Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 43/44 - ago./set. 1993

parlamentare era la non attuazione di istituti che erano incompatibili col regime parlamentare stesso. Dopodiché siamo passati rapidamente ad un regime praticamente assembleare, superando di fatto il regime parlamentare. Anche a questo proposito il libro ripuntualizza alcuni concetti. Il regime parlamentare non è quello in cui comanda il parlamento, ma quello in cui il governo, frutto di una maggioranza indicata nelle elezioni generali, guida il lavoro del parlamento stesso. Non per niente nella cartina, che vi danno nella Camera dei comuni britannica, non c'è scritto dialettica fra parlamento e governo, che abbiamo inventato noi e che è stata superata proprio dal regime parlamentare. C'è scritto: opposition e government, dove government non sono solo i membri del governo, ma tutta la maggioranza par lamentare. In Italia non ci governa un regime parlamentare. Né la Costituzione del 1948. Com'egli osserva giustamente, siamo in un regime diverso. In un discorso al senato ho parlato di «instaurazione di un regime di fatto in una fase di transizione». La caratteristica assunta dal partito è esattamente il contrario di ciò che la storia politica e costituzionale europea indica come progresso verso il regime parlamentare. Il quale si è inteso cessato in Gran Bretagna quando si è stabilito che i membri del governo dovessero essere rigidamente membri del parlamento e si è escluso che il primo ministro potesse non essere, non dico membro del parlamento, ma membro della camera elettiva. Noi abbiamo fatto il cammino inverso. Consideriamo gran vanto del presente governo essere il più lontano possibile dal parlamento, {)!LBIANCO a-LILROSSO J.1• 1NIJII il quale, in tutti i regimi parlamentari, è il parlamento in cui agiscono i partiti (non il parlamento dei partiti). Egli l'ha scritto come nozione, io l'ho detto con molto rispetto: indubbiamente siamo in una fase del regime transitorio in cui il nostro presidente della Repubblica esercita poteri che, nella fluidità dell'ordinamento, ritengo perfettamente legittimi, ma superano di gran lunga quelli che lo stesso Mitterand, nella «coabitazione», è in grado di esercitare in un regime che pure si definisce semi-presidenziale. Ecco, quindi, l'opera di chiarimento dei concetti e di demistificazioi-ieche fa l'amico Rotelli. È importante capire dove siamo, dove ci muoviamo, che vogliamo fare. Un altro luogo comune, che l'amico Rotelli smentisce bene, è che il regime presidenziale sia il regime ad esecutivo forte e parlamento debole e che la sua caratteristica sia il capo dello Stato eletto a suffragio universale. Non è così. Anche nei discorsi comuni sulla stampa si dicono cose non vere. Nel regime presidenziale vi è una distinzione molto marcata di competenze tra parlamento e presidente della Repubblica (o capo dell'esecutivo) ed entrambi hanno una originaria legittimazione personale. Nessuno può dire che il congresso degli Stati Uniti sia un organo debole. Lo sa il buon Clinton, che pure tecnicamente può contare su una maggioranza. Quando parliamo di regime parlamentare, dobbiamo sapere che funziona se vi sono partiti chiari e definiti e se vi è un governo forte, espressione di essi, che guida il lavoro del parlamento. Invece il governo del parlamento è un regime assembleare, nel quale il governo non è più il comitato direttivo del parlamento, ma il comitato 60 esecutivo del parlamento. Quando parliamo di un regime presidenziale, intendiamo che sia applicato rigidamente il principio della separazione dei poteri, anche se non secondo lo schema di Locke e Montesquieu, e che, dove sia forte tanto il presidente quanto il parlamento, entrambi abbiano autonoma diretta legittimazione democratica. E qui egli mette a posto un'altra casella, finora piuttosto confusa. Un altro problema (vado secondo i capitoli che mi sono fatto leggendo i giornali e cercando di rendere attuale questa - ripeto - difficile introduzione a una grammatica avanzata): l'enfatizzazione delle riforme elettorali. Che sono importanti. Ma nessuno può pensare che riescano a risolvere la questione della stabilità di governo. L'ubriacatura referendaria - come la definisco - del nostro Paese, che ha polarizzato l'attenzione esclusivamente sulla legge elettorale, ogni giorno sempre più complicata, non permette di ritenere, come sarebbe ragionevole, che stabilità di governo e continuità di linea politica restino problemi irrisolti senza dar mano anche ad altre riforme istituzionali. La Costituzione era stata pensata, in chiave ciellenistica, come governo collegiale-collettivo dei partiti dell'unità antifascista. Sottende una filosofia proporzionalistica. Dio solo sa che cosa accade se innestiamo un sistema elettorale maggioritario in una Costituzione che presuppone la collegialità proporzionalistica: un parlamento eletto con l'uninominale che elegge il presidente della Repubblica, che nomina i membri del consiglio superiore della magistratura, che cambia la Costituzione stessa coi 2/3 senza forti contrappesi di democrazia diretta. Diventa qualche

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