Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 46/47 - nov./dic. 1993

- I - {)!LBIANCO "-'L, ILROSSO liiki+iliii Versoleelezionipolitiche conunaleggeancoraimperfetta di Stefano Ceccanti limiti fondamentali delle leggi elettorali della Camera (che sono maggiori) e del Senato (che sono minori) sono abbastanza chiari: in primo luogo alla Camera vi possono essere più simboli intorno ad unico candidato uninominale (al Senato no: un simbolo per candidato), tendendo quindi a farne il portavoce di una somma di partiti; in secondo luogo la scelta del turno unico non comprime a sufficienza la frammentazione delle candidature (molti candidati si possono illudere di arrivare alla maggioranza relativa) e quindi fa sì che l'eletto, in un contesto frammentato, possa riuscirvi anche con percentuali troppo basse (il 25% ad esempio); in terzo luogo non c'è un legame con una chiara competizione nazionale di Governo, con l'elezione del vertice dell'esecutivo (meglio il Premier, ma al limite anche il Presidente della Repubblica); l'elettorato può essere portato a votare solo secondo logiche di rappresentanza di collegio e non anche di scelta tra maggioranze nazionali alternative; in quarto luogo alla Camera la doppia scheda (una per l'uninominale, l'altra per il recupero, mentre al Senato è unica) complica eccessivamente le cose, contribuendo a salvare i vecchi simboli e la vecchia frammentazione partitica almeno per il canale di recupero proporzionale, dove ciascuno sarà incentivato ad andare per conto proprio. Questi sono i limiti principali, lamentarsene non serve a questo punto a granché. L'approccio deve essere diverso: come si può fare, attraverso un'iniziativa politica, a contenere quei limiti limitandoli al minimo? Riprendiamoli uno per uno. Il primo passo è quello di usare un unico simbolo per tutti i candidati uninominali progressisti, compresi quelli della Camera. Questo punto finalmente il Pds l'ha accettato. Questo significa che i candidati comuni non saranno l'espressio55 ne di una semplice somma di forze, ciascuna con la propria identità separata, ma di un'unità che è qualcosa in più della semplice somma degli addendi. È quindi un problema di fatto già risolto. È una scelta gravida di conseguenze per la selezione dei candidati, giacché (secondo passo) deve esservi un solo candidato progressista per collegio, si deve fare in un turno ciò che nei Comuni si fa talora solo al secondo: per questo occorre una seria consultazione della base e il controllo di garanti super partes, evitando trattative tra vertici di partito. Ciò comporterà conseguenze fortissime anche per il dopo, per la presenza in Parlamento, con la spinta verso un gruppo parlamentare unificato. Il terzo passo è quello di elaborare un programma comune di Governo da fare sottoscrivere ai candidati, programma che preveda anche l'indicazione politica del Primo Ministro e dei principali ministri. È un dovere di serietà politica a cui non ci si può sottrarre. Due schede su tre dovrebbero quindi vedere i progressisti uniti con una scelta nazionale comune, nella terza, quella del recupero proporzionale della Camera, vi sarebbe un certo sventagliamento di liste, come accade nei Comuni per le varie liste che sostengono lo stesso candidato sindaco, ma è evidente a tutti che si tratterebbe di un elemento residuale, secondario, destinato a scomparire, nelle successive elezioni. Il quarto problema non sarebbe quindi di per sé risolto, ma limitato al massimo nei suoi effetti negativi. Perché questo scenario si affermi è necessaria ora la vittoria dei sindaci progressisti proposti dalle Alleanze locali. A partire da quell'elemento propulsivo vi sarà la spinta psicologica e politica a risolvere con l'iniziativa ciò che non si è avuto interamente dalla legge.

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