meno nel breve periodo) troppo costosa per i Paesi caratterizzati da un maggior grado di sviluppo economico e sociale. Qualche passo avanti in realtà è stato fatto. Prima dell'Atto Unico e del Trattato di Maastricht le disposizioni in materia sociale erano ostacolate dalla regola dell'umanità. L'Atto Unico ha introdotto la maggioranza qualificata, ma solo in un numero ristretto di settori (ad es. per le prescrizioni minime per l'ambiente e la sicurezza sul lavoro). In alcuni importanti settori, quali la previdenza sociale e la difesa collettiva degli interessi dei lavoratori, è ancora necessaria l'unanimità. Rispetto a questa situazione, Maastricht ha rappresentato un progresso ulteriore, ma, come è noto, nell'ambito di un accordo «a undici». In qgni caso aspetti fondamentali quali le retribuzioni e il diritto di sciopero non rientrano neppure in quest'ultimo accordo. Nel Trattato di Maastricht è stato inoltre introdotto un principio che si è rivelato essere in molti casi un boomerang per la Comunità: si tratta del cosiddetto principio di sussidiarietà, dal significalo ancora equivoco, ma che viene ormai invocato periodicamente per giustificare il «non intervento» della Comunità in quelle aree nelle quali intervenire significa armonizzare a scapito di legislazioni nazionali più «comode»o meno costose. La Comunità ha scelto di armonizzare la legislazione sociale procedendo ad un livellamento verso l'alto del tenore di vita, in altre parole cercando di migliorare il tenore di vita dei Paesi {) .!J., BIANCO ~ILROSSO •IHQ;Jt 1Rll 1 •~" 1~• 11., più poveri senza ridurre quello dei Paesi più ricchi. Non si dubita dell'opportunità di questa scelta. Bisogna però considerare che nei Paesi più sviluppati il tenore di vita è a tutt'oggi più del doppio di quello dei Paesi più poveri. 44 In mancanza di norme comuni in campo sociale si moltiplicheranno i casi di dumping sociale compiuti dalle imprese multinazionali, con il rischio che se la situazione dovesse sfuggire al controllo, gli Stati membri prendano drastiche misure di stampo protezionistico. Già da qualche anno infatti alcuni Stati della Comunità non perdono occasione per introdurre provvedimenti legislativi nazionali, attuati formalmente per ragioni quali ad esempio la tutela ambientale, la salute pubblica, la sicurezza, etc., ma che nascondono in realtà l'intento di proteggere le proprie economie. E la maggior parte delle volte ciò avviene a scapito di quei Paesi che avrebbero bisogno proprio di un forte rilancio economico per poter restringere il «gap» che li separa dai paesi «leaders» della Comunità. In conclusione, non dovrebbe sorprendere più di tanto che oggi molti partiti della sinistra storica (ma anche quelli di area verde) si schierino contro il Trattato sull'Unione. Ciò si può infatti in parte spiegare con l'incapacità della Comunità di dare alle tematiche meno attinenti al mercato unico (sociali, ambientali, etc.) lo stesso peso attribuito al mercato. Ci si può augurare che la situazione cambi nel prossimo futuro, e in questo senso gli impegni presi dai dodici a Copenhagen rappresentano se non altro un buon inizio. Si tratta ora di vedere se la logica dello sviluppo armonioso di lungo periodo in tutta la Comunità riuscirà a prevalere sull'ottica del «portafoglio» di breve periodo.
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