scono a far funzionare bene un sistema sociale nel suo complesso e, in particolare, ottengono tale risultato le riforme elettorali e i sistemi di elezione? L'argomento è toccato in molti punti del libro di Rotelli. Lo estraggo perché lo vedo centrale dal mio punto di vista, di un sociologo un po' a disagio in queste complicate geometrie di numeri. Non che il sociologo non sia abituato a trattare i numeri. Ma questi sono di natura particolare, hanno una cogenza in quanto tali. Suggerisco di leggere attentamente la parte su bipartitismo e pluripartitismo. Fra l'altro Rotelli, qua e là spesso molto arguto, ci dice che anche 2 è un numero plurale. Nel linguaggio comune si distingue fra bipartitismo e pluripartitismo, come se il bipartitismo non fosse pluripartitismo. Pure il 2 è una forma di più partiti. Un'osservazione, molto importante, su cui Rotelli fa una serie di affermazioni. In ogni caso la logica dei numeri, di questi numeri, diventa straordinariamente rilevante in sede di analisi. Del resto, qualsiasi politico, che abbia fatto l'esperienza di farsi eleggere, sa quanto conti la distribuzione dei numeri sul territorio. Purtroppo (comincio a introdurre il concetto) vi è una struttura mentale, una forma mentis della cultura sociale e politica degli italiani, che è particolarmente propenso all' «istinto delle combinazioni»., come lo chiamava Pareto. Sto facendo un'esperienza per me interessante nella commissione governativa sui criteri delle circoscrizioni elettorali: affascinante perché la complessità delle soluzioni possibili, con l'acutezza delle ricerche, determina una difficoltà estrema nel pervenire a un risultato neutro (fra l'altro, secon- {)!LBIANCO 0.Z..ILROSSO i-11; , ,,,a do me, non c'è). Questa è una peculiarità della cultura politica italiana. Con una battuta un po' spinta, mi domando se, per caso, non sarebbe stato opportuno affidare il compito a qualche consulente svizzero, che comunque non avesse la grande straordinaria intelligenza di lavorare coi numeri. Rotelli, invece, mostra l'importanza di scelte numeriche, apparentemente oggettive, per il funzionamento del sistema. Vorrei fare, però, un passo avanti sul piano della cultura politica. Nel libro, infatti, si affronta anche il problema dei rapporti fra la scienza, diciamo, istituzionale della politica, di cui Rotelli è maestro, e le discipline critiche, comprese quelle rivolte a un certo tipo di sociologia, che io fondamentalmente condivido. Nel passare alla sociologia, anche se comincia con una frase accattivante («più arduo è mostrare la irrilevanza», sia pu - re sempre relativa, della sociologia in ordine al tema: ha già dimostrato l'irrilevanza di altre discipline), spiega che almeno una sociologia è irrilevante (ed io condivido pienamente): quella che ha puntato alla identificazione del funzionamento del sistema coll'esistenza (o meno) della leadership, del carìsma o càrisma. Sono perfettamente d'accordo. Aver cercato di costruire una teoria ca - rismatica del funzionamento delle istituzioni mi sembra una distorsione tutta politica degli anni Ottanta. In questo condivido il giudizio che dà Rotelli sull'uso che i socialisti hanno fatto di tale categoria. Però c;è un altro aspetto della sociologia (qui il giudizio di Rotelli è positivo e mi sembra molto importante che lo sia) che è fondamentale. Spiegato che la sociologia della leadership serve poco o 62 è addirittura fuorviante (d'accordissimo), Rotelli dice che vi è una sociologia della quale non si può fare a meno: la sociologia dell'organizzazione, che studia il comportamento organizzativo. E veramente credo che sia il punctum dolens della cultura politica italiana. Questa, così come la cultura marxista, da cui in buona parte tale atteggiamento deriva, ha trascurato totalmente il contributo politico più importante che la sociologia politica originaria di Michels, Mosca e Pareto ha dato alla comprensione della società moderna attraverso la sociologia del1o' rganizzazione. Qualsiasi testo di organizzazione, di sociologia dell'organizzazione aziendale parte da Michels, che è l'autore della sociologia del partito politico. Ebbene, nessun testo di filosofia politica italiana parte dalla stessa considerazione. Si dà per scontato che il funzionamento dell'organizzazione discenda da alcune norme o da una visione politica. Non c'è scuola di pensiero che più del marxismo abbia emarginato il funzionamento di Stato e partiti. È straordinario. È, secondo me, come un fatto ipnotico. Non si studia la cosa più importante da studiare: coi risultati che abbiamo visto. Il sistema sovietico è caduto su Weber: la mancanza della conoscenza di Weber ha contribuito a tale atteggiamento. E noi anche, in Italia. È un punto fondamentale: come funziona veramente un sistema organizzato, lo Stato, il partito, il Comune, l'impresa a partecipazione statale, l'impresa, la scuola. È un tipo di conoscenza di cui abbiamo un bisogno estremo. Perché? Perché il problema sistemico, che si trova di fronte la democrazia italiana, è il funziona-
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