quelli industrializzati non possono produrre le stesse cose della Bulgaria e del Botswana (2000 dollari per abitante). La seconda causa della disoccupazione è da vedere nell'organizzazione delle nostre società che tardano ad adeguarsi ad un uso del tempo più «empatico», cioè in linea con i ritmi della natura, e dello stesso progresso tecnico. Che significa questo? Che se non riprende il processo di riduzione dei tempi di lavoro - passato dalle 3000 ore annue di un secolo fà alle 1600di oggi - arrestatosi dopo la crisi del Kippur (1973-74), niente potrà salvarci da una disoccupazione crescente e senza scampo. Lo sviluppo «compatibile» con l'ambiente significa che nei paesi industrializzati è il reddito di lungo periodo non potrà più crescere come negli anni passati - se non si vuole peggiorare la salute del pianeta, effetto serra, avvelenamento dell'aria e delle falde acquifere, aumento di malattie ambientali come il cancro ecc. - e quindi la crescita di produttività sarà più che sufficiente ad assicurare lo sviluppo «sostenibile»senza altra occupazione. Sarà giocoforza riavviare il processo di redistribuzione degli orari di lavoro, di studio, di tempo libero, al duplice fine di combattere la disoccupazione e di assegnare più tempo a funzioni importanti come la formazione continua ed il «benessere». Benessere che, come ha dimostrato recentemente Giorgio Fuà, dopo un certo livello di reddito non dipende più dalla crescita quantitativa. Avviare questo processo di «sviluppo austero» non sarà facile, occorrerà una sorta di rivoluzione culturale e di rieducazione, assai difficile dopo anni di propaganda vincente a favore del consumismo più bieco e della preminenza del valore «portafoglio»su tutti gli altri valori. Questo nuovo modello di sviluppo, o lo sviluppo «austero»di cui si parla, sarà una conquista assai più dura di quanto si immagini, ma la sola atta a battere la peste del disastro am- {)!LBIANCO ~ILROSSO J.1NINII bientale e della disoccupazione di massa. Intanto, in regime di libero mercato mondiale, occorrerà che noi si sia capaci di creare nuove attività e nuove professionalità per compensare quelle perdute nei settori «maturi» e per scambiare beni e servizi con i paesi meno sviluppati. Nel libro si è costruito uno scenario all'anno 2005 relativo a 300 «nuove professioni» appartenenti a tutti i settori dell'economia: Comunicazione, Beni Culturali, Turismo, Salute, Ambiente, Agricoltura biologica, Finanza, Industria, Informatica. Si è anche proceduto alla stima dell'equivalente di istruzione proprio di ciascuna nuova professione, e si è scoperto, con una certa sorpresa anche da parte dell'autore, che non tutte le «nuove professioni» richiedono un livello culturale di tipo universitario: in termini di occupati solo il 41 % delle «nuove professioni» richiederebbe il massimo di istruzione teorica, il 43% una istruzioCacace Nicola Oltre il 2000 (Consigliper i giovani che lavorerannonel terzomillennio), Franco Angeli ed., Milano 1993, pag. 260, f.. 18.000. NICOLA CACACE OLTREIL2000 CONSIGPUERI GIOVANI CIELAVORERANNEOl.3°-.uNNIO •71 ( ') / -•~I Sceiwlo 2005 per K,-• . ,f ~I . •~~ '·- V del ._. .... prafeaionl FRANCOANGE/LI TREND 67 ne da diploma superiore ed il 16% una istruzione da scuola dell'obbligo. E infine, che tipo di formazione si consiglia al giovane che vuol vivere da protagonista e non da passivo spettatore, l'avventura del prossimo millennio, dominato dalla globalizzazione e dal rischio sempre presente della disoccupazione tecnologica (Clinton, nel discorso sullo stato dell'Unione, ha ammonito i giovani a prepararsi ad una vita dove potrebbero dover cambiare tipo di lavoro sette volte nella loro esistenza)? Le innovazioni necessarie per vivere da protagonisti il prossimo futuro si realizzano meglio se a immaginarle e progettarle sarà l'uomo integrale e non l'uomo superspecializzato di una società industriale di massa che non c'è più. Dagli anni del fordismo e del taylorismo, quando si teorizzava che l'operaio non deve pensare per produrre meglio, siamo passati velocemente in un'epoca di Qualità totale, dove prevale la produzione «snella», cioè con meno livelli gerarchici e lavoratori creativi il più possibile. Allora torna attuale, in certo grado, l'ideale dell'uomo integrale del Rinascimento. Naturalmente non è necessario che tutti sappiano tutto, né che siano dei banchieri, politici, letterati alla Lorenzo dei Medici, o dei pittori, scultori, umanisti, ingegneri alla Leonardo da Vinci, ma oggi e sempre più domani è necessario che le conoscenze specialistiche siano inserite in un quadro di conoscenze assai ampio. Questi «specialisti flessibili» del ventunesimo secolo sono profondamente diversi dagli specialisti della vecchia società industriale. Essi sono anzitutto specialisti del cambiamento, e per essere tali devono conoscere, oltre al proprio mestiere, le grandi linee del cambiamento nel proprio settore e nei settori connessi ed i grandi movimenti sociali, tecnici, culturali e politici che ne determinano la complessità.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==