Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 41/42 - giu./lug. 1993

consiste la questione ambientale, tanto da configurarsi in modo così drastico e urgente, vero e proprio limite alla esigenza di espansione. Si tratta delle malattie «tecnologiche»: tumori, leucemie, sconvolgimento del sistema immunitario, come conseguenza di contaminanti chimici, radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, che compaiono in processi produttivi, traffico urbano, ma anche in attività usuali nella società tecnologica. Ci sono le perturbazioni apportate alla delicata stabilità del sistema termodinamico Terra: possibili alterazioni dei cicli climatici, ozono, aggressione alla biodiversità. C'è il bilancio difficile delle risorse disponibili, energia in particolare: sul controllo del prezzo e della disponibilità del barile, nel gennaio '91 abbiamo combattuto una guerra. L'allargamento del modello industriale ai paesi del Terzo e Quarto mondo induce consumi energetici crescenti e si delinea così una prospettiva difficilmente sostenibile, sia dal punto di vista delle disponibilità che dell'impallo ambientale delle utilizzazioni. Dunque questione ambientale come drammatica rotta di collissione tra due stabilità: quella delle società industriali che richiederebbe di continuare nell'espansione e quella degli equilibri ambientali, che raccomariderebbe la revisione critica delle produzioni e dei consumi, proprio alla luce della salvaguardia del pianeta. Pensare che quella che stiamo vivendo sia una delle ricorrenti crisi cicliche, dalla quale si possa uscire con l'usuale alternanza di strumenti economici tradizionali - in particolare di politiche monetarie - appare illusorio. Innovazione e questione ambientale, sono a nostro modo di vedere, le cause profonde della crisi delle società industriali, apportano una rottura difficilmente componibile degli equilibri. Quanto si è consapevoli di questo? Quanti scienziati dell'economica sono oggi disponibili a riconoscere a questi due fattori un ruolo così centra- {)!LBIANCO a.z..1LROSSO • •ni.•ia#J ; le? E, per conseguenza, ad immaginarsi strumenti di intervento nella politica economica, nella politica industriale, urgenti ed appropriali e ritagliati su questa contraddizione? 6. Epoi quali strumenti? Essi dovranno permettere la progressiva riallocazione delle risorse da produzioni volte a consumi individuali, verso politiche globali di miglioramento della qualità della vita di tutti. Che cosa significa questo in concreto? Crescente attenzione negli ultimi anni è stata dedicata a riconversioni produttive centrate su progetti volti a collegare la salvaguardia dell'occupazione e dell'impresa con la difesa della salute e dell'ambiente. L'elettromeccanica delle tecnologie di risparmio energetico ed utilizzazione delle fonti rinnovabili di energia, l'impiantistica del trattamento dei rifiuti, attività manifatturiere volte al trasporlo ferroviario, ai veicoli elettrici, alla cantieristica per il cabotaggio costiero, cicli chimici puliti, colture agricole legate all'industria, edilizia del risanamento, turismo non distruttivo, etc. sono i capitoli di questo profondo ripensamento dell'economia che viene proposto. Esso si dovrà accompagnare ad una ricollocazione, da una parte, del ruolo dell'innovazione tecnologica e dunque del rapporto ricerca-economia, e dall'altra, inevitabilmente, ad una revisione dell'organizzazione del lavoro. Affrontare il problema dell'occupazione in una situazione come quella descritta, in presenza cioè di situazioni di saturazione nella penetrazione dei consumi e di fattori limitanti dell'espansione, pone con forza i problemi dell'organizzazione del lavoro, in particolare della riduzione dell'orario di lavoro. Se non è accettabile giustificare con la difesa dell'occupazione il mantenimento di attività aggressive per la salute e per l'ambiente, bisognerà da una parte battersi per aprire - come sopra indicato - nuove e accettabili prospettive di occupazione, 71 dall'altra appare necessario compiere passi risoluti in direzione di una maggiore flessibilità dell'organizzazione del lavoro che tenda a ridistribuire attraverso incentivi il lavoro disponibile. Alla base di questa prospettiva c'è la proposta di cambiare l'aspirazione a maggior salario per maggiori consu - mi, con la riconquista di maggior qualità della vita. Non si può sottovalutare quanto impegnativo sia il processo di trasformazione di cultura, aspirazioni e abitudini contenuto in questa proposta, su cui è necessaria oggi una chiara interlocuzione con il movimento sindacale. 7. Dunque si profila un cambiamento profondo. Che cosa può significare oggi parlare di democrazia economica, dopo decenni in cui questa aspirazione si è venuta riducendo sempre di più ad eguali consumi? Ha senso ancora porsi questo obiettivo in un mondo di consumi insostenibili e distruttivi? Più ragionevole appare indirizzare con rigore la rivendicazione di giustizia verso una prospettiva netta di pari opportunità, da garantire a tutti - nella salute, nell'educazione e formazione professionale, nell'occupazione, nella sicurezza sociale, nella fruizione dell'ambiente - e in particolare, tra uomini e donne. Garantire questo livello di salvaguardie per tutti richiede lavoro e risorse, delinea la società sostenibile, sobria fino all'austerità da una parte, e solidale dall'altra. Ci si potrà avviare gradualmente verso questa prospettiva con grandi battaglie culturali che modifichino le preferenze, con un uso intelligente della fiscalità e soprattutto con molta politica: impresa e mercato non sono apparsi sin qui sufficienti, da soli, a determinare processi governati dalla razionalità collettiva che è la peculiarità richiesta dal tempo futuro delle vacche magre.

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