{)!LBIANCO ~ILROSSO iiiiiillii Perilfuturop:attopolitico nazionaledequitàsociale di Rosy Bindi Q ualche anno fa, un uomo politico ideologizzato e insieme opportunista scrisse, con riferimento ad una stagione passata, un libro dal titolo «Formidabili quegli anni». Non so se, tra dieci o venti anni, qualcuno potrà scrivere una riflessione sul!'attuale periodo utilizzando il medesimo attributo. Si potrà dire che sono stati anni di rinnovamento della classe politica, anni in cui si sono estirpate tanto male piante cresciute in gangli dell'apparato statale, in cui degenerazioni vecchie e nuove sono state svelate e colpite. Si dovrà anche dire, però, che il triennio '92-'94 è stato un periodo di lotta politica brutale, di calunnie affiancate alla verità, di media usati come propellente per affermare la questione morale, ma molte volte anch\3 come arma di parte. Anni di clamori spesso sacrosanti, ma anni in cui sono stati sacrificati alcuni punti nodali. In un confronto politico sempre più imbarbarito, in uno scenario di scandali veri e di notizie infondate o con lo stillicidio dell'indiscrezione progressiva, di furfanti scoperti e di risse televisive, non ci si è accorti che vi sono alcuni problemi decisivi che non sono riusciti a farsi spazio nell'attenzione collettiva: fra questi, uno è la questione del patto politico alla base della no.stra convivenza, e un altro è individuabile nella questione sociale. Per tali ragioni, ed è vero che vorrei confrontarmi con i Cristiano-Sociali su molti problemi (dalla via d'uscita da Tangentopoli dalla modernizzazione del paese, dal dramma della disoccupazione al ruolo dell'Italia per la costruzione dell'Europa e di un rapporto più equo col Sud del mondo ... ), preferisco concentrarmi sui due temi che indicavo, o su un terzo che entra in gioco su un problema più interno ai rapporti fra popolari e Cristiano-Sociali. 18 Di fronte alle minacce di secessione della Lega, che ritengo pericoloso giudicare semplici boutades, si è eretta una prima linea difensiva: l'unità nazionale, la solidarietà verso le aree deboli di questo paese, il tributo di sangue pagato per quest'unità, dai martiri del Risorgimento (è possibile dirlo senza enfasi) fino ai giudici, agenti di polizia e politici uccisi dalla mafia. Tale linea difensiva, che naturalmente è ineccepibile, non arriva però al cuore del problema: l'affermarsi, prima strisciante e oggi sempre più esplicito, di una concezione della nostra convivenza come contratto quasi privatistico e non come patto etico-politico. Dietro la proposta di un plebiscito, dal potere «costituente», dietro la minaccia del ritiro della delegazione leghista dal Parlamento, dietro la «costituzionalizzazione» della rivolta fìscale, vi è un problema che tocca i fondamenti ultimi della nostra convivenza: questa è vista non più come obbligo giuridico e soprattutto morale, fondato su un patto preciso (la Costituzione) che ha il carattere dell'irreversibilità (salvo i casi limite di una guerra civile, di un colpo di stato ... ), ma come un contratto con clausole di risolubilità e rescindibilità in cui l'adesione all'unità nazionale è qualcosa di negoziabile ormai di anno in anno, a seconda del consenso o meno sulla finanziaria o sui pronunciamenti del Capo dello stato (peraltro ineccepibili). La cosa non riguarda solo la brutalità verbale di Bossi e Maroni, ma è più sottile, il fatto meno appariscente e più sconcertante è che una quota significativa degli italiani del Nord, e non solo nei ceti medi, ha assimilato quella concezione privatistica, senza percepirne il carattere eversivo. In questo clima, le ambiguità non finiscono qui. Bene ha fatto Ermanno Gorrieri («Repubblica», 3 novembre) a denunciare l'accodar-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==