Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 41/42 - giu./lug. 1993

D!LBIANCO ~ILROSSO 11111-i§t iH ;J Etica,politica e governodelfuturo H a detto recentemente Ernest h.inger che la tecnica è l'ambito dell'attività umana con più capacità di cambiare l'uomo; nessuna rivoluzione politica ha questa forza. La politica stessa, a suo avviso, se messa a confronto con l'immane avventura della tecnica, minaccia di scomparire. Il tema della fine della politica ci immette direttamente nell'oggetto problematico che dobbiamo discutere - l'etica e il futuro - in quanto la politica è per sua essenza la capacità di determinare il futuro; già quando era solo arte di governare gli uomini essa presupponeva la possibilità di determinare una certa situazione temporalmente spostata in avanti: il tiranno fa la sua politica per poter continuare ad essere tiranno: «Nulla gli è precluso, e contro ogni futuro trova risorse; solo contro la morte non ha scampo», si legge nell'Antigone di Sofocle (vv. 360-2). Il rapporto tra etica e politica in merito al futuro, alla capacità di «governare» il futuro, di decidere per il, e sul, futuro - nel senso delle generazioni future -, si pone perciò in ma· niera del tutto peculiare proprio in re· !azione alla nuova dimensione assunta dalla politica in riferimento allo sviluppo tecnico. Prima di capire quali siano le implicazioni etiche di una po· litica proiettata al governo del futuro, occorre capire quali sono le capacità della politica nell'era della tecnica. L'idea tradizionale di una separazione tra politica ed etica non resiste di Agostino Carrino più alla prova dei fatti. Pur in una vi· sione realista della politica, valida fino ad oggi, occorre prendere atto del fatto che la politica non è nemmeno più l'arte del possibile. Innanzi tutto, la così detta «morte della politica», nel duplice senso della trasformazione della grande progettualità politica in gestione amministrativa del!' esistente e della scomparsa delle grandi figure di uomini politici e statisti, offre un'in· terpretazione diversa di quella che pure è stata per millenni un'arte nobile e tremenda, in secondo luogo, persino la piccola politica della gestione dell'esistente si trova oggi ad essere insignificante rispetto al dato veramente rivoluzionario del dominio planetario della tecnica, dominio fornito di una sua propria, intrinseca, progettualità che sfugge alla decisione politica, grande o piccola che sia. Come ha os· servato G.Anders (L'uomo è antiqua· to, Torino, Bollati·Boringhieri, 1992), «la tecnica è ormai diventata il soggetto della storia», un soggetto fornito, appunto, di una sua propria razionalità rispetto alla quale l'uomo concreto è strumento o, come scrive S. Latouche (L'occidentalizzazione del mondo, Torino, Bollati-Boringhieri, 1992), ingranaggio «di una macchina totale, dotata di una forza irresistibile di auto-accrescimento». Qual è lo spazio della politica, oggi, in questo grande apparato tecnica che la sociologia dei sistemi ha descritto come auto-referenziale? Ha ancora un senso l'agire politico o, come scrive P. Barcellona nel suo recente libro (Lo spazio della politica, Roma, Editori Riuniti, 1993), «lo statuto del "senso" 74 cessa di essere una categoria dell'e· sperienza individuale e collettiva e si trasforma in una prestazione del sistema sociale, al quale soltanto spetta di conferire senso alle azioni umane definendo rispetto a ciascun problema le strategie di azioni possibili»? Per la verità, è lo stesso Barcellona che cerca poi di cogliere i limiti di questa pro· spettiva, affrontando il tema della genesi tipicamente moderna (e quindi non fatale) di questo tipo di dominio della tecnica, legato ad una prospettiva specifica all'Europa della secolarizzazione umanistica ed illuministica, che a partire da Bacone, Hobbes e Cartesio ha posto il soggetto come punto di partenza di un progetto di dominio della natura fondato sulla scissione tra io e mondo, da un lato, e io e Dio dall'altro. Già altrove (cfr. il mio Scienza e politica nella crisi della modernità, Roma, Edizioni Lavoro, 1989) ho cercato di mostrare come gli esiti attuali del dominio planetario della tecnica (di questo tipo di dominio) non si rifacciano alla prospettiva greca o «occidentale» in quanto tale, bensì ad una specifica svolta che l'Europa subi· sce solo da un certo momento in poi, anche se in tutta la storia occidentale è possibile trovare delle analogie qualitative, se non quantitative. Il problema della gestione del futuro e delle sue implicazioni etiche può essere quindi affrontato in due direzioni differenti a seconda del punto di vista che si sceglie: o quello critico dell'occidente in quanto tale, e che cerca una spiegazione ontologica o antropologica (Heidegger o Gehlen), o quello ugualmente critico, ma non di tutta la tradi-

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