D!.L BIANCO ~ILROSSO t+iiki+il•t;i Cristiano-SocialNi?o,grazie. Perquestacrisicivuolealtro di Luigi Covatta s crivo dopo la costituzione del movimento Cristiano-Sociale e prima del voto amministrativo del 21 novembre. Avrei preferito scrivere prima della costituzione dei Cristiano-Sociali non solo perché, di regola, mi piace esprimere pareri utilizzabili, piuttosto che commenti post factum. Anche perché penso che un passo come quello di Camiti e Gorrieri sarebbe stato comprensibile solo dopo l'eventuale fallimento di un tentativo di raccordo fra le forze sparse della democrazia italiana in occasione dell'elezione dei sindaci di Roma, Napoli, Palermo, Genova e Venezia. Non so perché questo tentativo sia fallito prima di nascere. Le spiegazioni in termini di diplomazia segreta non solo non mi convincono, ma mi spaventano. Non mi sembrano adeguate alla drammaticità dei tempi che viviamo. Ma forse il mio dissenso nei confronti dei promotori del movimento Cristiano-Sociale deriva proprio da una diversa valutazione dei tempi che viviamo. Secondo me, questo non è il momento giusto per scavarsi una nicchia. C'è, nella politica italiana, una generale sottovalutazione del pericolo di destra. Di quello rappresentato dalla Lega, e di quello rappresentato dal Msi. Si insegue il bipolarismo, ma si continua a ritenere ovvio quello che ovvio non è più, e cioè che i due poli stiano entrambi ben piantati nel!' area democratica, o ex arco costituzionale che dir si voglia. Si commette lo stesso errore che commisero quanti, nel '44, volevano dividersi fra monarchici e repubblicani. Non che manchino i campioni anti-leghisti (dei missini nessuno si è ancora accorto), da Segni, a Martinazzoli, a Occhetto, pronti a procombere solo loro per tagliare la testa al drago. Ma sono, appunto, piuttosto interessati a che la tenzone sia 29 singolare, per cui tocchi solo a loro procombere, che non a vincere con altri. Eppure, tutti sanno che quello rappresentato dalla Lega non è un fenomeno effimero, ma costituisce la forma politica che assume lo spostamento a destra dell'elettorato del Nord. E tutti sapranno, dopo il 21 novembre, che il pendant centro-meridionale del fenomeno Lega non sarà la Dc di Mastella (quella che ha turbato i sonni di qualche promotore del movimento Cristiano-Sociale), ma il Msi di Fini e della Mussolini. La domanda è: ha senso, in presenza di uno spostamento a destra del 40% dell'elettorato, dividere il residuo 60% fra «progressisti» e «moderati»? Del resto, che sia necessario un ripensamento delle tradizionali categorie politiche lo dimostra l'uso e l'abuso che si fa del termine «progressista». Che non significhi nulla, lo sanno anche i sassi. Che serva ad alludere a uno schieramento che non si ha il coraggio di definire socialdemocratico, lo sospettano in molti. Che rischi di evocare il linguaggio, e i concetti, dei fronti popolari della Terza internazionale, qualcuno lo pensa, ma nessuno lo dice. Quello che è chiaro è che questo schieramento «progressista» è uno schieramento residuale. Non ha forza attrattiva se è vero, come è vero, che il crollo del vecchio schieramento di governo ha premiato la destra, piuttosto che la sinistra. Di questo non si può far colpa solo agli errori tattici e alle incertezze strategiche del Pds. Non sono solo le alleanze con Rifondazione e con la Rete a indebolire la sinistra. Ne è il disorientamento (uso un eufemismo) del Psi. La verità è che, se con i fatti del 1989è crollato il comunismo, con la crisi occupazionale del 1993 sta crollando il laburismo. La sinistra che
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