Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 46/47 - nov./dic. 1993

{',!_LBIANCO '-'L, IL ROSSO Niki;iiiiki Misureconcrete mirate persostenerel'occupazione di Pietro Merli Brandini a disoccupazione è e resta il problema più serio. È anche un problema che si presenta in L forme inedite. Per la prima volta, nei paesi occidentali, oltre i giovani e i disoccupati di lunga durata, entrano in disoccupazione ingegneri, quadri tecnici e amministrativi, managers e non pochi piccoli e medi imprenditori. Intorno alla disoccupazione si studia. L'Ocse, non senza contrasti, ha promosso uno studio imponente. Non si tratta dell'analisi tradizionale di tipo macroeconomico (indicazione del saggio di crescita che garantisce la ripresa dell'occupazione e la diminuzione della disoccupazione) ma di capire quali altre cause sono all'origine della disoccupazione attuale nelle sue varie forme (innovazioni tecnologiche e organizzative, politiche commerciali, politica della c0ncorrenza). Le previsioni generali tendono al pessimismo generale. Prevale l'opinione che anche una crescita al 3%, benché necessaria, può essere insufficiente a mantenere livello e struttura dell'occupazione. A tale scopo è determinante una politica generalizzata di riduzione dei tassi di interesse, a partire dall'Ocse. Si comincia così a considerare inattaccabile lo stock di disoccupazione e si ritiene che essa sia ormai strutturale. Certo la flessibilità del lavoro (mobilità) e strutture flessibili dell'impiego (parttime, lavoro interinale, lavoro a tempo determinato, redistribuzione orari annuali, mensili, settimanali, ecc.) riducono l'impatto della disoccupazione e ne ripartiscono il costo. La diminuzione degli orari (generalizzata in tutti i paesi come ora si preannuncia) è altra misura di grande importanza. La situazione potrà certamente alleviarsi, ma non consentirà, come è necessario, ad una situazione di pieno impiego. 56 In definitiva i mercati del lavoro occidentali non solo si frammentano, ma presentano singolari situazioni di eccedenza di alte capacità tecnico-organizzative (nei paesi sviluppati) a fronte di ancor più gravi carenze di tali capacità sia nei Paesi dell'Est che nei Paesi in via di sviluppo. L'interdipendenza economica si trasforma in crisi sia sociale che nei mercati del lavoro. Ricordiamo che nei Paesi di nuova industrializzazione del Sud asiatico il paese a più alti costi del lavoro (industria meccanica) è la Corea del Sud, con 3 dollari l'ora contro i 24 dollari della Svizzera, i 22 della Germania, i 18 dell'Italia, e i 16 del Giappone. La Cisl internazionale si batte da anni, purtroppo senza risultati, per la cosiddetta «clausola sociale» negli accordi Gatt per evitare che salari anormalmente bassi rispetto alla produttività, determinino alterazioni gravi nelle condizioni di concorrenza. Comunque questo è il panorama mondiale, destinato ad aggravare e non ad allegerire i problemi dei mercati del lavoro dei Paesi industrializzati. Cosa fare? Come è facile concludere, occorre ormai pensare tanto a misure interne ai singoli paesi quanto a misure esterne. Nell'interno occorre ridefinire misure di job creation, misure di flessibilità e redistribuzione del lavoro unite a misure di sostegno del!' accumulazione specie nei settori dell'impresa pubblica. All'esterno occorre ripensare totalmente le politiche di cooperazione allo sviluppo e del credito al!'esportazione finalizzandole essenzialmente allo sviluppo cooperativo e concertato dei poli industriali di sviluppo (di piccole e medie imprese) nei Paesi in via di sviluppo. Sempre in questo quadro si possono utilizzare «sistemi pro-

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