D!LBIANCO ~ILROSSO OX•SSOH;I 6. Lavorochecambia, lavorochemanca L e cifre della disoccupazione sono sempre più allarmanti, 3 milioni di persone in Italia e 18 in Europa sono esclusi dal «diritto al lavoro». La disoccupazione è diventata il problema più drammatico del nostro tempo, perché l'assenza di lavoro, comporta un'esclusione e quindi un'intollerabile perdita di identità personale, familiare e sociale. Aggrava, fino a renderli incontrollabili, fenomeni disgregativi nella società e nello Stato. Nei paesi della Comunità europea il fenomeno presenta caratteristiche particolarmente inquietanti. Mentre infatti negli Stati Uniti le cifre della disoccupazione tendono a diminuire alla ripresa del ciclo economico, in Europa sono in aumento da anni. Nel 1970i disoccupati erano il 2 per cento; nel1'80 il 5,4 per cento; nel 90 1'8,3 per cento; infine, quest'anno il 1 O per cento. La Comunità europea sta ormai entrando nel terzo decennio di crescila lenta e di disoccupazione diffusa. Il tasso di crescila comunitaria negli ultimi due decenni è stato mediamente del 2 per cento e, negli ultimi tempi, è sceso al di sotto dell'l,5, contro il 3/4 per cento che sarebbe stato necessario per scongiurare ulteriori aumenti della disoccupazione. Uscire dalla recessione, adottare i cambiamenti necessari nella conduzione delle politiche monetarie e fiscali, in modo che siano un supporto invece che un impedimento alla crescita, potenziare le politiche strutturali, sono tutte cose che devono essere fatte, anche per impedire che la situazione si aggravi ulteriormente. Nessuno dubita che politiche più espansive migliorino le possibilità di affrontare i problemi dell'occupazione. Tuttavia, la ripresa della crescila (che non può comunque prescindere da alcuni vincoli di sostenibilità ambientale) è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Infatti, ai fini dell'aumento dell'occupazione relativamente poco imporla il tasso di crescita dell'economia se la produttività necessaria per realizzarlo porta a distruggere più posti di lavoro di quanti non ne crei la crescila. È appunto ciò che avviene nei periodi di grandi innovazioni tecnologiche e profonde ristrutturazioni. La crescita resta comunque un elemento importante. Oltre due decenni di crescila fiacca in Europa hanno indiscutibilmente aggravalo la disoccupazione, peggioralo i bilanci nazionali, ostacolato lo sviluppo delle regioni più arretrate. All'inizio il rallentamento economico era stato considerato un regresso momentaneo dovuto alle due crisi petrolifere del 1973 e del 1979. Ma, a quasi 15anni di distanza dall'ultima crisi petrolifera, è ormai evidente che le cause del ridotto dinamismo defl'economia europea sono da ricercare altrove. Si discute molto a questo riguardo del peso negativo esercitato dagli alti tassi di interesse. L'elevato costo del danaro ha sicuramente una serie di effetti perversi che vanno perciò contrastati. In primo luogo perché 27 rende sempre più insostenibile il peso del debito pubblico e soprattutto perché produce una grave distorsione nel sistema economico privilegiando la rendita a danno degli impieghi produttivi. Non bisogna, però, sopravalutare il contributo che una politica di più bassi tassi di interesse può dare ad una più elevata crescila economica e soprattutto ad un aumento dell'occupazione. Negli Stati Uniti i bassi tassi di interesse non si sono dimostrati sufficienti a garantire la ripresa economica e dell'occupazione. Si deve inoltre tener presente che i margini di manovra degli Stati nazionali si riducono. L'economia e la finanza sono ormai mondializzati. Il keynesismo nazionale è morto. Sempre meno vero è anche quello che diceva il cancelliere Schmidt solo qualche anno fa «iprofitti di oggi sono gli investimenti di domani e l'occupazione di dopodomani», perché i profitti non si trasformano meccanicamente in investimenti ed ancor meno gli investimenti in occupazione. Infatti, se governato con gli attuali criteri il progresso tecnico è destinalo a produrre più esclusione che progresso sociale. Negli ultimi anni si è ritenuto che le difficoltà alla crescila del!'occupazione erano da ricercare nel!'eccessiva rigidità del mercato del lavoro. Si sono quindi adottate numerose misure di flessibilità. Ora di flessibilità ce n'è molta, ma i miglioramenti nell'occupazione non si vedono. Il fatto è che certe rigidità erano da considerare as-
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