derne i criteri di comportamento che la coscienza religiosa propone agli uomini sono l'esito, non solo della fedeltà ai principi, alla filosofia perenne, ma anche di un continuo confronto con il progresso scientifico e tecnologico e con le strutture sociali che esso determina. Se poi si guarda alla storia, anche quella del nostro tempo, si deve rinoscere che, in non pochi casi, la coscienza religiosa è stata l'esplicita affermazione di identità e di dignità umana. Talvolta è stata l'unico modo attraverso il quale un popolo ha potuto sottrarsi ai progetti di integrazione e di asservimento. Per questo, o la secolarizzazione riconosce i diritti della trascendenza sulla realtà storica, oppure rischia di finire in uno storicismo assoluto, che non è solo accettazione, ma consacrazione (lai_canaturalmente) del fatto compiuto. La costruzione storica ha, perciò, bisogno anche dell'orizzonte della coscienza religiosa. Oltretutto si deve riconoscere che sull'azione e la pratica politica dei non credenti influiscono valori cristiani perché sono categorie con cui la storia li porta a pensare ed agire. A sua volta l'azione dei credenti è ugualmente influenzata dalle trasformazioni del mondo e dall'apporto che ad esse viene dai non credenti. La società in cui viviamo è quindi il prodotto di questa dialettica fatta non solo di opposizione, ma anche di congiunzione. Chi non crede non dovrebbe avere dunque ragioni di apprensione verso la fede, la quale lascia libertà ai credenti di fare le loro scelte politiche. Senza che questo, naturalmente, significhi indifferenza o estraneità verso scelte {)!.L BIANCO ~ILROSSO 1111 ;.i#J i H;J che la contraddicono. D'altro canto non si vede proprio il motivo per considerare desiderabile una riduzione della fede al fatto solo interiore, a intenzione, a semplice ispirazione, a 26 motivazione che si aggiunge ad una visione della realtà che si dovrebbe perciò costruire secondo criteri assolutamente estranei a quelli della fede. Perché si' tratterebbe di una concezione del rapporto fede politica del tutto inaccettabile. Non solo per i credenti, ma anche per chi, pur estraneo alla fede, capisce che la conseguenza di una simile concezione non potrebbe che essere un serio impoverimento etico dell'intera società. Nella riforma della politica che è in atto e che, secondo i propositi, dovrebbe consentire, tra l'altro, una forte aggregazione progressista, importante dunque è che essa non solo consenta, ma favorisca il coinvolgimento del cattolicesimo democratico. Cioè della parte non integrista del mondo cattolico. Quella che non pensa di imporre la propria fede· a chicchessia, ma che però la vorrebbe rispettata. Questo rispetto presuppone una chiara nozione del limite della politica. Che significa consapevolezza di un «fine umano» che non si esaurisce tutto nella .storia. E quindi nemmeno nella politica. Ci sono infatti problemi che riguardano soprattutto i grandi interrogativi intorno al mistero della vita e della morte (perché nasciamo? Perché moriamo? Perché soffriamo?) che esigono dalla politica modestia e senso del limite. La fede lascia libertà ai credenti di fare le loro scelte politiche, perché riconosce il valore provvisorio dei progetti storici dell'uomo, ma proprio per questo non può accettare indebite assolutizzazioni. Il ruolo dei credenti nei futuri progetti politici dipenderà, in definitiva, anche da come questi sapranno assumere il rapporto tra fede e politica.
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