Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 45 - ottobre 1993

Il solo fatto che tutti i cittadini possano accedere alla scuola pubblica, alla sanità pubblica, alle pensioni pubbliche è un potente fattore di riduzione delle disuguaglianze. La tesi neoliberista della «protezione minimale» si intreccia con una prospettiva fortemente innovativa, che però nulla ha a che fare con lo slogan «meno Stato, più mercato». Si tratta della proposta, largamente diffusa, del passaggio dal «welfare state» alla «welfare society» o «welfare community». Questa proposta trae origine non tanto da finalità di risparmio nella spesa, quanto piuttosto di trasformazione del «welfare pubblico» verso un sistema integrato di protezione sociale, in cui siano riconosciuti alla società e alle sue articolazioni comunitarie spazi e poteri autonomi di iniziativa, di partecipazione, di gestione e di controllo efficace e responsabile. Tra gli obiettivi: cambiare radicalmente il modo d'essere dei servizi, sburocratizzandoli e rendendoli più flessibili e mirati; responsabilizzare l'intero tessuto sociale e comunitario; promuovere i cittadini e le famiglie da utenti passivi a partecipi e attori nella soluzione dei problemi, in una logica non marginale di autotutela ed autopromozione. Ovvio e necessario corollario di questa impostazione è il massimo decentramento possibile delle politiche sociali anche sul piano istituzionale e finanziario. Non a caso la proposta trova i 'più convinti consensi tra gli operatori impegnati, sia a titolo professionale che volontario, nei servizi socio- assistenziali, tra le associazioni solidaristiche e del volontariato, nelle organizzazioni delle famiglie e tra gli studiosi che hanno portato alla riscoperta dei mondi vitali, contro la cultura della pubblicizzazione a oltranza e della riduzione dello spazio e delle funzioni delle famiglie. Si tratta di una prospettiva pienamente valida, purché si tenga conto della complessità dei problemi: in particolare della molteplicità degli interventi che configurano il soddisfacimento dei diritti sociali di cittadinan- {)!.LBIANCO ~ILROSSO •1•1~-sJ•H;J za. Non tutto consiste nei servizi alla persona diffusi nel territorio; decisivi capitoli della politica sociale - occupazione, istruzione, redistribuzioni monetarie, riequilibrio territoriale, ecc. - restano precipuo compito delle politiche pubbliche e delle istituzioni a livello nazionale. Nell'ambito stesso delle politiche regionali e locali, restano essenziali competenze pubbliche: non solo di programmazione e di controllo, ma anche di gestione. Va dunque ricercata in un «mix» di intervento pubblico e di iniziativa sociale la risposta alla crisi dello Stato sociale, tenendo comunque fermo il principio, sanzionato anche costituzionalmente, che compete al sistema politico-istituzionale la responsabilità e la funzione di garanzia del soddisfacimento dei diritti sociali di cittadinanza, qualunque sia la modalità o la forma di gestione dei servizi e di erogazione delle prestazioni. 33 9. Considerato il ruolo che comunque compete all'intervento pubblico, pur nel quadro di uno Stato sociale profondamente riformato, deve rimanere primario l'impegno per riorganizzare secondo rigorosi criteri di efficienza e di efficacia la produzione pubblica dei servizi sociali. Inoltre la natura strutturale della crisi di finanziamento dello Stato sociale rende imprescindibile la partecipazione degli utenti al costo dei servizi. È dunque necessario affidare anche agli interventi e alle prestazioni dello Stato sociale la duplice funzione di concorrere alla raccolta dei mezzi finanziari e all'azione redistributiva delle risorse. A tal fine va definita una graduatoria dei servizi in base alla loro corrispondenza a bisogni più o meno primari. Le quote di partecipazione dei cittadini al costo dei servizi devono essere diversificate in ragione sia del grado di essenzialità di questi ultimi, sia dell'effettiva situazione reddituale dei singoli, valutata col «parametro famiglia». Criteri analoghi debbono valere per le erogazioni monetarie. A parte situazioni particolari (handicap, malattia e simili), le misure di sostegno economico devono essere finalizzate - per ovvie ragioni di limitatezza delle risorse e di efficacia ed equità degli interventi - alle fasce d'età fuori dal mercato del lavoro, cioè i minori e gli anziani, e alle situazioni di effettivobisogno. Quanto agli anziani si deve arrivare alla netta separazione - concettuale e operativa - fra le pensioni professionali dei lavoratori (dipendenti e autonomi) e il trattamento economico dei cittadini anziani. L'equità esige, da un lato, che le pensioni professionali siano rapportate all'intera storia retributiva e contributiva dei lavoratori e che i trattamenti pensionistici siano omogeneizzati, e, dall'altro che ai cittadini anziani la società assicuri - non come «assistenza», bensì come «diritto di cittadinanza» - il necessario per vivere, qualunque sia stata la loro storia lavorativa. Pertanto, in luogo dell'attuale misera pensione sociale e dell'impropria integrazione delle pensioni professionali inferiori al minimo, lo

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