Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 46/47 - nov./dic. 1993

.{)!.LBIANCO ~ILROSSO •;i kiil•t;i la propensione ad assegnare alla politica un pregnante compito regolativo rispetto all'ambiente. Il rovescio della prospettiva del darwinismo sociale: quello - per dirla con Amartya Sen - contraddistinto dalla «concentrazione sull'adattamento della specie piuttosto che sulla regolazione dell'ambiente in cui le specie conducono la loro vita»; b) la tensione all'uguaglianza in concreto accessibile dentro i vincoli di un'economia di mercato. Che domanda di trascendere il principio liberale dell'uguaglianza dei punti di partenza, che si fa carico cioè di contrastare per via politica le differenze più macroscopiche anche negli approdi. In definitiva, acquisito che, in democrazia, si darà sempre un conflitto tra preferenze che politicamente si organizzano, per stabilire le discriminanti tra i poli e le conseguenti collocazioni, si tratta di determinare quali siari.o oggi i punti, i terreni preminenti del conflitto politico. In estrema sintesi, a me pare di poterne rilevare due decisivi: il primo è appunto quello antico e classico della tensione all'uguaglianza compatibile col sistema economico-politico dato (ma flessibile, riformabile); il secondo è quello, diciamo così «post-materialista», della nozione di persona col suo corredo di diritti inalienabili. È evidente che decisivi sono e sempre più saranno i programmi e i comportamenti, in un tempo nel quale la politica è provvidenzialmente ridotta allo stato laicale. Ma attenzione: i programmi non sono un arido, materiale elenco di cose da fare: essi rimandano a un orizzonte e dunque ad opzioni assiologiche. Diciamo così, meno ideologiche e più etico-politiche. Non è difficile, per esempio, convenire sull'idea della centralità dei problemi del lavoro - del lavoro che manca e del lavoro che cambia, come usa dire - e delle politiche sociali e familiari nelle priorità-programmatiche del fronte riformatore. Ancorché nell'alveo di un programma organico sostenuto da un'affinata, moderna cultura economica e politica, immune da spirito paternalistico e da moduli assistenzialistici. Per la formazione dello schieramento riformatore, qualificante e determinante è l'apporto del cattolicesimo democratico e sociale. Sia in termini di consenso, di mobilitazione, di militanza e di classe dirigente. Sia - e soprattutto - ai fini della qualità della proposta politica. Che si arricchirebbe, per questa via, di elementi quali: 17 a) l'orizzonte personalista, non escludente, dell'et. ... et. ... ; b) il solidarismo cristiano nell'alveo della comprensiva nozione di bene comune; c) il principio di sussidiarietà e dunque la cultura delle autonomie sociali, culturali, territoriali; d) l'apertura universalistica e la tensione alla pace nella giustizia; e) la lucida, pensosa consapevolezza del limite della politica ai fini della salvezza dell'uomo, che rappresenta una garanzia rispetto alle pretese totalizzanti del potere politico. Non è chi non vede come queste istanze, opportunamente elaborate e mediate dalla politica, rappresentino una risorsa preziosa e singolarmente congeniale alle sfide della post-modernità. Del resto, osservando il problema dal punto di vista del cattolicesimo democratico, come non rilevare il suo naturale orientamento riformatore? Sempre che ci si intenda sulla nozione di cattolicesimo democratico: che non coincide con l'intero fronte del cattolicesimo politico, ma solo un pezzo di esso. Anzi, spesso, storicamente ne è stato un'espressione di minoranza. Quello che si ispira alla laicità della politica e che, contestualmente, confida nella pregnanza politico-programmatica (e appunto nella carica riformatrice e solidarista) dell'ispirazione cristiana; quello che scommette sulla fecondità del nesso tra cristianesimo e democrazia, adoperandosi per trascendere la interpretazione meramente formale della democrazia stessa. Mortificare la spinta e l'approdo riformatore del cattolicesimo democratico e sociale produrrebbe (e già produce) un esito schizofrenico: come trattenere entro un angusto orizzonte liberaldemocratico di segno moderato giovani e non cresciuti alla severa scuola dell'associazionismo, del volontariato, della cooperazione solidale, dell'obiezione di coscienza? È problema che quanti portano responsabilità educative entro la comunità cristiana devono onestamente porsi. Delle due l'una: o quelle esigenti istanze di valore predicate e raccomandate nella sfera pre-politica trovano una loro coerente proiezione politica o, inesorabilmente, ne escono delegittimate e svilite quale espressione di ingenua, impolitica retorica. Mi chiedo: è buona cosa colpevolizzare o quantomeno indurre frustrazione in chi ha il solo torto di prendere sul serio la dottrina sociale della Chiesa e di non rassegnarsi a una sua sostanziale sterilità politica?

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