Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 43/44 - ago./set. 1993

non si è però limitata a consegnare le imprese al miglior offerente per poi dimenticarsene. I possibili acquirenti hanno dovuto presentare un piano dettagliato con particolare riguardo agli investimenti ed alla occupazione. Questi piani rimangono sotto il controllo della Treuhand e forti sanzioni sono applicate in caso di mancato adempimento. Gli acquirenti inoltre sono scelti accuratamente tenendo conto degli interessi della regione. La Treuhand è arrivata a vendere imprese al prezzo di un Marco tedesco per evitare che cadessero nelle mani di imprenditori della Germania occidentale, disposti a pagare molto di più, ma solo per mettere le mani su potenziali concorrenti e chiudere le loro linee di produzione. Per ogni paese che si imbarca nel processo di privatizzazione esistono dunque calcoli da fare e scelte da considerare. La privatizzazione non è un fine in se stessa (sulla base di un a priori ideologico) nè la sola opzione possibile. Il problema, quindi, è innanzi tutto di definire gli scopi e di formulare i programmi concreti anche tenendo conto dei successi e dei fallimenti registrati altrove. Questo approccio pragmatico è indispensabile per tentare di avviare con successo un programma di privatizzazioni in Italia. Non meno necessaria è la chiarezza e la trasparenza degli obiettivi di politica industriale e del lavoro che nei diversi casi si intende conseguire ed in generale lo scopo dell'intera operazione. Vale a dire se deve servire soltanto a far cassa (per alleggerire la posizione debitoria dei grandi gruppi pubblici) o se va utilizzata per tentare di trasformare il nostro asfittico capitalismo familiare, che ormai costituisce un freno allo sviluppo, in un capitalismopiù solido e diffuso. Il significato e la strategia delle privatizzazioni sono un aspetto importante, ma non esclusivo, del nuovo rapporto pubblico-privato che deve orientare la politica del futuro. Fuori da inconcludenti e manichee contrapposizioni ideologiche, si deve prendere alto che possono esistere forme differenziale di pubblico e privato. D!LBIANCO ~ILROSSO •Wt--10811 Il pubblico può variamente configurarsi: come sussidio al prezzo; come finanziamento sotto forma di buoni, oppure di prestiti; come trasferimento di reddito; come offerta di informazione e di formazione; come regolazione della quantità, della qualità e/o del prezzo; come imposizione di base su determinati prodotti e beni; come insiemi alternativi di decentramento, accentramento, partecipazione e controllo; come assetti burocratici diversi e migliori. Il privato, a sua volta, può configurarsi come produzione privala per il profitto in unità di dimensioni assai differenziale; come produzione non a scopo di lucro; come volontariato, più o meno organizzalo; come forme diverse di compartecipazione degli utenti. Ciascuna di queste possibilità comporta, naturalmente, oneri e benefici diversi. 19 Con una strumentazione così ampia, assicurare l'eguaglianza non implica perciò la necessità di ricorrere esclusivamente all'offerta pubblica. Lo implica dove i fallimenti del mercato sono gravi, o almeno altrettanto gravi di quello- del settore pubblico. È questo in gran parte il caso della sanità. Almeno per quanto concerne i beni della prevenzione, dell'assistenza degli anziani, dei malati cronici e terminali. In un paese civile non è assolutamente accettabile che lo stato di salute di una persona debba dipendere da-llo staio delle sue finanze. Ma non lo implica laddove i fallimenti del mercato non siano particolarmente gravi. In queste situazioni si potrebbe ricorrere ad opportune strategie di redistribuzione finanziaria lasciando poi i consumatori liberi di scegliere quale servizio utilizzare. Questo potrebbe valere, ad esempio, nel caso della scuola secondaria. Nel caso dell'istruzione universitaria, si deve tendere invece ad una compartecipazione finanziaria che tenga conio dei costi reali. Anche per evitare la distorsione intollerabile che coloro che non sono economicamente in grado di frequentare l'università finiscano per finanziarla a quanti sarebbero in grado di pagarsela. L'idea di dare poco a tutti è in radicale contraddizione con il principio di eguaglianza. Cioè con la necessità di dare tutto a chi ha effettivamente bisogno. In conclusione si deve ritenere che la politica sociale è assai più complessa delle semplificazioni che spesso ne sono state fatte nella lotta politica e dai rischi di fallimento non sono esenti tanto gli assetti di mercato che quelli pubblici. Questo è particolarmente evidente nella sanità dove nessun sistema ha finora dato risultali indiscutibili. La conseguenza da trarre è che (invece di inoltrarsi in incerte riforme palingenetiche) è meglio dar vita ad un sistema di sperimentazioni flessibili. Nonchè, naturalmente, ad una valutazione comparala dei risultati che è il modo per orientare correttamente le scelte politiche.

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