Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 43/44 - ago./set. 1993

Comunità del dopo Maastricht; tuttavia esistono anche molte ragioni per credere che l'Unione Europea debba prima risolvere questioni più importanti ed urgenti, prima fra queste la necessità di una vera politica comune in campo sociale. Nelle scorse settimane in varie occasioni (l'ultima rappresentata dal vertice di Copenhagen) il Presidente della Commissione Cee Delors ha parlato esplicitamente di crisi europea che investe non solo il tessuto economico, ma anche quello culturale e sociale. Il dibattito politico, sia all'Europarlamento che al Consiglio è ormai sempre più spesso centrato sulla questione sociale, sulla necessità di un contratto sociale comunitario e di azioni concrete per arginare l'allargarsi del divario sociale e del «gap» fra nord e sud della Comunità. Tuttavia, nonostante il proliferare dei dibattiti e delle prese di posizione in merito, poco si è finora concretizzato. Si deve prendere atto dell'accordo raggiunto a Copenhagen su un «europiano» per l'occupazione, ed in particolare sui nuovi regolamenti relativi ai fondi strutturali. Ma a ben guardare, tra l'Europa sociale e l'Europa intesa come mercato, continua a prevalere prepotentemente la seconda. Ciò del resto non dovrebbe sorprendere più di tanto: la Comunità Europea nasce da un concetto di economia liberista, concetto ripreso appieno anche nel Trattato sull'Unione, e i progressi più significativi finora realizzati sulla via dell'integrazione riguardano principalmente questioni economiche e di mercato. Ciò traspare in misura ancora maggiore andando a vedere in quali campi la Comunità svolge effettivamente una politica attiva: agricoltura, trasporti, concorrenza etc. Tutti·settori intrinsecamente legati al mercato. Una vera politica sociale comunitaria non si è invece mai concretizzata, perché non è mai stata considerata essenziale per lo sviluppo del mercato comune. L'art. 117, la norma base del Trattato di Roma sulla politica sociale, parla della necessità di promuovere il mi- {)!LBIANCO ~ILROSSO •NBHINlll••~Cf*•Wi glioramento delle condizioni di vita e di lavoro attraverso il funzionamento del mercato comune, che avrebbe dovuto favorire l'armonizzarsi dei sistemi sociali. Il mercato ha cominciato a funzionare, ma il divario fra i sistemi sociali europei non è stato colmato. Il mercato unico ha procurato molti più vantaggi alle imprese che ai lavoratori. In più, l'entrata dei quattro nuovi Paesi nell'Unione, -tutti appartenenti alle aree europee economicamente più sviluppate, non faciliterà certo il raggiungimento di accordi di politica sociale. Le motivazioni che spingono i tre Paesi scandinavi e l'Austria ad entrare nell'Unione sono soprattutto legate alla paura di perdere quote di mercato e competitività. È improbabile quindi che questi Stati portino, almeno nel breve periodo, nuove ener43 gie a supporlo della politica sociale comune (anche perché in questi Paesi vige un «Welfare State» molto più avanzato di quello presente negli altri Stati membri). Si può argomentare che le priorità e le scelte della Comunità riflettono in maniera diretta le tendenze politiche presenti nei singoli Stati membri, e, dato che negli ultimi anni vi è stato un cospicuo spostamento verso i partiti di centro destra da parte dell'elettorato europeo in quasi tutti gli Stati della Comunità, non dovrebbe sorprendere che il Trattato sull'Unione abbia ripreso interamente l'impostazione liberista del Trattato di Roma. Anche se oggi i concetti di «destra» e «sinistra»hanno perso gran parte del loro tradizionale significato ideologico, tuttavia permangono forti differenze di pensiero su alcune cruciali questioni economiche e istituzionali. E questo si riflette nella costruzione dell'Europa, in cui un'ideologia «interventista», sostenuta dai partiti di area socialista, si scontra con un'altra più «spontaneista», propria del centro destra. Al momento sembra prevalere la prima. Ma non si possono attribuire solo alla crisi generalizzata della sinistra le difficoltà dell'Europa sociale. Vi è infatti anche un da'to «genetico», rappresentato, ripetiamo, dall'impostazione liberista della Comunità stessa. Si tratta di vedere se l'Europa-mercato resisterà a lungo. Oggi sono molte le ragioni per credere che un modello di mercato di stampo nordamericano verrà presto messo in crisi dalla crescita incontrollata del divario sociale (sia all'interno degli Stati membri che fra gli Stati membri). L'Europa che prende forma in questi mesi è infatti caratterizzala da un crescente divario nord-sud (la cosiddetta «Europa a due velocità»): il mercato unico è formalmente realizzato, ma ciò favorisce, per ora, le aree economicamente più avanzate. I tentativi compiuti finora per correggere questa impostazione (dall'Atto Unico al Trattato sull'Unione) non hanno dato i risultati sperati, perché di fatto questa correzione si rivela (al-

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