{)!LBIANCO W.ILROSSO NIINl•ti Perunanuovapolitica deitempidi lavoro di GabrieleOlini L a grande questione di una dinamica della produttività più elevata rispetto a quella della produzione sta di nuovo facendo sentire i suoi effetti nei paesi più industrializzati. Si rischia una società polarizzata tra coloro che sono esclusi dal lavoro e dal reddito e quelli, anche tra i dipendenti, che possono godere di un potere d'acquisto più elevato. Penso che pochi sottovalutino, in Italia ed altrove, le molte ragioni che determinano tale polarizzazione; ciò a cominciare dalla mancata concertazione delle politiche macroeconomiche sulla base di una adesione, ideologica o necessitata, ai precetti del monetarismo. Ma come si può non condividere l'idea, ripresa anche da Alain Tòuraine in un bellissimo e recente articolo, che oggi è necessario un cambiamento di priorità? L'aumento della produttività non dovrebbe piu comportare un aumento dei redditi, ma essere destinato alla riduzione della durata individuale di lavoro e, dunque, alla stabilità dei redditi per permettere un aumento dei posti di lavoro. È ben vero quindi che l'obiettivo della riduzione di orario condiziona la destinazione dei margini di produttività ed è quindi una partita essenzialmente tra datore di lavoro e dipendente. Ma abbiamo la necessità di arrivare a riduzioni dell'orario di una certa consistenza, perché queste appaiono le più utili ai fini dell'occupazione; questo porta a far propendere per un ruolo incentivante dello Stato. Occorre ipotizzare che le imprese che riducono in modo strutturale le ore lavorate ricevano un contributo, pur parziale e transitorio, tramite un Fondo per la riorganizzazione degli orari di lavoro. Ma questo non basta. Il dibattito sul tempo di 58 lavoro riparte do c un periodo, quello degli anni Ottanta, di grandi discussioni e di cocenti delusioni. Ancora una volta a riattivare l'interesse è la situazione di crisi occupazionale, il che ha un po' il sapore delle conversioni in pùnto di morte. Rispetto al dato positivo di una ripresa di interesse oer i.rn tema cos: importante, innanzitutto per il sindacato, il rischio è quello di una stanca riedizione di schieramenti ideologici già visti con slogan ipersemplificati e contrapposti del genere «buono» «no buono» di arboriana memoria. Per fortuna lo scenario internazionale offre oc_:qisituazioni più articolate e complesse, come ben si ricava nel caso della Volkswagen e nel dibattito in Francia sul piano quinquennale per l'occupazione. In materia di orario i vecchi tabù degli anni '80, sia degli imprenditori tedeschi che dell'area politica di centro destra in Francia, appJ:ono se non supernti, almeno in via di superamento. Questa fa apparire anacronistico un arroccamento in una posizione di aprioristico rifiuto dell'imprenditoria italiana. Ma soprattutto l'esperienza degli anni Ottanta sconsiglia di ripercorrere sentieri già noti, che, vaiidi llora, apparirebbero oggi inevitabilmente datati. Soprattutto appare necessario un progetto di riorganizzazione e di riduzione del tempo più ampio ed articolato rispetto alla sola proposizione di tagli generalizzati ed indifferenziati degli orari; le riduzioni «omeopatiche» degli anni Ottanta sono state inefficaci ed oggi appaiono inadeguate non solo e non tanto perché piccole, ma perché, calate in un contesto normativo sfavorevole, hanno portato ad un risultato opposto rispetto a quello atteso. Ma andiamo con ordine. Ld politica del tempo ài lavoro deve ripartire, oggi, tenendo conto di alcuni grandi fenomeni
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