Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 45 - ottobre 1993

O~BIANCO ~ILROSSO Piiiiliii viene dal sottosviluppo, che si è solo infiltrata, da estranea, nei santuari moderni della politica e dell'economia, soprattutto finanziaria. La mafia, invece, ormai pensa ed agisce nella modernizzazione, che non esclude, anzi mantiene alti i livelli di degrado sociale e le ineguaglianze ed esclusioni. Come pure non si vuole accettare integrato del sistema mafioso: saper stare su più poteri (politico-economico) e in diverse dimensioni sociali (controllo dei quartieri) e culturali (linguaggio, valori, comportamenti). Cambiare i caratteri cieli'attuale modernizzazione e combattere su più aspetti il sistema mafioso inizia ad avere in tante realtà del volontariato e dell'associazionismo accoglienza, sperimentazione e diffusione popolare. Silenziosamente tantissimi gruppi hanno iniziato a sviluppare nuove esperienze di vita comunitaria. Tante persone cominciano a capire che i loro bisogni devono incontrare i diritti, la solidarietà, il ruolo dello Stato e dei servizi sociali. I ragazzi devono poter avere altri punti di riferimento e di vita quotidiana. Le stesse famiglie vanno rese più responsabili del loro ruolo sociale e di partecipazione politica. Di queste realtà non si parla. Non fanno notizia. Nei quartieri di Palermo, di Gela, di Catania, di Messina, di Trapani, di Marsala, di Ragusa ... e di altre città tanti gruppi sono impegnati nella vera sfida da portare alla mafia: la socializzazione del territorio. La storia ad esempio delle varie realtà organizzate del volontariato moderno è una chiara dimostrazione: hanno scelto non di fare assistenzialismo né di limitarsi a constatare i guasti sociali, ma di condividere (stare con, e non fare per gli ultimi) per rimuovere le cause de'll'emar19 ginazione di cui si nutre la mafia. Si è tentato di dar vita ad un nuovo modo di fare e di pensare il volontariato. In sostanza c'è stato il rifiuto di considerare gli ultimi o gli emarginati degli utenti da assistere o da standardizzare in schede e in servizi ripetitivi. Si tratta, invece, di persone che hanno un nome, Giorgio, Francesca, Lorenzo, Daniela, Maria, Mohamed e che non si possono ridurre a categorie: i tossicodipendenti, gli immigrati o i «neri», i nomadi, i minori a rischio, i portatori di handicap ... sono persone che hanno una loro originalità, coscienza, carattere, valori come anche limiti e meschinità. Sono delle persone normali, emarginate da una «normalità» guasta superficiale che ha favorito l'espandersi del controllo del territorio da parte della mafia. Non è stato un incontro facile, perché tutti, anche i volontari, siamo figli di questa società. Guai se pensassimo di avere delle virtù superiori o innate. Comunque un cammino si è fatto, c'è una forte tensione critica e progettuale sempre meno assistenzialistica, bigotta, riparatoria... Questo è stato possibile quando si è sinceramente posto al centro la persona, la giustizia sociale e non altro. È stato possibile perché si è lavorato per realizzare nuovi itinerari della solidarietà nella lotta alla mafia. Ma adesso bisogna fare qualcosa di ulteriore. L'emarginazione avanza e non è difficile prevedere la capacità delle famiglie mafiose di approfittarne. Ecco perché è più che mai necessario collegarci (come già avviene nel Movi e come sta avvenendo in Sicilia con la recente nascita della Conferenza Regionale dei Presidenti delle Associazioni e delle federazioni di Volontariato) e affrontare a partire dal territorio almeno tre sfi-

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