Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 43/44 - ago./set. 1993

ta: mancano le nomine dei dirigenti, l'individuazione delle sedi degli uffici etc. Anche qui la legge è sostanzialmente buona, definisce un assetto organizzativo più razionale: dalle 11direzioni generali si passa a 4 e soprattutto si abbatte lo steccato oggi esistente tra uffici che si occupano di imposte dirette e quelli che trattano le imposte indirette e le tasse: vi saranno uffici unici delle entrate. Naturalmente non basta un assetto organizzativo teorico migliore: come sempre è necessario concretizzare il progetto con gli uomini giusti ai posti giusti. Questo significa privilegiare le sedi del Nord nell'assegnare il personale, significa migliorare gli strumenti informatici a disposizione, significa miglior formazione professionale. Da notare che non esiste una sede della Scuola Centrale Tributaria E. Vanoni in Lombardia, regione che concorre a quasi 1/5 delle entrate tributarie. Quindi la riforma vera sarà: mobilità territoriale, per quanto è possibile, ma soprattutto mobilità tra funzioni di controllo cartaceo, formale, burocratico, a quelle di controllo effettivo, sul campo. Oggi l'Amministrazione finanziaria ha circa 58.000 addetti a livello nazionale più alcune migliaia di Guardie di Finanza con compiti di polizia tributaria: non sono pochi, sono male impiegati. Basta riflettere che tutte le operazioni di riscossione sono appaltate alle banche (esattorie), che le operazioni di calcolo dell'imposta sono affidate al contribuente (autotassazione) che i controlli formali delle dichiarazioni sono da quest'anno affidati ai Centri di assistenza fiscale, che i servizi informatici (Anagrafe tributaria) sono affidate ad una società del gruppo Iri, la Sogei: ciononostante i contr-olli effettuati tra Guardia di Finanza ed impiegati del Ministero non superano l'l % delle dichiarazioni (compresi, si noti, i meri controlli formali!). In queste condizioni il Ministero delle Finanze si può quasi definire un «ente inutile». D!LBIANCO ~ILROSSO 1111)-i§J•M;J La vera riforma sarà adibire la maggioranza degli addetti ad un controllo sostanziale, alla repressione dell'evasione fiscale. Per giungere a questo bisogna che il funzionario, l'impiegato dell'Amministrazione si vivano in modo diverso. Oggi il lavoro negli uffici è in teoria di 36 ore, ma in sostanza è vissuto, come in genere nelle amministrazioni dello Stato, come un part-time. La peculiarità del Ministero delle Finanze è poi quella di formare personale con una professionalità richiesta dal mercato (studi professionali etc.): il risultato è che il «secondo lavoro» è spesso più lucroso del primo e che quindi su quello si concentra maggiormente l'interesse e zelo. Un normale orario di lavoro da impiegato del settore privato risolverebbe quel problema ed aumenterebbe enormemente le potenzialità dell'Amministrazione finanziaria: naturalmente si porrebbe un problema di retribuzioni oggi assolutamente non proporzionate, nella maggior parte dei casi, alla professionalità ed ai livelli di mercato. La situazione milanese L'area milanese è caratterizzata dalla concentrazione altissima di società di capitali (60.000 circa nella provincia). Va quindi potenziato l'Ufficio (oggi il II Ufficio imposte dirette ha meno di 150 addetti) che dovrebbe controllare la società. L'altra area d'intervento, assolutamente urgente, è quella relativa alla tassazione del patrimonio immobiliare. Oggi Catasto e Conservatoria dei registri immobiliari non sono informatizzati. Il risultato è che il fisco non è in grado di rispondere alla semplice domanda: «Quanti immobili possiede il contribuente tal dei tali?». Il cosiddetto «catasto elettrico», cioè il Fisco che chiede a chi paga la bolletta della luce di dichiarare chi è il proprietario dell'immobile, è la riprova dell'approssimazione, se non dell'impotenza, nel controllare seriamente l'evasione nell'area del reddito immobiliare. Informatizzando il servizio 34 e collegando in rete gli studi notarili (i notai hanno già la qualifica di pubblici ufficiali e riscuotono l'Invim all'atto del rogito) si avrebbero enormi risparmi di personale ed il fisco sarebbe aggiornato in tempo reale sui passaggi di proprietà degli immobili. Il decentramento del sistema fiscale: la finanza locale Decentramento è un parola di moda oggi, e ci sono molte buone ragioni per superare il centralismo eccessivo che oggi caratterizza l'assetto istituzionale italiano prevedento l'attribuzione agli enti locali di alcuni poteri e compiti esercitati dallo Stato. Tra questi vi è certamente quello di riscuotere una parte dei tributi per stabilire un legame di responsabilità tra cittadini ed amministratori locali: se si vogliono servizi migliori bisogna anche contribuirvi. Bisogna anche qui non commettere però l'errore di fare le leggi senza preoccuparsi della loro concreta possibilità di applicazione in ragione dei mezzi effettivamente necessari e dei tempi per organizzarli. Altro elemento da tenere presente è la forte disomogeneità, sia nelle dimensioni sia nel tessuto socio economico esistente ad esempio tra regioni italiane rispetto ai Lander tedeschi o alle regioni francesi: nel nostro Paese si va da una regione come la Lombardia che ha la popolazione e reddito infinitamente più modesti. Ma la prudenza è d'obbligo anche perché certi enti locali non sono in grado già oggi di amministrare i tributi locali esistenti: valga per tutti l'esempio di Napoli che incassa per la tassa di raccolta dei rifiuti cifre irrisorie. Quindi prima di sottrarre una quota consistente del gettito allo Stato per affidarlo alla riscossione delle Regioni, delle Provincie, dei Comuni, sarà ben vedere come gli enti locali gestiranno la prima imposta locale significativa, l'Ici. Solo dopo un attento bilancio si potrà vedere se esistono le condizioni organizzative per un ulteriore decentramento di tributi agli enti locali.

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