Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 43/44 - ago./set. 1993

ISS 1120-7930- SPED.ABB.POST.- GR. Ill/70% ~lLBIANCO l.XILROSSO MENSILE DI DIBATTITO POLITICO Lalegge è pasticciata, maoravotiamo N di Pierre Camiti on c'è alcuna ragione per rimpiangere la proporzionale, ma non c'è nemmeno dubbio che con la nuova legge elettorale si è escogitato il peggio. Approvata nei tempi prescritti (fatto che ha suscitato il compiacimento e l'enfasi retorica del Presidente della Repubblica e di quelli delle Camere) la nuova legge è non solo pasticciata, ma anche di improbabile esito maggioritario. Invece del bipolarismo e della democrazia dell'alternanza promessi dai promotori del referendum continueremo ad avere 43/44 ANNOIV0 • AGOSTO/SETTEMB1R9E93• L. 7.000

IN QUESTO NUMERO EDITORIALE Pierre Carnlti La legge è pasticciata, ma ora votiamo pag. l ATTUALITÀ VictorManuel Arbeloa Come vincere le elezioni? La lezione spagnola pag. 5 BrunoManghi Congresso Cisl: i rischi della vecchia routine pag. 7 Gianni Italia L'accordo del 3 luglio: buono, con qualche incognita pag. 9 Fausto Vigevani L'importanza dialettica e strategica dell'accordo pag. 11 Sandro Venturoll e Minori a Milano: il rilancio dei «Martinitt» pag. 13 Vincenzo Guastafierro DOSSIER Per l'alternanza pag. 15 Per la Federazione democratica e progressista pag. 16 1. La nostra collocazione politica pag. 17 2. Pubblico e privato pag. 18 3. Riformare lo Stato Sociale pag. 20 4. Lo sviluppo sostenibile pag. 22 5. Fede e politica pag. 25 6. Lavoro che cambia, lavoro che manca pag. 27 7. Contributo per l'elaborazione di criteri orientativi pag. 29 per le politiche sociali 8. Per un fisco equo ed efficiente pag. 33 EUROPA E IL MONDO MarioDidò Le proposte dei socialisti europei pag. 35 per la riforma dello Stato Sociale Azelio Fulmini Il pubblico potere come operatore economico pag. 38 MarcoOnida Unità europea in crisi. Recuperare pag. 42 un orizzonte strategico Andrea Saba Crisi dell'occupazione europea e pag. 45 riduzione dell'orario di lavoro INTERVENTI Ettore Bettinettl Cristiani e politica: per una nuova partecipazione pag. 49 Ennio Di Francesco Per una vera cultura di vita pag. 52 Paolo Giammarroni «Riprendiamoci la parola». L'Italia del Karaoke pag. 54 Ferdinando Siringo Oltre la crisi: la sfida della «Costituente della strada» pag. 56 SCAFFALE Presentazione del volume di Ettore Rotelli, «Una democrazia per gli Italiani», (Milano, Anabasi 1993). pag. 59 Interventi di Francesco Cossiga, Guido Martinottl, Salvatore Veca Nicola Cacace Oltre il 2000 (Scenario 2005 per l'Europa del lavoro pag. 66 e delle professioni) VITA DELL'ASSOCIAZIONE «Per una presenza cristiano-sociale nel polo progressista» pag. 68 Le illustrazioni di questo numero sono di Mario Pompei (1903-1958).

D!LBIANCO ~ILROSSO •MPNWAl11H (come prima e forse più di prima) la frammentazione politica, a cui ora potrebbe sommarsi anche una inedita e rischiosa divisione territoriale della rappresentanza. Se non interverranno accordi politico-elettorali capaci di correggere il corso delle cose, il voto uninominale produrrà, infatti, una divisione per aree geografiche che renderà più problematica la formazione del governo e potrebbe minacciare la stessa unità nazionale. Dal punto di vista economico e sociale l'Italia non è mai stata unificata, perché è sempre rimasta sostanzialmente divisa in due. A questa antica frattura il maggioritario ad un turno aggiunge ora una improvvida divisione politica. Quando il presente è incerto è impossibile prefigurare l'avvenire. Tuttavia non sembrano · arbitrarie le previsioni di quanti ritengono che la nuova legge elettorale produrrà tre Italie politicamente distinte. Il Nord dove predominerà la Lega, il Centro prevalentemente rappresentato dal Pds ed il Sud conteso tra Dc, Psi, Movimento Sociale e Rete. Senza contare, naturalmente, mafia, camorra e 'ndrangheta, alle quali il sistema elettorale maggioritario ad un turno, ha accresciuto, anziché affievolire, il potere di condizionamento elettorale. Per scongiurare questi pericoli di possibile disarticolazione o disgregazione alcuni promotori dei referendum elettorali si sono affrettati a proporre l'elezione diretta del Presidente del Consiglio. Ma il rimedio appare più un moltiplicatore di guai che un mezzo per risolverli. L'elezione diretta produce infatti un capo del1'esecutivo inamovibile. Senza una maggioranza che lo mantenga, nella migliore delle ipotesi questa novità determinerebbe un collasso politico istituzionale; nella peggiore un disastro dalle conseguenze incontrollabili. La riforma ~lettorale, realizzata fuori da un quadro di plausibile revisione costituzionale minaccia di rivelarsi una scardinante illusione di panacea. Se vogliamo evitare che i nostri problemi politici da difficili si trasformino in irrisolvibili, tutto sconsiglia di seguire la stessa strada per le riforme istituzionali. Le questioni che si pongono a tale proposito vanno pacatamente di3 scusse, non brandite come una spada e, ovviamente, nemmeno rimosse come cavilli. Non mi riferisco tanto all'esigenza di mettere in campo una proposta compiuta e leggibile, sia dal punto di vista della razionalità istituzionale che della adeguatezza strumentale, ma alla necessità che almeno sia resa esplicita la direzione del cambiamento, la consistenza di significato e di valore delle ipotizzate correzioni costituzionali. Per tutto questo non ci sono oggi né il tempo né le condizioni. Bisogna infatti dire, senza nessuna esagerazione, che la crisi italiana può diventare mortale. In nessun altro periodo della sua storia più recente l'Italia si è mai trovata a dover fare i conti contemporaneamente con una crisi economica e sociale di rilevantj dimensioni, con una crisi morale che ha sostanzialmente investito l'intera classe politica ed imprenditoriale, con una profonda crisi istituzionale che non le consente di attuare efficaci politiche pubbliche e tantomeno di garantire un essenziale equilibrio di poteri. Per affrontare questa situazione sono necessarie molte condizioni. La prima delle quali è un immediato rinnovo della rappresentanza politica. Detto in altri termini significa che dobbiamo andare a votare presto per dare al Parlamento la credibilità e la legittimità indispensabili ad affrontare e tentare di risolvere problemi complicatissimi. Poiché, come ho detto, è bene non farsi illusioni sul contributo che la nuova legge elettorale può dare alla formazione di chiare e stabili maggioranze ed all'avvio di una nuova e positiva fase della vita politica italiana è necessario realizzare, con precise scelte programmatiche ed accordi elettorali, quella tendenziale bipolarizzazione, tra sinistra moderata e destra democratica, che alcuni si erano illusi di poter determinare (per costrizione) con il semplice cambiamento delle regole elettorali. Senza un impegno visibile, convincente e tempestivo in questo senso le forze politiche «vecchie», «nuove» e «seminuove» lascerebbero solo corrompere ed imputridire le cose. E con l'illusione di una saggezza temporeggiatrice porterebbero soltanto il Paese all'avventura.

~ll_A BIANCO l.XILROSSO Comevincereleelezioni? Lalezionespagnola di Victor Manuel Arbeloa na quarta vittoria elettorale dei socialisti U spagnoli non era certamente sicura. Anzi. Fino all'ultima settimana tutti i sondaggi elettorali messi in opera dalle più importanti agenzie oscillavano tra un pareggio e una sconfitta, benché minima, ad opera del Partito Popolare, il più importante gruppo di opposizione. E per questa previsione non mancavano certo i motivi. La crisi economica e le ultime cifre del debito crescente; gli scandali di Juan Guerra, fratello e assistente del vicesegretario generale del Psoe, e prima vicepresidente dello stesso Governo, e altri scandali ancora più gravi come quello della Filesa, rete di finanziamenti irregolari del partito; una certa sensazione, molto diffusa, di delusione per quello che avrebbe potuto essere, e non era stato, il cambiamento socialista del 1982, e infine una critica severa da parte di molti commentatori politici nei confronti di quella che era chiamata la «arroganza» e la «prepotenza» di una maggioranza assoluta, prima di diritto e poi di fatto, che era parsa invadere le istituzioni pubbliche e minacciare o controllare molte istituzioni private ... Tutte queste cose avevano come rarefatto l'ambiente politico attorno 5 ai socialisti e parevano dare forza a tutti coloro che prevedevano l'arrivo della stessa onda che stava tormentando i diversi socialismi del Sud Europa. E invece è arrivato il 6 giugno: il Partito Socialista Operaio Spagnolo ha perduto 16 deputati, certo, passando da 175 a 159, e ha perso anche la maggioranza assoluta, di fatto, e tuttavia il Partito Popolare, da tutti dato come vincitore dello scontro, è rimasto fermo a 141 deputati, la Sinistra Unita, - comunisti, ex comunisti, socialisti in rotta con il Psoe e qualche indipendente -, non ha raccolto, come sperava, i voti dispersi dal meccanismo maggioritario e non è andata oltre 18 deputati. E neppure Convergenza e Unione, la coalizione di centro-destra del nazionalismo catalano, è riuscita a battere il Psoe in Catalogna, e si è fermata a 17 deputati. In Euskadi il Pnv, democristiano e nazionalista basco, ha avuto un risultato inferiore a quello dei socialisti, 5 deputati contro 7. Ed è stato subito facile prevedere, fin dal primo minuto, anche solo con uno sguardo ai risultati, che l'incarico di governo al candidato socialista avrebbe avuto l'appoggio della minoranza nazionalistacatalana e del Partito nazionalistabasco.

{)!,L BIANCO ~ILROSSO Pi•iiliii Per quali ragioni? Lasciando da parte cifre complicate, commenti e studi postelettorali, io manifesto qui soltanto il mio parere, che non è quello di un esperto specializzato, e che impegna soltanto me stesso. Chi ha vinto le elezioni non è stato il Partito Socialista Operaio Spagnolo, ma Felipe Gonzales. Senza di lui, il partito le avrebbe sicuramente perse. È chiaro che egli le ha vinte non nonostante il suo partito, ma con esso. Là sua organizzazione elettorale, di grande livello, si è mossa con efficacia, e con astuzia maggiore di quanto non fosse mai accaduto in precedenza. Felipe Gonzales è, oltre al re, l'unica figura nazionale della transizione democratica che abbia un bilancio attivo. Con lui si è realizzato il nostro. ultimo credito internazionale, Ha saputo offrire l'immagine di chi è al di sopra del suo partito, pur essendo, come lo è stato lui, segretario generale del partito stesso. In occasione dello scandalo Filesa la gente ha creduto che egli aveva detto alla stampa tutta la verità. Quando ci fu l'affare Guerra, all'ultimo momento egli tolse di mezzo il suo vicepresidente, e così salvò la faccia per miracolo. E alle ultime elezioni, convocate nella prospettiva di una imminente frattura del partito socialista, egli si è presentato quasi sempre solo, -. cavaliere solitario-, lanciando un messaggio di rinnovamento, e di cambiamento aggiunto al cambiamento, e la cosa è proprio quella che piace alla gente, giacché la ·speranza è sempre l'ultima a morire. La Televisione di stato, canali uno e due, devota per abitudine alla causa governativa, ha fatto arrivare in quasi tutte le case degli spagnoli il messaggio del presidente, prima e durante queste elezioni, che dal 1977sono ben più presidenziali che legislative. La situazione grave della economia, e della crisi europea e internazionale ha favorito Felipe Gonzales. Nei momenti brutti si vota, più che per paura, per ricerca di sicurezza. La propaganda del Partito socialista, tutta concentrata sul suo candidato unico, ha saputo presentare il Partito popolare non solo come conservatore, ma franchista, e persino fascista, che avrebbe distrutto le conquiste indubitabili che si erano fatte in molti settori, e che costituiscono J'orgoglio della Spagna democratica.· Il candidato della opposizione, il giovane José Maria Aznar, non ha saputo controbattere questa ac6 cusa nel secondo dibattito televisivo, seguito da undici milioni di spagnoli una settimana prima delle elezioni. Si votava dunque sinistra, rinnovatrice, contro destra; arretrata, e questo ha spinto al voto molte migliaia di elettori che hanno preso sul sèrio la minaccia dimenticando che la Unione Cristiano Democratica aveva governato dal 1977al 1982con un capo del Governo, Adolfo Suarez, che oggi è elogiato da tutti, e che era stato con Franco niente meno che segretario generale del Movimento. Non c'è alcun dubbio che in questo contesto così spagnolo centinaia di migliaia di beneficiari dej sussidi del debito agricolo, in Andalusia ed Estremadura soprattutto, e di pensionati, hanno votato decisamente a favore del presidente, che assicurava loro il pur precario aiuto. E che molte migliaia di persone «della sinistra di tutta la vita», che in un primo momento pensavano di astenersi, o di votare la Sinistra unita o altri partiti minori, alla fine, o se si vuole al momento del dessert, sono scesi in strada per testimoniare la loro «opzione di classe». Poche settimane dopo la «Destra» nazionalista basca e catalana ha reso p~ssibile, con l'appoggio esterno, il governo stabile di Felipe Gonzales. La debolezza della vittoria di Felipe Gonzales sta nel fatto che, pur mettendo da parte per ora le ripercussioni interne al suo partito, deve rafforzarsi in un futuro immediato. <iHocapito il messaggio», sono state le sue parole, rimaste famose, nella stessa notte del trionfo. Quale messaggio? Quello del rinnovamento? Quello della necessità delle purga nel suo stesso partito? Ma a quale prezzo? E su quale base ideologica? È significativo il fatto eh~, secondo le inchieste, la maggioranza degli studenti e delle persone di istruzione più elevata si erano mostrate favorevoli al Partito popolare. Ancora più sicuro è il fatto che la maggioranza delle città in cui si presentava il leader socialista, a cominciare da Madrid, ha votato per i principali avversari di Felipe Gonzales, guadagnando 24 seggi, e diventando per la prima volta una seria alternativa di Governo, la qual cosa per la democrazia spagnola è un fatto molto positivo. E infine: c'è una domanda che è rimasta più che mai sospesa per aria: quale socialismo? Perché è un fatto che il socialismo è stato il grande assente sulla bocca dei socialisti spagnoli. Su quella dei loro avversari era solo un insulto, imparato dall'Est, dal Sud, dal Nord e dall'Ovest dell'Europa.

{)!,LBIANCO ~ILROSSO iii•ii•iii CongressoCisl:i rischi dellavecchiaroutine di BrunoManghi p remessa. Il recente congresso non si presta ad una facile interpretazione: per due motivi. Il primo è che da lungo tempo, salvo casi estremi, i congressi delle grandi organizzazioni vivono quasi esclusivamente di messaggi più o meno patinati ad uso esterno, ma sono fondamentalmente occasioni devitalizzate. Il secondo è il duro colpo psicologico recato dal!'astuta rivelazione di un presunto «affaire» Lodigiani. Difficile pensare al solito complotto, ma sicuramente si è trattato di un'aggressione a D'Antoni e alla Cisl. Il Congresso ha reagito doverosamente con un'affermazione di unità e lealtà interne, anche se con qualche eccesso di ostentazione. Tuttavia non doveva né poteva essere un tribunale. Parato quindi il colpo «politico» e personale, nei prossimi mesi resta la necessità di smontare i contenuti del!'aggressione. In ogni caso il congresso consente, a seconda dei punti di vista, due letture diverse, una positiva, l'altra più dubbiosa. 7 Tutto ok. Nei due anni trascorsi la Cisl, sospinta anche dal forte agonismo del suo segretario generale, ha rappresentato il luogo propositivo e audace del sindacalismo confederale. Ha dimostrato di saper evitare una «vandea» nel pubblico impiego. Ha condotto una campagna per sostituire contrattazione ad automatismi, culminata in un -accordo del tutto coerente con i suoi principi. Ha fronteggiato le inevitabili difficoltà del mondo operaio, alimentate dai «burocrati della disperazione». Ha guardato al mutamento politico ed istituzionale senza riserve, ponendosi all'avanguardia nel riproporre l'unità sindacale. Al di là della relazione e degli interventi nel corso del congresso, di fatto sembra aver interpretato con puntualità gli appuntamenti della transizione italiana. Raramente inoltre si è vista una Cisl così priva di dissensi sulle questioni strategiche. Dubbi e insidie. Sarà che nei congressi si manifesta, attraverso la retorica, l'aspetto peggiore

{'!LBIANCO 0iL, ILROSSO iiiiiil•ii del sindacalismo burocratico, sorge un dubbio. Se tutto fila liscio, se restiamo al riparo dalla terribile ondata polemica che investe l'intero passato italiano sarà sufficiente l'intuito di pochi leaders per proseguire una navigazione fortunata. Ma se prove sociali e conflitti profondi ci toccheranno, l'organizzazione saprà tener testa alle insidie? Il dilemma è forte. Anzitutto le novità strategiche sono ancora affidate a messaggi semplificati e altisonanti e sono ben lontane dall'approfondimento operativo che meritano. Anzi, nell'organizzazione la routine di un apparato semispento mette regolarmente ai margini gli innovatori. Non si intravede alcuna iniziativa in ordine alla deburocratizzazione. Gruppi e cordate non più distinguibili per opzioni sindacali diverse, continuano il loro lavorio, il loro gioco dedicato alla sistemazione. La cosa dura da venti anni, ma sembra che i tempi la rendano sempre meno compatibile. Alle nostre questioni morali hanno pensato qua e là i magistrati. Noi ci siamo limitati ad enunciare un codice la cui operatività è tutta da vedere. Sotto il profilo del costume non c'è più da temere gli eccessi dei militanti «ideologici», bensì dobbiamo sopportare un dilagante gregarismo. 8 Alcuni punti critici. Nell'immediato futuro la crisi occupazionale ci riserva prove che sfiderebbero anche il miglior sindacalismo del mondo. Ma poi in particolare per la Cisl si tratterà di misurarsi con questioni delicate. Al Sud il declino dei trasferimenti e il prevedibile collasso del ceto politico di potere metterà a dura prova un sindacato abituato ad appoggiarsi in modo sovente spregiudicato, alle istituzioni occupate dai partiti. Al Nord l'opinione leghista è destinata a mettere sotto accusa il costoso elefantismo sindacale e la sua gestione fondamentalmente romana. _ E infine questo tema dei costi comincerà a far serpeggiare una qualche tensione fiscale dentro le confederazioni, specie se più o meno anomale risorse pubbliche o prìvilegiate verranno messe in discussione. Candidarsi ad essere protagonisti sindacali in una nuova fase della vita pubblica italiana implica un processo di autoriforma che non è ancora iniziato. Di qui appunto la possibilità di un bilancio contraddittorio del congresso. Lo spartito è buono; abbiamo qualche dubbio su parecchi settori dell'orchestra. Né uno spartito di quel tipo si addice a voci soliste.

DlLBIANCO Oil..ILROSSO iilkiil•ii L'accorddoel3 luglio: buono,conqualcheincognita di Gianni Italia ll'accordo triangolare del 3 luglio si è arri- A vati dopo un lunghissimo negoziato che ha visto scorrere tre Governi e attraversato una fase politica tra le più convulse della storia della Repubblica. Questo lungo iter, praticamente dal luglio del 1990, trova le sue ragioni nell'instabilità del quadro politico ma anc,he per una grave crisi di orientamento della Cgil. Le conclusioni del negoziato sono state approvate da una consultazione, che pur con limiti nelle modalità e nell'estensione settoriale, ha dato un ampio consenso all'intesa raggiunta. Essa riprende largamente, nei concetti e anche negli strumenti, quella, più contrastata, del 14 febbraio 1984. Un accordo che allora fu duramente contestato dalla Cgil e dal Pci mentre ora Cgil e Pds, a maggioranza, lo sostengono. La Confindustria è stata a lungo incerta e divisa sul da farsi. Ragioni di rappresentanza, gli interess-i diversi tra grandi e piccole imprese, ma soprattutto ragioni strategiche ne hanno condizionato i comportamenti. L'alternativa in gioco per Confindustria era tra un risanamento economico fondato sul consenso attraverso una concertazione economica e sociale ed un'efficace politica .dei redditi, oppure un aggiustamento affidato allo scontro tra le forze in gioco, con il corollario di una politica monetaria restrittiva e di un taglio drastico allo stato sociale. In questa ultima ipotesi i costi sociali sarebbero stati compensati da un indebolimento del sindacato confederale. La reazione rabbiosa della Lega e del suo sindacato all'accordo, e l'esplosione di un movimento antifiscale sono in sintonia con le forze che anche in Confindustria erano contrarie al1'accordo. 9 La tensione è stata elevata e la conclusione positiva del negoziato ridà spazio e possibilità nuove al sindacato confederale che può assumere pienamente un ruolo politico. La strumentazione messa in moto con l'accordo è quella di un dialogo sociale istituzionalizzato. Questo avviene attraverso le due sessioni annuali di politica dei redditi. Una dedicata all'individuazione dei parametri programmatici della politica economica e l'altra, più strumentale, al momento della formazione della legge finanzia - ria, per definire i comportamenti concreti tra le parti, circa i salari, i prezzi e l'individuazione di strumenti adatti a scoraggiare comportamenti difformi dalle intese. Questa strumentazione dovrebbe combinarsi, nei suoi effetti sull'occupazione, con una riorganizzazione del mercato del lavoro e con nuovi strumenti di gestione del.lostesso. Anzi il Governo si è impegnato alla definizione di un nuovo disegno di legge organico per la materia che corregge alcune storture della 223 e rilancia il ruolo delle strutture regionali. Nel frattempo si è dato alcuni strumenti più razionali per l'ingresso al lavoro dei giovani con l'estensione della formazione professionale e del!'apprendistato. Questa parte comprende anche un abbozzo di apertura al lavoro «interinale» e la cosa ha suscitato grandi opposizioni, ma la formulazione è talmente restrittiva che difficilmente se ne vedrà l'applicazione concreta. Un'innovazione rilevante è poi stata realizzata per il sistema contrattuale e delle rappresentanze. Il sistema precedente che combinava la dinamica automatica della scala mobile e il contratto nazionale di categoria è stato sostituito da un sistema contrattuale che assegna al contratto nazionale la tutela del salario reale attraverso due

{)!LBIANCO OIL, ILROSSO Pikiiliii sezioni salariali di allineamento dei minimi all'interno di un contratto nazionale di quattro anni. La contrattazione aziendale avrà il compito di redistribuire quote di produttività. Il progetto presuppone due condizioni pure previste dall'accordo. Un sistema partecipativo e informativo sugli andamenti aziendali e la definizione dei titolari a livello aziendale dei diritti di partecipazione e contrattazione. Il primo aspetto viene demandato ai negoziati dei prossimi rinnovi contrattuali. Il secondo è stato risolto con un vero e proprio accordo interconfederale sulle rappresentanze aziendali. L'accordo infatti attribuisce alle rappresentanze aziendali elette con il sistema messo a punto da Cgil, Cisl, Uil i compiti contrattuali e partecipativi previsti dell'accordo. È questa un'innovazione che, dopo l'art. 19 della Legge 300, aggiunge un tassello definitivo al riconoscimento della presenza del sindacato nelle aziende. La particolarità di questa parte dell'accordo è dovuta alla garanzia di un ampliamento del pluralismo della presenza sindacale negli organismi di azienda, mitigato da una quota di riserva per le organizzazioni. firmatarie dei contratti nazionali da attribuire in proporzione ai consensi elettorali ottenuti. È questa una formula originale che è stata possibile anche per la competenza personale del Ministro del Lavoro. Il Sen. Giugni ha definito questo accordo di tipo costituzionale. Si può concordare con questo giudizio per l'importanza della convergenza che si è realizzata tra i grandi soggetti economici: sindacato, associazioni padronali e Governo e 10 per la ricchezza degli strumenti e della materia che sono contenute nel protocollo sottoscritto. Ma occorre essere consapevoli che il vento della concertazione economica e sociale non spira più sull'Europa. La particolarità della situazione politica italiana può aver favorito la convergenza per realizzare l'accordo. Esso è un atto politico rilevante proprio nel momento di bassa congiuntura della politica del nostro paese. Si tratta ora di guardare al futuro. Accordi «forti» come questo, ed in larga parte programmatici hanno bisogno di un governo fortemente legittimato. E l'attuale governo è invece volutamente transitorio. Cosa accadrà con un nuovo Parlamento e un nuovo Governo? Si rafforzeranno i consensi per politiche concertative e di risanamento basate sui principi di solidarità e sulla volontà del superamento degli squilibri del Paese? Per queste ragioni l'accordo realizzato può essere il frutto tardivo di una stagione passata, che il sindacalismo confederale ha sprecato per le sue debolezze interne, oppure un'opportunità verso cambiamenti più profondi del modo di fare politica. È questa l'incognita per il futuro. Perché l'accordo sia un'opportunità occorrono quelle condizioni di trasformazione del sidacalismo confederale che da tempo sosteniamo: l'unità del sindacato, autonomia e di democrazia interna, scelte politiche condivise. Oltre, ovviamente, ad un quadro politico adeguato. Altrimenti rimane un buon patto sociale tra sindacati ed imprenditori che è uno strumento da non buttare alle ortiche. È comunque un pezzo di un riformismo moderno e socialmente accettabile.

{).!.L BIANCO ~ILROSSO iii•iiliii L'importanzdaialettica estrategicdaell'accordo di Fausto Vigevani ra le tante cose che non funzionano in questo T Paese, della cui crisi, forse costituiscono una delle cause non minori, ma tra le più trascurate o addirittura ignorate, si deve annoverare la disattenzione e la marginalità con le quali politici vecchi e nuovi, organi di informazione, tuttologi a pieno servizio, hanno guardato e guardano, o per giusto dire, non guardano, alla consultazione tra le diverse centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori italiani sull'accordo Governo, sindacati e imprenditori del 3 luglio scorso. Eppure gli argomenti politici, para e extrasindacali, oltre a quelli di carattere strettamente di merito, che la consultazione ha messo in evidenza, non costituiscono questioni minori o marginali rispetto ad un processo più vasto e complesso di destrutturazione del vecchio sistema politico, dei movimenti e dei fermenti che percorrono tutti i ceti sociali ed i loro comportamenti anche, ma non solo elettorali. Trattandosi poi di un corpo sociale socialmente definito dalla condizione lavorativa chiamato a pronunciarsi, su un accordo nazionale di grande rilievo politico, dal sindacalismo confederale non investito dai fenomeni devastanti che stanno liquidando il vecchio sistema politico istituzionale, c'è di che riflettere e temere dal nuovo e dai nuovi che, sistema di informazione compreso, si candidano a gran voce a governare il Paese. Per la verità un dato positivo c'è stato, almeno finora: ì soliti intellettuali «di sinistra» finora hanno taciuto. Perché questa premessa o preambolo alla descrizione e alla valutazione del!'accordo? Perché la consultazione e il pronunciamento con il voto di centinaia di migliaia di lavoratori è un fatto politico di enorme rilievo, perché merita 11 una riflessione politica non superficiale il fatto che altrettanti lavoratori hanno ritenuto· di non partecipare al voto; perché il sì ha prevalso, ma sulla consultazione e sul!'orientamento dei lavoratori, hanno agito anche con una intensità e forza senza precedenti, direttamente o indirettamente, sindacati, correnti contemporaneamente di partito e di sindacato, l'Msi, la Lega, Rifondazione comunista, la Cisnal, Sindacati autonomi, Cobas, talora la Rete in qualche parte perfino i Verdi, ovviamente per respingere l'intesa; perché la lotta interna alla Cgil è stata pesantissima e ha in molti punti e non marginalmente superato la soglia della pur acuta ed alta dialettica interna; perché infine, ma non ultimo, non sono poche le aziende in cui il no all'accordo ha prevalso nonostante la presenza largamente maggioritaria di Cisl e Uil nelle aziende medesime. È anche questo un elemento non archiviabile con battute sbrigative o peggio sostenendo che non si doveva chiedere ai lavoratori di pronunciarsi. La vittoria dei sì all'acco'rdo è inequivocabile. Ma la discussione e i vari no pongono problemi non eludibili. Supporre che nessun gruppo o classe sociale è esclusa dai processi. profondi, contraddittori, e dagli esisti imprevedibili che investono tutta la società italiana è stato finora relativamente facile, perfino ovvio. Ma toccare con mano, in un arco temporale di 10-15 giorni, comportamenti, manifestazioni, scelte che si esprimono in forme e modalità che possono risultare devastati ad ogni forma di aggregazione di solidarietà, di coesione tra i lavoratori dipendenti dell'Italia, è qualcosa di più serio, complesso o scioccante di una qualunque analisi sociologica o di uno studio sul comportamento elettorale dei lavoratori. La constatazione o la semplice presa d'atto di

{)!LBIANCO W.ILROSSO iiliiil•ii un risultato positivo, perché una maggioranza di lavoratori ha approvato l'accordo sarebbe un errore gravissimo e non solo per i sindacalisti e il sindacato. E comunque che i lavoratori di una città come Milano abbiano a maggioranza respinto l'accordo come in altre realtà, come in molte grandi fabbriche non è, oggi, tema che si può eludere. Chi spera nel futuro e opera per un sistema di partiti che «si ritrae» dalla gestione diretta della pubblica amministrazione e dell'economia pubblica, e per un diverso ruolo e peso della società civile, della sua organizzazione rispetto al sistema politico, non deve ignorare che le forme, i modi del conflitto sociale, del sistema di rappresentanza dei lavoratori, del sindacato in sostanza, dell'autonoma rappresentatività e coesione, sono questioni sostanziali della qualità della democrazia che può caratterizzare il futuro di questo Paese e quindi del suo progresso. La questione è tanto più rilevante ove si consideri il merito dell'accordo, il carattere fortemente innovativo delle strutture contrattuali, del sistema di relazioni sindacali, delle rappresentanze dei lavoratori a livello aziendale in un quadro regolato dalla definizione delle forme e delle procedure di una politica dei redditi, che l'accordo delinea. L'intesa infatti definisce un sistema fortemente regolato, soprattutto in relazione a prassi senza regole del sistema precedente e soprattutto fortemente teso alla tutela del salario reale e della solidarietà mediante la contrattazione collettiva del salario ogni quattro anni di cui due, una ogni due anni, a livello nazionale. Perché ciò si realizzi occorre una forte coesione tra i lavoratori nelle aziende e a livelloterritoriale, e quindi sul piano nazionale. Un tale sistema, soprattutto se collocato nel quadro di una politica dei redditi generale e nazionale, si pone in controtendenza e in alternativa alle spinte separatiste, corporative e spesso puramente disgreganti che percorrono in misura gravissima anche il lavoro dipendente. Il risultato più significativo dell'accordo e nello stesso tempo il suo carattere, se così si può dire, strutturale, è costituito dal peso fortissimoattribuito alla tutela dal potere d'acquisto della retribuzione tra tutti e per tutti i lavoratori e quindi alla contrattazione ogni due anni del salario nazionale. È questo il risultato di due spinte, delle imprese e del sindacato, per quanto motivato da ragioni e strategie diverse. Il superamento della scala mobile ha portato a rivendicare il massimo di 12 protezione del salario di tutti e quindi ha rafforzato la funzione salariale del Ccnl. Da parte delle imprese, soprattutto le piccole, il rafforzamento del ruolo del Ccnl tendeva ad escludere la contrattazione territoriale e aziendale. Ciò non è avvenuto, ma è ovvio che un rafforzamento per via contrattuale nazionale della protezione del salario reale dei lavoratori, superiore sicuramente per i lavoratori delle piccole e piccolissime imprese alla tutela fino a un anno fa rappresentata dalla scala mobile, riduce gli spazi negoziali in azienda e a livello territoriale. Ma chi ancora oggi recrimina sulla abolizione degli automatismi, non ha nessun titolo per denunciare la riduzione degli spazi che l'accordo è in grado di determinare. Peraltro occorre aggiungere che tali spazi negli ultimi anni si erano già di per sé ridotti non solo per effetto della crisi industriale, ma puramente e semplicemente per effetto della politica dei cambi fissi e dell'intensificazione della concorrenza interna ed internazionale. Comunque per la prima volta in Italia in termini formali vengono riconosciuti due livelli contrattuali. In termini di principio e di diritto ciò costituisce una indiscutibile vittoria del sindacato necessaria per consentire di conquistare la contrattazione nei fatti. Ciò sarà possibile se lavoratori e sindacati sapranno impadronirsi della conoscenza di tutti i meccanismi che presiedono al dinamismo delle imprese, produttivo e di mercato, tecnologico e organizzativo; se sapranno utilizzare la politica dei redditi come una grande opportunità e non come un vincolo liberandosi delle illusioni monetaristiche che inflazione allegra e scala mobile hanno nutrito per decenni. Ma ciò sarà possibile se con più forza e convizione avanzeranno i modelli partecipanti, i soli capaci oggi di alza:rela qualità della contrattazione.. L'accordo definisce poi la forma delle nuove rappresentanze aziendali dei lavoratori, con il supporto di una legge necessaria, potrà attribuire valore «erga omnes» dei contratti realizzati. Un possibile enorme salto verso una necessaria svolta; dietro l'angolo più che mai oggi c'è l'obbligo all'unità sindacale. La consultazione e il voto di milioni di lavoratori può e deve costituire comunque un punto di non ritorno per costruire, e impegnarsi ad unire ciò che oggi è diviso. Se così sarà, si potrà nutrire fondatamente una nùova speranza.

OlLBIANCO Oll.ILROSSO ii liii liii MinoriaMilano: ilrilanciodei«Martinitt» di Sandro Venturoli e Vincenzo Guastafierro L e Comunità di «Pronto Intervento» sono nate in applicazione e attuazione di un principio legislativo di garanzia rispetto ai minori in condizione di abbandono o soggetti a maltrattamenti. In base a tale principio se un minore si trova in una condizione di «rischio» vi debbono essere dei luoghi nei quali ospitarli al fine di predisporre un «progetto educativo» specifico sul minore stesso o di sostegno alla famiglia naturale. È evidente quindi che il Pronto Intervento è una struttura all'interno della quale si stà pochissimo tempo (la legge dice al massimo 60 giorni) nella quale viene posto un primo mattone a fondamento di un progetto educativo svolto da altri: famiglia di origine, comunità educativa, istituto, ecc. Nello spirito della legge la Comunità di Pronto Intervento doveva e deve essere collegata ad un insieme di «soggetti e luoghi» educativi o di «sostegno alla famiglia», coordinati dal sistema istituzionale-amministrativo: Regioni, Comune, Ussl. Possiamo affermare, senza purtroppo temere smentite, che in generale non è mai stato così. Raramente nelle Comunità di Pronto Intervento la permanenza si è limitata ai 60 giorni previsti come.massimo, per passare in seguito ad un progetto educativo di medio-lungo periodo. Le.permanenze si sono protratte, a volte, per mesi riducendo queste strutture a luoghi di puro contenimento data l'impossibilità di definire progetti in rapporto a scuola e lavoro per la precarietà dello status dei minori stessi; non in affido, non in tutela, ma ospitati oltre quanto previsto dalla norma. Inoltre da un anno a questa parte queste Comunità si sono riempite di minori immigrati, in particolare albanesi e maghrebini. 13 La legislazione internazionale ed italiana prevede di intervenire sullo stato di abbandono e di maltrattamento indipendentemente dal possesso o meno della nazionalità. Proprio questo ha determinato lo stato di emergenza per gli Istituti poiché come noto la maggior parte di questi minori sono clandestini e lontani dalla famiglia naturale. Non hanno quindi uno status giuridico definito nel nostro Paese, hanno s_carsissimadimestichezza con la nostra lingua e gli educatori delle Comunità hanno altrettanto scarsa dimestichezza con la loro cultura. Infine per molti di essi vi è il rischio concretissimo dell'espulsione dopo pochissimo tempo. In questa situazione è impossibile definire ed abbozzare qualsivoglia intervento educativo. È avvenuta una trasformazione strisciante del Pronto Intervento da luogo educativo a luogo di puro contenimento. È stato questo contesto a determinare l'esigenza per tutte le associazioni che a Milano e in Lombardia si occupano di minori di organizzare assieme ai Martinitt il convegno che si è svolto il 26maggio. Vi è stata una partecipazione interessata ed una discussione approfondita ed articolata tra il Tribunale per i Minorenni, i servizi sociali del Comune, la Regione Lombardia e le associazioni del privato sociale. La relazione introduttiva di Maria Fenzi ha analizzato i problemi del Pronto Intervento dei Martinitt e la trasformazione sopra richiamata. Il Commissario del Copat Alessandro Antoniazzi e il direttore de «I Martinitt» e «Le Stelline» Vincenzo Guastafierro hanno illustrato il progetto di rilancio dei Martinitt come luogo educativo a disposizione della Città e la volontà

{)!,LBIANCO ~ILROSSO iiiiiil•ii di aprirsi come struttura fisica ed educativa all'insieme della comunità cittadina. Sono emersi alcuni filoni di ragionamento ed alcune proposte. Innanzitutto l'esigenza di ricondurre il Pronto Intervento alla propria origine di luogo nel quale abbozzare i «presupposti» di un progetto educativo che completano altri, grazie ad un effettivo coordinamento dei Servizi. In secondo luogo si è messa in evidenza la necessità di costruire luoghi di «Pronta accoglienza» distinti dai Pronto Interventi poiché vi è un numero ormai rilevante di minori appartenente alla fascia della «grande marginalità» per i quali si pone l'esigenza dell'offerta di una soglia minima di servizi (mangiare, lavarsi, dormire, ecc.). Inoltre occorre rilanciare con forza la campagna di affidi come caratteristica di una città dialogante e accogliente, definendo concretamente strutture ed équipes di sostegno alla famiglia multiproblematica che consentano di realizzare condizioni di ricongiungimento positivo tra i minori e famiglie di origine. Per i minori immigrati si è chiesta la costituzione di strutture ad hoc, nelle quali vengano collocati per un periodo breve (1 mese), durante il quale l'Ufficio Stranieri ed il Tribunale per i Minorenni definiscano il loro status decidendo tra l'eventuale uscita dal Paese attraverso l'istituto della ricongiunzione familiare (in alternativa ali' espulsione) oppure il diritto di permanenza nel nostro Paese consentendo di costruire concreti progetti di intregrazione sociale attraverso corsi di alfabetizzazione e formazione professionale. Questo convegno ha riportato «I Martinitt» e «Le Stelline» all'interno del dibattito sui problemi minorili e fa parte di un progetto complessivo di rilancio dell'istituto deciso dal Commissrio Straordinario Antoniazzi. «I Martinitt» e «Le Stelline» hanno una lunga 14 tradizione, sia nella gestione di servizi educativi, sia come luogo di sviluppo e diffusione di idee, di valori. Dopo un periodo di latenza nello stretto dialogo tra l'istituto e la città, Martinitt e Stelline, che gestiscono oggi 8 Comunità che ospitano più di 50 minori, propongono un progetto che si muove su più terreni: - apertura di una Comunità femminile «Stelline» per ragazze adolescenti, aperta anche al «Penale» in convenzione con la Cooperativa «La Grande Casa» di Don Virginio Colmegna che da anni si occupa di minori; - definizione di un intervento «mirato»su «ragazzi a rischio» (ne a scuola ne al lavoro) di formazione ed inserimento nel mercato del lavoro in due zone periferiche indicative come Quarto Oggiaro e Lambrate; - sperimentazione di un intervento «preventivo» nella scuola dell'obbligo cercando di fare scattare i primi campanelli di allarme rispetto all'accumulo di assenze che preludono alla dispersione scolastica ed alla perdita fisiologica di anni di studio. Questi progetti sono realizzati con i distretti scolastici interessati ed il Provveditorato agli Studi di Milano; - fare tornare «I Martinitt» e «Le Stelline» ad essere un luogo di incontro, confronto ed elaborazione di progetti da parte di tutti quei soggetti pubblici e privati che si occupano di minori. Verranno fatti periodicamente incontri residenziali come quello del 26 maggio su temi importanti per la gestione operativa delle Comunità ed Istituti, per il contenuto legislativo ed amministrativo con lo scopo di produrre proposte e richieste verso gli Enti pubblici compresa la produzione di quaderni che mettano in evidenza il livello di solidità teorica raggiunta dai soggetti che operano in questo pezzo fondamentale di realtà che è quello dei minori e dell'adolescenza.

,P!I-~BIANCO '-Xli~ ROSSO DOSSIER Perl'alternanza Questo Dossier. La legge elettorale approvata dalla Camera è farraginosa, pasticciata e di improbabile esito maggioritario. Essa non consente assolutamente quel ricambio di persone, programmi e coalizioni che i promotori della riforma elettorale pensavano di poter affidare, appunto, alla nuova legge. _ Poiché è sempre più evidente, che attraverso nuove norme elettorali (anche più ordinate e razionali del pastrocchio prefigurato dalla legge Mattarella) non si determinano la bipolarizzazione e l'alternanza, comincia a farsi strada la proposta di elezione popolare diretta del Presidente del Consiglio. Anche molti di coloro (a incominciare da Segni) che affidavano alle nuove norme elettorali la capacità miracolistica di produrre l'alternanza, hanno dovuto prendere atto che l'obiettivo dell'alternanza è conseguibile solo se si mettono in campo appropriate riforme istituzionali. L'elezione diretta del c.apo dell'esecutivo può certamente servire allo scopo. Tuttavia essa funziona solo se collocata nel quadro di una separazione dei poteri (tra esecutivo e legislativo). Questo implica un chiaro riassetto istituzionale e quindi una conseguente revisione costituzionale. Poiché sarebbe certamente più opportuno che una simile revisione fosse realizzata da un Parlamento formato con il sistema proporzionale, anziché maggioritario, non c'è dubbio che una simile constatazione possa suscitare la composta esultanza di tutti quei parlamentari il cui fine dichiarato è di posticipare al massimo le prossime consultazioni elettorali. Coloro (e noi siamo tra questi) che, al contrario, considerano urgente un rinnovo delle Camere dovrebbero attivarsi perché, comunque, in autunno si voti. Senza aspettare quindi la conclusione della imprevedibile e tormentata navetta tra Camera e Senato per il varo della nuova legge e la definizione dei nuovi collegi elettorali. È assolutamente impossibile fare ora delle previsioni su come concretamente potrà evolvere la situazione, in ogni caso si deve continuare la battaglia, perché diradata l'attuale confusione politica, si riletta finalmente mano agli indispensabili cambiamenti i'stituzionali ed elettorali che possano davvero produrre la democrazia dell'alternanza. In tale prospettiva proponiamo, in questo dossier, alcuni contributi programmatici utili a definire l'identità di una aggregazione di centro-sinistra. Aggregazione che costituisce un elemento essenziale alla formazione di uno schieramento progressista in grado di candidarsi, con successo, alla direzione del paese. (ReS) 15

{)!.L BIANCO ~ILROSSO 011SSOH;J PerlaFederazionedemocratica e progressista Presentiamo una bozza di dichiarazione comune elaborata da esponenti di aree culturali e politiche a tradizione cristiano sociale, ambientalista, socialista. Il testo sarà sottoposto alla verifica di una Assemblea Nazionale che, all'inizio di ottobre, si propone di dare vita alla «Federazione democratica e progressista». L' unità della Repubblica e la Democrazia, come testimonia anche l'emergere di una nuova e inedita strategia della tensione, sono in pericolo, perché il vecchio sistema politico si è decomposto, ma non è ancora nato quello che lo sostituisca, perché vi è una crisi della classe dirigente del paese politica ed imprenditoriale. È quindi urgente proporre al popolo italiano una prospettiva di sviluppo civile ed economico, ecologicamente sostenibile, di solidarietà e di lavoro. È il momento che i progressisti si raccolgano attorno ad un progetto e si candidino al governo del paese: per ricostruire l'unità del paese in una prospettiva di autonomiae di solidarietà; per riorganizzare la convivenza civile sulle basi dello Stato di diritto; per portare a compimento la democrazia italiana fondandola sull'alternanza; per progettare un nuovo sviluppo economico e sociale valorizzando le risorse umane e la forza del sapere; per riformare e difendere lo Stato sociale; per porre l'ambiente come misura dello sviluppo. La situazione del paese deve spingere ad un impegno di ricomposizione politica. In questa prospettiva le forze che si richiamano alla migliore tradizione e cultura del cattolicesimo sociale, dell'ambientalismo, del socialismo riformatore e della liberal democrazia 16 sono componenti essenziali per la realizzazione del polo progressista. Infatti li accomuna l'identificazione nei valori di libertà e giustizia, della solidarietà, del rispetto dell'ambiente, del radicamento nel mondo del lavoro e nei movimenti della società civile, della. cultura della convivenza e dei diritti umani della concezione della democrazia come processo di attuazione dei diritti di cittadinanza. È necessario che queste componenti diano vita ad una aggregazione politica per contribuire alla realizzazione di un polo progressista. Una aggregazione che realizzi a questo fine le intese necessarie con il Pds, con l'insieme del!'area democratica e della sinistra di governo, con Alleanza Democratica. Per questo i sottoscrittiesponenti della tradizione del cattolicesimo sociale, dell'ambientalismo e del socialismo riformatore hanno deciso di dar vita a un comitato di iniziativaper «la Federazione democratica e progressista», per creare uno strumento di lavoro e di iniziativa politica per la costruzione di un polo di progresso, che affronti, unito, il prossimoconfrontoelettorale. Roma, 4/8/1993

{)jJ. BIANCO ~ILROSSO 1111 # 1811 1. Lanostracollocazionepolitica - 1 sistema elettorale maggiori- I tario (a uno o due turni) non determina, come spesso si afferma, la bipolarizzazione (e quindi l'alternanza), ma non tollera più di quattro o cinque - aggregazioni politiche (partiti, movimenti, o leghe) con una reale rappresentanza. Delle forze politiche tradizionali potranno sopravvivere alla riforma elettorale (che in parte hanno voluto ed in parte subito) la Dc ed il Pds perchè sono le più strutturate e conservano ancora un discreto radicamento. La Dc resiste per ora al 18 per cento. Ma senza una chiara e praticabile strategia delle alleanze la sua «resistenza» è quella di una nave che affonda. L'idea, espressa da autorevoli dirigenti Dc, di un centro autosufficiente, o comunque in grado di determinare il gioco (come nel sistema proporzionale) non sembra avere alcuna plausibilità. Nei sistemi uninominali si governa con il centro, più che al centro. A sua volta, nel Pds coesistono varie ipotesi politico-strategiche, tuttavia l'orientamento prevalente, allo stato, è quello di lavorare alla costruzione di una federazione della sinistra. Scelta utile se l'obiettivo fosse quello di organizzare l'opposizione, del tutto contradditoria, invece, se l'impegno fosse quello di governare il paese. Il problema delle aggregazioni e delle alleanze si pone quindi per tutte le forze politiche che si candidano a governare. Si dice che nel nuovo sistema ci si aggregherà e ci si dividerà soprattutto sulle soluzioni da dare ai problemi piuttosto che su collocazioni ideologiche. Il che, oltre che un bene perchè scoraggerà un trasversalismo opportunistico e senza principi, è anche assai probabile. Tuttavia non si dovrebbe ignorare che le proposte politiche-programmatiche non prescindono (in nessun paese) dalla tendenziale appartenenza ad uno schieramento politico, anzichè ad un altro. Insomma gli schieramenti si formano sulle soluzioni da dare ai problemi, ma le soluzioni che. vengono date ai problemi riflettono le culture degli schieramenti di provenienza. Destra e sinistra sono quindi termini tutt'altro che privi di significato. La propensione verso l'autonomia individuale e la conservazione delle differenze o, al contrario, verso la solidarietà e l'eguaglianza costituiscono ancora (in Italia e nel mondo) decisivi orientamenti di valore che caratterizzano la cultura politica e sociale. Prevale l'orientamento di sinistra quando ci si orienta verso valori di solidarietà e di eguaglianza, quando non si accetta una società che tollera un numero crescente di esclusi, di persone lasciate ai margini, quasi per una congenita ed insuperabile diversità. Prevale, invece, l'orientamento di destra quando si accetta un tendenziale darwinismo so17 ciale, quando si giustificano intollerabili differenze di reddito e di potere tra persone, gruppi, aree geografiche, razze. Gli schieramenti non sono quindi separabili dai contenuti ed i contenuti, a loro volta, non prescindono dalla cultura politica di appartenenza e dalla rappresentanza sociale che si esprime. Sulla base della nostra sensibilità e della nostra storia intendiamo perciò lavorare alla costruzione di una aggregazione di centrosinistra (che raggruppi il meglio delle culture e delle tradizioni: riformista, laico progressista e cattolico democratica) in grado di candidarsi, nell'ambito di uno schieramento progressista, alla guida del paese. Questa scelta esclude la disponibilità a partecipare ad una indistinta «federazione della sinistra». Non si vede infatti il terreno di possibile convergenza politica con chi, ad esempio, si pone il compito antistorico di «rifondare il comunismo». Il nostro impegno è invece rivolto ad aggregare, con una radicale innovazione delle forme tradizionali dell'organizzazione politica, un raggruppamento di centro-sinistra che, in accordo con il Pds e con una chiara delimitazione a sinistra, possa dar vita ad uno schieramento progressista in grado di guidare, con equità ed efficacia (tanto più in una fase di difficile transizione) il governo del paese.

g!LBIANCO """'IL ROSSO 01S1S181A 2. Pubbliceoprivato a cultura della sinistra è L sempre stata prevalentemente «pubblicistica» (e tendenzialmente statalistica) mentre quella della destra è stata prevalentemente «privatistica». Sul rapporto pubblico-privato le forze politiche progressiste sono chiamate ad un aggiornamento della loro cultura che tenga conto dell'esperienza e dei risultati. Oltretutto diventerebbe molto arduo, per non dire impossibile, fare una politica nuova, come i tempi richiedono, con una cultura vecchia. Negli anni 80 «privatizzazione» era, per molti economisti ed uomini politici, una parola magica. Erano gli anni avventurosi dell'ascesa di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, quando ci si attendeva l'avanzata nel mondo di una nuova era di imprenditorialità privata che rivitalizzasse le economie del Nord e del Sud. Gli eventi dell'Europa orientale del 1989, sembravano confermare questa attesa. Sembrava che, ovunque nel mondo, il ruolo dei governi nell'industria fosse sospinto verso una ritirata ed il futuro inevitabilmente nelle mani del settore privato. Il programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo che creò una divisione per il settore privato e la Rete Inter-regionale sulla privatizzazione per l'aiuto ai diversi paesi, con informazioni ed assistenza pratica in questo campo, fu una delle agenzie internazionali che aderì completamente a questa visione. Sebbene gli sforzi di privatizzazione siano sempre attuali, le grandi aspettative degli anni 80 sono ora assai temperate da una valutazione più realistica delle cose. L'euforia iniziale è del tutto svanita. Ironicamente la situazione dell'Europa dell'Est e dell'ex Unione Sovietica ha contribuito sostanzialmente a modificare le opinioni. Dopo aver lanciato clamorosamente le privatizzazioni i paesi dell'ex blocco socialista, si sono presto resi conto che la nave si stava incagliando. Gli ostacoli alla privatizzazione si sono rivelati moltissimi. Dalla mancanza di una cultura di mercato, alla confusione sul valore e la proprietà dell'impresa; dall'insufficienza delle infrastrutture industriali, all'assenza di un apparato legale per la conduzione degli affari. Per non citare che i più rilevanti. Ma anche quando i processi di privatizzazione hanno camminato, i risultati hanno messo in evidenza nuovi problemi come: l'aumento dei prezzi per merci e servizi di base, licenziamenti su vasta scala, perdita di beni nazionali a vantaggio di acquirenti stranieri, la chiusura di industrie vitali. In alcuni paesi questi effetti hanno provocato forti tensioni sociali. Sono così cadute molte delle illusioni che avevano accompagnato l'avvio delle privatizzazioni nei paesi dell'Est. Con l'aumento della disoccupazione, in particolare i lavoratori di quei paesi, hanno dovuto prendere atto di quanto fosse infondata l'idea che, in fin dei conti, il capitalismo non fosse altro che il.socialismo con più soldi. Che si po18 tessero, in sostanza, cumulare i vantaggi dei due sistemi. Molti dei problemi emersi nell'Europa orientale si sono manifestati anche in paesi del Sud. L'Argentina, che aveva iniziato la privatizzazione su scala modesta nel 1983, è un esempio. Nel 1990, il debito in aumento e le gravi perdite del settore pubblico, portarono il governo argentino ad accelerare il processo ed a vendere alcune delle maggiori imprese statali, tra cui la compagnia nazionale dei telefoni, la compagnia aerea di bandiera e le ferrovie. Secondo molti analisti il risultato delle privatizzazioni è stato un peggioramento dei servizi ed un aumento dei prezzi. Questo esito è considerato la conseguenza della costituzione di una situazione di monopolio privato e della mancata regolamentazione governativa delle industrie dopo la privatizzazione in grado di assicurare una adeguata qualità e prezzi dei servizi. Per approdare a risultati positivi una delle conclusioni da trarre è che i governi devono assumere un ruolo ampio di regolazione sia durante, che dopo la privatizzazione. Una conferma in questo senso viene dall'esperienza attuata nei territori dell'ex Repubblica Democratica Tedesca. Dall'ottobre 1990 oltre 3.000 imprese sono state privatizzate dalla Treuhand, l'organizzazione fiduciaria statale incaricata dell'operazione. Si tratta del più grande programma di privatizzazioni che sia stato finora attuato. La Treuhand

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