L'adesione agli accordi di Maastricht produrrà oltre mezzo milione di disoccupati per due cause: il taglio della spesa pubblica e la eliminazione dal mercato delle imprese meno competitive. Dal 1980 al 1990 la pressione tributaria sul sistema è passata dal 31 % del Pii al 42%. Nello stesso periodo il Pii è cresciuto del 2,3% in media. Il debito pubblico ha ragqiunto il milione e mezzo di miliardi. Mai, in nessun paese industrializzato del mondo una tale massa di denaro si è·concentrata nelle mani dei governanti. Se tale flusso fosse stato destinato ad investimenti, alla creazione di capitale fisso sociale, alla qualificazione dei giovani, al rafforzamento di tutte quelle infrastrutture fisiche e personali che determinano aumenti della produttività del sistema, l'Italia oggi sarebbe un paesemodello. Al contrario la enorme disponibilità di pubblico denaro è stata usata per finanziare consumi attraverso la creazione di una massa enorme di lavoro inutile. Le università, le Usi, le imprese pubbliche, la Rai, gli enti del parastato ecc. si sono riempiti di finti addetti al terziario avanzato, scarsamente produttivi, iperprotetti da assurde regole sindacali (validissime per i lavoratori produttivi dell'industria, grottesche nella esasperata difesa dei diritti dei pseudo lavoratori del terziario gonfiato dalla spesa pubblica. La riduzione dell'orario di lavoro è ora necessaria, è la opportunità storica di uscire dallo slogan: «lavorare meno, lavorare tutti» di qualche anno fà, per divenire il punto di forza di tutta la Sinistra europea. Politiche massicce di investimenti pubblici di tipo keynesiano non sono attuabili. La pressione fiscale in Europa è ai livelli di guardia; ulteriori aumenti indurrebbero forme crescenti di disinvestimenti industriali riducendo l'occupazione proprio nei settori più produttivi, lasciando prosperare i settori parassitari protetti aggravando una ingiustizia remunerativa e di condizione di lavoro che già vede sfavoriti gli operai dell'industria nei confronti del pubblico impiego. Ingiustizia su {)!.LBIANCO Oll,.ILROSSO •l8!1B11fl+tl1 l@cf 1~• 1111 cui la Sinistra ha taciuto per lunghi anni lasciando a Bossi la guida vincente della giusta protesta. I programmi di job creation mirati sono di difficile attuazione in condizioni di domanda calante nel mercato interno ed estero. Inoltre la risposta della job creation è per sua natura parziale ed insufficiente e fare fronte a una disoccupazione di massa. La riduzione dell'orario diviene obbligatoria. Essa è ora per la prima volta una necessità comune a tutti i paesi europei, inclusa la Germania del dopo unificazione. Dunque per la prima volta si è davanti alla opportunità di poter attuare la riduzione del!'orario simultaneamente in tutta l'Europa. Equesta è una condizione fondamentale. Certo, in una prima fase la riduzione può comportare un aumento del costo per unità di prodotto. Ciò potrebbe 46 determinare spinte inflazionistiche e riduzioni della competitività europea nei confronti soprattutto del Giappone. In questo caso, se il problema fosse posto simultaneamente in modo da avere un forte accordo europeo, sarebbe opportuno rispondere in questi termini: l'Europa dovrebbe introdurre barriere doganali nei confronti della produzione giapponese proporzionali alla differenza delle ore lavorate rispettivamente in Europa e in Giappone. Così che se l'orario giapponese fosse di 40 ore e quello europeo di 30, essendo la differenza del 13,3% l'Europa avrebbe il diritto di tutelarsi con una tariffa doganale aggiuntiva del 13,3%. Non si tratta in questo caso di protezionismo di attività industriali, ma di una vera e propria scelta di civiltà. L'Europa deve trovare nuovi equilibri più umani e più moderni. Gli Usa che devono fronteggiare una recessione non dissimile, ma più grave di quella prevalente in Europa, potrebbero trovare assai utile una politica di riduzione progressiva delle ore lavorative. La riduzione del!'orario di lavoro deve essere infatti graduale per evitare contrazioni negative sul potere di acquisto dei lavoratori. Tutta la Sinistra Europea, in tutte le sue componenti politiche sociali, deve riunirsi quanto prima per elaborare un nuovo «Rapporto Beveridge»: «Full Emploiment in a free society». È stato il testo-guida delle democrazie socialiste europeee negli ultimi quaranta anni, ma ora ha esaurito la sua alta funzione. Quando il sindacato parla ancora, stancamente, di politica dei redditi, non si rende conto che, senza una nuova elaboraziope, senza nuove soluzioni sul problema della disoccupazione di massa, nessuna politica dei redditi può avere senso: i disoccupati sono esclusi da qualunque criterio dÌ distribuzione del reddito. Il modello di sviluppo industriale occidentale è giunto ai suoi termini storici. Patetica è l'attesa della ripresina che slitta di mesi ed anni. Patetica la fiducia che la sola riduzione del tasso di interesse della Bundesbank possa rilanciare gli investimenti e ricondur-
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