Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 46/47 - nov./dic. 1993

{)1.LBIANCO OiZ,,ILROSSO Pi•iil•ii None' è Polodiprogresso senzai cattolicidemocratici di Franco Monaco a qualche tempo, monta una sorta di «ideoD logia dell'anti-ideologia» che va smascherata. Si fa strada - anche perché propalata da grandi media, a cominciare da saccenti opinionisti del «Corriere della Sera» - l'idea, equivoca e fuorviante, secondo la quale il tramonto delle ideologie di matrice ottocentesca avrebbe portato con sé la dissoluzione delle differenze. A questo assunto corrisponde - ancorché non tematizzata ed esplicitata - la prospettiva di una politica appaltata a circoscritte elite tecnocratiche competenti nella buona amministrazione. Vi soggiace, a ben guardare, la deriva sino all'eclissi di una nozione genuinamente democratica della politica, almeno sotto due profili: a) nel suo carattere partecipativo, quale espressione di libertà collettiva, di un popolo che si autogoverna; b) nella sua valenza pluralistica e sanamente competitiva, ove la politica si concreta nella contesa tra forze che diversamente interpretano e organizzano interessi e valori insediati dentro la società civile. E tuttavia, in questo dogmatismo anti-ideologico, si può riscontrare un'anima di verità. Alludo alla consapevolezza dei vincoli. Sia quelli che ci vengono dalle lezioni della storin, che non solo si è incaricata di smentire disegni millenaristici, miti totalizzanti o anche solo velleitarie «terze vie» tra capitalismo e collettivismo, per sanzionare la «superiorità» dell'economia di mercato e della democrazia politica. Sia i vincoli introdotti dalla competizione economica e tecnologica su base planetaria. Sia quelli - differenziali, specificamente italiani - che ci affliggono in ragione del nostro disastrato deficit pubblico. Tutte circostanze che comprimono obiettivamente lo spettro delle opzioni e delle decisioni politiche realisticamente praticabili da parte di chi si 15 candida al governo del paese. Al punto che taluni, esagerando, sostengono che, ancora per un tempo non breve, chiunque dovesse assumere responsabilità di governo sarebbe costretto dalle circostanze e dai condizionamenti a fare esattamente le stesse, medesime cose dei suoi convenzionali avversari politici. In questo orizzonte reale e materiale, si innestano le nuove regole elettorali. Esse, come è noto, nonostante le loro contraddizioni, complessivamente premono nella direzione di una politica per cartelli. Anche perché nessun oggetto politico (tranne forse la Lega al Nord, ma non ovunque) può bastare a se stesso. Certo, il sistema politico ancora non si configura come bipolare. E, al momento, forse è bene che così non sia, perché la tanto auspicata democrazia dell'alternanza non può far perno rispettivamente su Lega e Pds: le democrazie mature, infatti, presuppongono un certo indice di omogeneità ideologica tra soggetti pur tra loro antagonisti sul piano politico, nel segno di una competizione aperta e anche aspra, ma a riparo da esasperazioni suscettibili di incrinare la tenuta del sistema, le regole del gioco i valori fondanti della convivenza. Del resto, il disagio di larghi settori del corpo elettorale a fronte di un'alternativa tanto secca è testimonianza di un vuoto di iniziativa politica da colmare. Sbagliano tuttavia coloro che affollano un centro politicamente indistinto. Perché, se il sistema non è bipolare, esso è tuttavia attraversato da logiche/dinamiche bipolari. Chi, dunque, legittimamente _sicandida a interpretare le istanze di quell'elettorato che si situa tra Lega e Pds (ma anche a contendere ad essi quote di consenso) dovrebbe tuttavia optare e orientarsi nell'una o nell'altra direzione. Inesorabilmente interloquendo con Lega e Pds. Stabilendo con

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