Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 41/42 - giu./lug. 1993

{)!LBIANCO ~ILROSSO •11 •~1§1•!; Spuntdi iantropologia metafisicdaellasperanza s i attende un futuro buono, sapendo che non dipende esclusivamente da noi. Così la speranza vive del desiderio, ma si accompagna inestricabilmente al timore. 1. Il timore è l'altra faccia della speranza, finché essa vive: non è il suo contrario, è piuttosto la sua ombra. Finché c'è speranza c'è apprensione. Solo la disperazione (non la morte) pone fine ad entrambe: disarma l'attesa e annulla il timore. Nel precario e struggente equilibrio che esse vivono, affonda perentoriamente la lama di una certezza negativa. Il godimento, allo stesso modo, scioglie l'incertezza: e ciò avviene a favore del desiderio. Ma tutti sanno che il timore della perdita, sempre possibile, del bene sperato, si deposita nel profondo dell'anima: sicché la speranza di qualche cosa di risolutivo continua a vivere, anche a dispetto del godimento nel frattempo conseguito. La prima disillusione del cucciolo dell'uomo, infatti, è già decisiva per l'intera esistenza. Essa getta un'ombra sul tempo vissuto, rimane latente sul fondo di ogni godimento. Il dolore conferma la precarietà del godimento in un modo del tutto asimmetrico rispetto alla capacità di quest'ultimo di sciogliere la sofferenza. Si può sempre dubitare di essere stati veramente felici: mai si dubita del dolore di Pier Angelo Sequeri sperimentato, per quanto il passato ne abbia lenito l'emozione. Queste rapide riflessioni consentono una prima significativa correzione della elementare evidenza di prima istanza. È vero che la speranza si rapporta al futuro: ma non è il futuro che determina il costituirsi della speranza; piuttosto è la speranza che istituisce il futuro. Il lato curioso della faccenda è infatti proprio questo: che la speranza si accende nella consapevolezza che il desiderio del bene è sempre esposto al fallimento. Il godimento passato denuncia la sua incompiutezza; e il godimento presente non è mai certo della propria stabilità. La speranza non è semplicemente il desiderio rivolto al futuro (prospettiva classica, da Aristotele a San Tommaso). È piuttosto la trasformazione che il desiderio subisce quando, consapevole della finitezza, coltiva nondimeno la propria giustizia. In quel «nondimeno» si apre un futuro che non è semplicemente l'attesa di un tempo ulteriore, che liquida il desiderio passato. La speranza include il tempo passato, e tiene in vita la questione irrisolta della sua giustizia e del suo riscatto. 2. Il desiderio, di per se stesso, non ha il senso del tempo. La speranza istruisce anzitutto il desiderio a tenere conto del tempo. Sia perché gli rivela il deliramento che è insito nella sua pretesa di annullare il tempo nel godi81 mento. Sia perché lo persuade a mantenere dentro la sfera della sua attesa anche il passato e il presente. La speranza autentica infatti, spera anche a riguardo della incompiutezza del passato e dell'impotenza del presente. La speranza le trattiene entrambe nel cerchio della coscienza desiderante e continua a portarle sempre di nuovo nel fuoco della propria attesa di riconoscimento e di riscatto. L'ingiustizia non cessa di essere tale soltanto perché, nel frattempo, è passata. E la morte che incombe su ogni presente non finisce dalla parte della ragione soltanto perché ci piega con la forza. La speranza conferisce in tal modo all'attesa del futuro una sorta di umiltà rispettosa: traccia sicura del rispetto comunque dovuto al mistero di una giustizia, il cui senso abita il nostro sangue e le nostre ossa come la parie più intima di noi stessi; ma il cui destino è per noi pur sempre indecifrabile e sfuggente. Una tale umiltà tempera l'arroganza del desiderio, memore della sua risorgente frustrazione e della sua costitutiva incompiutezza. In essa, la coscienza si dispone ad un atteggiamento interlocutorio, ridestandosi alla consapevolezza - profonda, eppure enigmatica - che il compimento del desiderio e lo scioglimento del timore devono infine presentarsi, come un dono dell'altro. La speranza ha tipicamente bisogno del libero riconoscimento della sua giustizia da parie dell'altro. Con ciò essa neutralizza

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