Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 46/47 - nov./dic. 1993

{>!LBIANCO ~ILROSSO ••11 )-1§ 18; 1 LaPacebambina haancoramoltinemici - I gor Man, invialo ed editorialista de «La Stampa», è uno dei massimi esponenti di problemi mediorientali. Il suo «Diario Arabo», tra l'altro, edito da Bompiani, ha vinto il premio - Estense, che è il più prestigioso riconoscimento letterario italiano, e il premio «Colomba d'oro per la Pace», ex aequo con Amnesty International. Da decenni egli è un «attivista» della pace possibile, nella terra di Palestina, anche quando esserlo voleva dire essere accusali di «tradimento», o peggio, di antisemitismo e filoarabismo preconcetto. Gli accordi di Washington, per lui, possono anche essere una specie di riconoscimento alla lungimiranza o, almeno, alla speranza. In questa intervista, egli non ci nasconde le ombre e i pericoli che ancora offuscano l'orizzonte, ma ricorda che la pace è un bene per tutti, ben oltre i confini del Medio Oriente. Qual è, la tua reazione di osservatore pluridecennale. e di instancabile «sognatore di pace», di fronte agli accordi? «Una prima grande soddisfazione. Il muro è caduto, alla vigilia del Terzo Millennio. Ho speso bene, credo, quarant'anni della mia vita: palestinesi arabi e palestinesi ebrei si sono finalmente riconosciuti, sotto gli occhi di un miliardo di persone. Ho auspicato questo riconoscimento reciproco da sempre, pagando prezzi altissimi personali. Non ho mai ceduto al servilismo, pur così diffuso, nei conIntervista IgorMan di Giovanni Gennari fronti di una immagine che in fin dei conti danneggiava Israele e la sua causa. Quando criticavo Shamir, e il suo ripetere in mille modi, fedele allo schema sionista revisionista, che "i palestinesi non esistono", e che la "Terra di Israele" è l'eredità divina del popolo ebraico, ho ricevuto ingiurie a non finire. L'anno scorso, dopo la vittoria dei laburisti, egli dichiarò alla Tv israeliana che aveva accettalo l'invito a recarsi a Madrid, per aprire i colloqui, solo per non offendere gli americani, ma che per quanto dipendeva da lui si sarebbe andati avanti a chiacchiere anche per dieci anni, ma la pace non l'avrebbe mai firmata ... E i giornali italiani, quasi tutti, continuavano a ritenere Shamir un realista. Sono stato insultato pubblicamente quando ho scritto che lui "non voleva la pace". Sia chiaro che questa mia, però, non è la soddisfazione di aver avuto ragione, ma la soddisfazione per una vera e concreta speranza di pace ... » Ma. in realtà, questa speranza era una concretezza o una utopia? Ci speravi sul serio? «Al Tg3, la sera degli accordi, la collega Sattanino mi ha chiesto se avevo mai pensalo che "il miracolo" accadesse in tempi così stretti. Ho risposto di no, anche se ho detto che ci speravo, soprattutto dal momento delle elezioni che hanno visto Rabin vincitore, e ancora di più dai primi di giugno di quest'anno quando ho parlato lunga81 mente aì telefono con Bassan Abu Sherif, consigliere di Arafat. Rabin ha stravinto le elezioni puntando diritto sulla pace. Anche in Israele c'è tanta gente che è stanca dell'odio e della tensione di una guerra perpetua. Molta gente ha visto in Rabin la promessa di tempi nuovi, tempi di pace. So di parecchi che avevano già deciso di andar via, verso gli Usa o verso l'Europa, ma sono rimasti mossi dalla speranza di pace». Una pace ormai prossima, o addirittura conquistata? «Tuttaltro. Una grande Tv americana mi ha chiesto se ero appagato. Ho risposto che ero contento, ma appagato proprio no. Anzi. Ora è il momento di lavorare più di prima, e sarà un lavoro lungo, e altrettanto duro, perché i nemici della pace sono ancora tanti e potenti, da entrambe le parti. Un punto di partenza è conquistato. Come mi disse quella volta al telefono Abu Sherif, "il vecchio", e cioè Arafat, ha deciso di prendere in mano la fune, e di non mollarla più. Questo è il "riconoscimento" reciproco. È davvero un inizio: dal 13 settembre 1993 Israele, per i palestinesi, non è più "l'entità sionista" da maledire e distruggere, ma l'altro, con cui dialogare e convivere. E da quello stesso giorno l'Olp non è più, per Israele, "la banda di terroristi assassini", ma, anche qui, l'altro, con cui trattare. Ha scritto lucidamente Thomas L. Friedman, sul New York Times, che quella stretta di mano ha trasformato una guerra ideologica in un confronto pra-

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