzione verso un bipartitismo virtuoso. I partiti sono lungi dall'essersi sciolti. Non lasciano facilmente campo libero per nuove scelte ✓ ~--===-~~~=~=---------~~-~E .. _=____ .~~--=-~ _ ... _., ... _ .............. -~ .,..~~··-·· .. •~·,...- · ...__ -- 13

J.).!J, BIANCO ~ILROSSO J;iiiiiliti riaggregative; il che rende più difficile l'opera di attivare aggregazioni politiche nuove in modo «razionale». Il peso di questo passato è tanto maggiore in quanto la «nebulosa» prodotta dallo scoppio parziale della vecchia costellazione politica è per ora in fase ancora di espansione e non di riaggregazione e i tempi per la «naturale» ricentralizzazione sono ben più lunghi dei tre mesi che ci separano dalle elezioni. Non bisogna neppure essere così ingenui da pensare che basti confrontarsi sui programmi o sulle issues per poter contrastare queste tendenze forti. Il valore aggregativo delle. issues è precario anche in paesi con più solida tradizione bipartitica. Lo è tanto di più in un contesto come quello italiano, storicamente molto incline al trasformismo e all'opportunismo politico. E già si vedono segni poco incoraggianti nei primi cenni programmatici in circolazione, che sono largamente tributari a orientamenti di moda: basti vedere l'adesione tanto generale quanto ambigua a temi-valori come «mercato», privatizzazioni, flessibilità, produttività. La chiarezza delle issues i suoi «nomi», sia ben chiaro, è necessaria; ma temo che non sia sufficiente. Analogamente è utile sottolineare l'esigenza di rapporti più diretti con i cittadini senza vecchie intermediazioni; auspicare una rete di gruppi e di rapporti invece del soffocante burocratismo partitico. Ma dubito che la rete sia sufficientemente solida, se non ci sono masse critiche ancorate a obiettivi e «collanti»comuni che sorreggano la rete. L'urgenza maggiore in questo momento è proprio di ricostruire questi collanti e alcune masse critiche. Altrimenti l'aggregazione rischia di essere fatta dai mass media con esiti incerti e poco «responsabili». Anche per questo la proposta dei Cristiano-Sociali è potenzialmente importante. Sono convinto che in un momento come que14 sto l'obiettivo di modernizzare e risanare l'economia senza calpestare le esigenze dell'equilibrio sociale e senza dare espressione solo agli egoismi dei gruppi richieda più che mai una aggregazione di forze sui valori liberal-sociali (mi si permetta questo quasi ossimoro). Una aggregazione simile può essere capace di raggiungere tale obiettivo in modo più giusto ed efficiente di quanto non possa essere una aggregazione moderata conservatrice. Ma questo obiettivo incontra ostacoli molto forti. A destra è in atto una forte reazione, espressa anche dalla cosiddetta società civile, di difesa dello status quo, cioè delle posizioni acquisite in decenni passati. A sinistra sono ancora incerte le condizioni per una aggregazione utile e accettabile. Mi riferisco a quelle sottolineate anche nel dibattito di Riformismo e Solidarietà. La prima è che il Pds separi nettamente i suoi programmi e obiettivi da Rifondazione Comunista come indicazione di una cultura di governo acquisita o in via di acquisizione. La seconda condizione è il formarsi all'interno dell'area progressista di interlocutori rappresentativi adeguati, anche per cultura, a confrontarsi con il Pds. Questa seconda condizione è evidentemente legata alla prima: nel senso che il suo realizzarsi contribuirebbe ad accelerare il chiarimento interno al Pds. È urgente attivarsi in queste due direzioni. Se esse non maturano rapidamente, si aggraveranno le tendenze alla polarizzazione degli schieramenti e i rischi che la lotta politica torni a imbarbarirsi. E di queslo non potrà che giovarsi la destra. Non a caso si moltiplicano già gli appelli di molti settori degli ex partiti centristi, oltre che di Lega e Berlusconi, all'anticomunismo come elemento ancora aggregante del prossimo cartello elettorale. Su questo deve meditare anzitutto il Pds nelle scelte che gli stanno di fronte. Ma la posta in gioco è alta per tutti.

D!.L BIANCO ~ILROSSO i+iiki+iliii Ilbipolarismaosimmetrico: unasinistra,moltedestre di Alberto Martinelli - 1 successo delle liste dell'alleanza democratica I progressista nelle maggiori città in cui_si è votato il 21 novembre e il 5 dicembre 1993 premia la capacità del Pds di coalizzare e di aggregare le diverse componenti dell'area della «sinistra-centro» e conferma l'intuizione originaria di « Verso - alleanza democratica» che ha compreso meglio degli altri le opportunità offerte da una legge elettorale maggioritaria a doppio turno. I risultati elettorali hanno per converso punito, come era prevedibile, tutti coloro che, a cominciare dalla Democrazia cristiana, continuano a ritenere che il centro dello spazio politico sia una sede da occupare stabilmente e una volta per tutte così da diventare «governativi a vita». In una democrazia funzionante il centro è invece il luogo dove due aree politiche, l'una convergendo dalla sinistra e l'altra dalla destra, si contendono i consensi di un elettorato che esprime opzioni politiche non radicali e fluttuanti a seconda della congiuntura economica e politica, dei risultati ottenuti da chi è al governo e della credibilità delle proposte di chi è temporaneamente all'opposizione e al governo spera di andarci. I risultati modificano la situazione politica italiana nella direzione di una contrapposizione tra forze politiche che tendono ad aggregarsi intorno a due poli sull'asse sinistra-destra. Ma siamo ancora ben lontani da un vero sistema bipolare, che dovrebbe auspicabilmente porre fine al consociativismo e favorire la democrazia dell'alternanza e governi migliori che in passato. Abbiamo per ora un bipolarismo asimmetrico, in cui alla sinistra democratica non corrisponde un'analoga destra democratica. Le ragioni di questa perdurante anomalia italiana (sia pure di natura diversa dal passato) sono, da un lato, le resistenze del vecchio sistema partitico, sconfitto ma non del tutto scomparso, e, dall'altro, la compresen15 za di più dimensioni nelle scelte elettorali dei cittadini: oltre alla contrapposizione sinistra-destra vi sono infatti le contrapposizioni centralismo-federalismo (nelle loro assai diverse accezioni), «vecchio-nuovo» e «cattolico-laico». La coesistenza di più dimensioni nella scelta elettorale non ha impedito l'aggregazione di forze diverse nell'alleanza democratica progressista, ma ha .frammentato il voto moderato e conservatore. Si forma infatti l'area della sinistra democratica (che si sta organizzan'do intorno al Pds, ma non è affatto identificabile con il Pds, che da solo non avrebbe vinto) e sta scomparendo il vecchio centro, ma non c'è ancora la corrispondente area della destra democratica. L'anomalia italiana rispetto alle grandi democrazie occidentali si modifica, ma non viene meno: dal pluralismo consociativo si è passati al bipolarismo asimmetrico. Lega e Msi, pur essendo agli antipodi con riguardo alla dimensione «centralismo statale-federalismo»,. ottengono entrambi i consensi di elettori moderati e conservatori (la Lega, in verità, non solo quelli) e quindi sono potenziali candidati a costituire questa aggregazione politica. Ma la Lega, mentre continua a crescere nella sua roccaforte lombarda e nelle regioni vicine, conserva, e anzi accentua, il suo carattere di partito regionale, non nazionale. L'Msi ottiene un successo clamoroso a Roma, Napoli e in altre città del centro-sud, che tuttavia servirà a poco se resterà isolato all'estrema destra, dove lo ha trattenuto finora un'ideologia anti-democratica da tempo defunta. Da dove può dunque emergere oggi l'area della destra democratica? I pretendenti sono diversi, compresi coloro che si ostinano a dichiarare di voler costruire «il nuovo centro». Potrebbe essere rapresentata dalla Lega se riuscirà a

{) ,!.LBIANCO ~ILROSSO liikiiiit;i trasformarsi in partito nazionale, o dall'Msi se abbandonerà formalmente le proprie radici fasciste, o dal Partito popolare formato sia dal movimento di Segni sia da una parte della vecchia Dc (se accetterà pienamente la logica del sistema elettorale maggioritario), o dai club «Forza Italia» proposti da Berlusconi, o, più probabilmente, da una combinazione di alcune di queste forze. Ma ognuno di questi «progetti» presenta difficoltà rilevanti, anche se non insormontabili. La Lega, che pure rappresenta potenzialmente il candidato più agguerrito a guidare l'area di centro-destra, non riesce a conseguire risultati elettorali apprezzabili al di fuori della Padania. Per trasformarsi in partito nazionale e stipulare alleanze con gli altri soggetti della destra liberaldemocratica, la Lega dovrebbe abbandonare le suggestioni secessioniste e accettare senza equivoci l'intangibilità nazionale e diventare più esplicitamente il rappresentante politico di individui e gruppi identificabili più su base sociale (lavoratori autonomi, persone che non dipendono dallo Stato per il proprio reddito, abitanti dei centri piccoli e medi) che su base geografica. Ma la proposta di costituzione federalista fatta da Bossi al pre-congresso di Assago, che configura una labile confederazione di tre stati sovrani, preclude la possibilità di alleanze, che pure sarebbero possibili sulla base di priorità programmatiche come lo sviluppo del libero mercato, la riforma fiscale, l'imposizione di un tetto alla spesa pubblica, ecc. L'Msi, pur rendendosi probabilmente conto che per crescere deve diventare moderato, ha tuttora handicap ideologici non facilmente superabili, nonostante i gesti simbolici come l'omaggio di Fini ai morti delle Fosse ardeatine. Finché non ripudia formalmente le proprie radici fasciste (magari facendo nascere alla sua destra una sorta di rifondazione missina), il Msi non ha possibilità di crescita al Nord, dove il ricordo della Resistenza è fortunatamente ancora vivo. La DcPartito popolare continua a coltivare il sogno del partito di centro e dell'unità dei cattolici e è segnata dal conflitto tra i rinnovatori e i vecchi leader clientelari. Il movimento di Segni non ha an16 cara scelto se vuole diventare l'ala destra dello schieramento progressista (come io personalemente continuo a auspicare), o il nucleo centrale di un moderno partito conservatore. E infine la proposta di Berlusconi non ha molte probabilità di riuscita se ripropone un coinvolgimento diretto degli imprenditori in politica; come mostrano i precedenti sia in Italia che all'estero, dall'esperienza fallimentare di Confintesa alla fine degli anni '50 al tentativo recente di Ross Perot negli Stati Uniti, la partecipazione diretta sia di un partito degli imprenditori alle elezioni, sia di µn partito con a capo un imprenditore, spaventano più persone di quante non convincano a aderire, per la buona ragione che una delle regole fondamentali della democrazia è la separazione del potere economico dal potere politico, a maggior ragione se si tratta di un potere economico che controlla importanti mezzi di comunicazione di massa. Se invece il movimento dei club Forza Italia si propone di agevolare l'incontro di diverse componenti della destra moderata intorno a un programma e a candidature comuni, senza il diretto coinvolgimento di Berlusconi, allora può svolgere un ruolo positivo per la trasformazione del sistema politico italiano. Quanto prima si costituirà un destra democratica moderna capace di aggregare interessi legittimi e di rappresentare valori e opinioni altrettanto legittime in una democrazia moderna, tanto meglio sarà per la democrazia italiana. Quanto più tarderà, tanto più vi sarà spazio per manovre trasformistiche e proposte populiste e si aggraverà il rischio del non governo e della divisione del paese tra nord e centro-sud. Sulla scena della politica italiana si sono nel passato rappresentati aspri conflitti ideologici, mentre dietro le quinte si svolgevano negoziati consociativi nella produzione delle leggi e delle politiche pubbliche, con gravi conseguenze per il bilancio dello stato. Oggi si stanno finalmente creando le condizioni per la competizione tra due aree politiche che concordano «ideologicamente» sulle idee e i principi fondamentali della democrazia liberale, ma si confrontano duramente su concreti programmi di governo e sulle strategie politchè ritenute più idonee a realizzarli.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==