Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 41/42 - giu./lug. 1993

zione occidentale (a partire dai Greci), bensì di certe svolte, pur decisive, che non esaurivano però la gamma delle possibilità e delle scelte cui l'uomo europeo si è trovato dinanzi. Ciò che intendo dire è che se noi vogliamo, oggi, porre il problema della eticità delle decisioni sul futuro dobbiamo preliminarmente comprendere per quali vie e attraverso quali decisioni (che hanno scelto escludendo) siamo arrivati a questo punto, un punto nel quale appare problematica sia la possibilità stessa di «governare il futuro» sia - ed è questo un tema ancora più cruciale - la eticità di decisioni sul futuro. Ciò non toglie, e va precisato subito, che resta urgente sapere e poter decidere sul futuro per ragioni relative all'essere stesso della umanità in quanto tale. Il rischio della auto-distruzione dell'umanità (ecologica o atomica) si pone solo oggi e per la prima volta nella storia conosciuta dell'uomo. Solo oggi ciò che è in gioco è l'essere dell'umanità e non una sua certa forma di esistenza. Ma sarebbe un artificio sterile discutere su ciò senza porsi prima il problema di spiegare come e perchè l'umanità è arrivata al punto di (poter) mettere in gioco se stessa. Vi è, insomma, nella storia recente dell'occidente, una tendenza verso la distruzione e la auto-distruzione che se fosse data per scontata e fosse considerala ineluttabile renderebbe del tutto superflua ogni discussione. Se, insomma, il destino dell'occidente consistesse tutto in questo tipo di dominio planetario della tecnica, sarebbe più sensato rinunciare ad ogni ipotesi di vita migliore (quale è implicita nell'idea di governo del futuro). È mia convinzione che nonostante il processo storico effettuale non per questo noi non abbiamo la capacità di immaginare come altrimenti la storia avrebbe potuto essere qualora dinanzi a certe alternative si fosse scelta una via diversa da quella imboccata. In ciò il ruolo degli intellettuali è stato decisivo e, per certi aspetti, lo è ancora oggi. Non è questa la sede per porre il {)!LBIANCO ~ILROSSO •11•~1§t•l;J problema in tutta la sua portata. Mi limito ad accennare a quella che ritengo la questione essenziale, il ruolo svolto dal!' idea di ragione a priori nella storia degli ultimi secoli. Non voglio accusare il razionalismo occidentale, voglio solo sottolineare il fatto che il razionalismo occidentale, ponendosi come onnipotente nel suo desiderio di assoggettamento della natura (ma poi, necessariamente, degli uomini), ha fatto dell'oggetto ciò che viene posto dal soggetto, un soggetto del tutto astratto e permeato da una ragione calcolistica e strumentale. In tal senso, e in profondità, il soggetto moderno, soggetto della scienza che si fa scienza, soggetto della tecnica che si fa tecnica, soggetto del mercato che si fa mercato, è un soggetto che ha già «governato il futuro», che ha già voluto determinare (pre-determinare) il futuro in quanto soggetto astratto. Discutere di governo del futuro, oggi, deve significare, quindi, qualcosa di radicalmente diverso da ciò che la ragione astratta dell'occidente ha già fatto in passato sia nella forma del dominio tecnico-capitalistico del mondo, sia in quella della violenza rivoluzionaria, anch'essa, già, progetto di governo del futuro nel qui e nell'ora della contrattazione violenta del tempo. Il governo del futuro deve poter coniare su una consapevolezza piena delle vie false, dei «sentieri interrotti» che l'umanità occidentale ha voluto intraprendere negli ultimi secoli, sfociati nella burocratizzazione della vita associala e nella esaltazione di un io «emotivisla»(dr. C. Taylor, The Sources o! the Sei!. The Making o! the Modem Identity, Harvard University Press, 1989; A. Maclntyre, Dopo la virtù, Milano, Feltrinelli, 1989) incapace di reale autonomia, deve poter significare, in altri termini, una compiuta autocritica delle decisioni prese. Autocritica che sappia anche cogliere gli inizi di tutti i sentieri che non sono stati imboccati e che forse non sarebbero necessariamente stati dei sentieri interrotti. O, forse, autocritica nel senso ancora più profondo di saper cogliere l'unico, grande sentiero da sempre aperto dinanzi all'uomo, che è 75 quello della totalità e della non-separazione. Il tema del futuro è un tema di filosofia morale, ma la filosofia morale è esattamente un'invenzione moderna (dr. A. Heller, Generai Ethics, Oxford, Blackwell, 1988), ignota al pensiero tradizionale per il quale essa è parte della politica, dell'epistemologia, della metafisica. Il pensiero moderno ha ritenuto di doversi inventare una filosofia morale (la possibilità di un pensiero morale in termint di razionalità a priori) proprio sulla base della grande scissione Ira io e mondo. Posti dinanzi al rischio della catastrofe, noi dobbiamo (se vogliamo e se potremo) risalire al punto in cui le alternative erano ancora indecise, al fine di individuare una progettualità autenticamente etico-politico-sapienziale e non utopica. In effetti, una delle contraddizioni laceranti imposte dal!' epoca del dominio tecnologico all'uomo consiste nel bisogno sempre maggiore di saggezza e di verità in un mondo che nella sua essenza si sottrae alla saggezza e rifiuta la verità. Questo sottrarsi e questo rifiuto sono però essi stessi sintomo, almeno, di una certa prudenza: il rifiuto della verità assoluta (ciò che si definisce come relativismo filosofico) deve servire ad allontanare il ripetersi di tragedie e catastrofi che il nostro secolo ha vissuto in nome dell'assolutezza dei valori: il nazismo e lo stalinismo. Ciononostante, occorre una nuova tavola di valori, questa volta non giustificati in base ad argomentazioni puramente razionali che sfociano nel!'esercizio di una ragione soggettivistica e solipsistica che si compiace dei propri artifici, bensì fondati nell'essere: occorre, insomma, un dovere radicalo nell'essere, perché è proprio nella scissione Ira dovere ed essere che si è realizzato il peccato di origine della società moderna. Si tratta di scoprire una nuova etica o di appronfondire quella tradizionale? O di una via intermedia? Secondo Hans Jonas l'etica di cui abbiamo bisogno si distingue da quella tradizionale: «il Prometeo irresistibilmente scatenato, al quale la scienza conferisce forze senza precedenti e l'economia impri-

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