Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 46/47 - nov./dic. 1993

Dl.L BIANCO ~ILROSSO iiiili•Aii Sullaviadel«Polo»: duesemplicipremesse di Vittorio Foa T utti impegnati a difendere il processo di cambiamento dai torbidi tentativi di fermarlo abbiamo lasciato scolorire il nodo di un programma progressista. Eppure vi è una inquietudine diffusa, una incertezza che spesso si presenta con paura e che richiede una sponda sicura, un segnale non equivoco sulla volontà e sulla capacità di governo. Vorrei proporre due premesse per un programma. Prima di tutto dobbiamo scegliere se abbiamo, oppure no, fiducia nella gente alla quale chiediamo il voto. Se pensiamo che tutti pensino solo all'oggi e a sè stessi cercheremo il consenso promettendo di accontentare tutti. Se pensiamo invece che la gente, o almeno molta gente, sappia anche pensare agli altri e al futuro dovremo scegliere nettamente solo chi accontentare ma anche chi scontentare. La seconda premessa è semplice: un programma non può essere un indice di problemi: esso deve indicare le tappe, i tempi e i modi del percorso, gli impegni significativi e verificabili ... Qualche esempio. Lascio da parte i temi sui quali la crescente interdipendenza internazionale lega l'Italia al destino degli altri e mi fermo sui nostri mali storici: la centralità del potere statale, le corporazioni e quello che si chiama assistenzialismo e cioè la prevalenza della tutela dell'esistente rispetto alla promozione al governo di sè stessi. La lotta al secessionismodella Lega non si fa con discorsi enfatici sull'unità nazionale, ma correggendo i mali dello Stato unitario. Non si tratta solo di decentrare il potere, dobbiamo cambiarne la natura sviluppando in ogni modo l'autonomia dei cittadini e delle istituzioni locali. Nel paese che fu di Cattaneo e anche di Sturzo una nuova Italia può nascere dai comuni, dalla loro autonomia impositi9 va e di spesa. Il separatismo non si combatte difendendo Roma come essa è, ma cambiandola. Fin dal suo primo giorno il governo progressista fisserà i tempi e i modi della riforma. Le corporazioni sono il male endemico della società italiana: il protezionismo interno dello Stato italiano crea ovunque, nella produzione, nella distribuzione e nelle professioni, poteri di mercato privilegiati, con gravi effetti sul governo dei prezzi e quindi sui pericoli di inflazione. Un esempio: la grande industria protetta nei suoi rapporti con lo Stato e con le banche, largamente finanziata col denaro pubblico e poi sempre disposta a considerare il lavoro umano come un «residuo», una cosa da prendere o lasciare senza alcuna responsabilità. Non penso a imponibili di mano d'opera, penso al dovere di cooperare coi poteri pubblici e coi sindacati per promuovere nuove occasioni di lavoro. Tutto il regime delle concessioni è da rivedere, sia pure con gradualità, ma con propositi chiari. Penso anche a più nobili corporazioni, all'accademia universitaria, al giornalismo, alle alte professioni. Il rapporto fra la tutela dell'immediato e la promozione del futuro è una nostra storica difficoltà: i tempi della promozione sono medi e lunghi, quelli della tutela sono immediati. Ma la difficoltà deve essere affrontata. La promozione salda il lavoro alla scuola, non possiamo più tenerli separati. Anche qui si tratta di fissare delle tappe ma cominciare subito. Vi sono degli strumenti e altri se ne devono creare. Il mercato del lavoro è cambiato, non è più fisso, ma non può essere lasciato a sé stesso, deve essere indirizzato e governato. Non è vero che in Italia c'è troppo governo, ce ne è di vecchio e di sbagliato. È possibile, è necessario un governo capace di contemperare efficienza e solidarietà.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==