Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 41/42 - giu./lug. 1993

{)!LBIANCO ~ILROSSO liiiiii•P pubblica tedesca sembra tiepida. Il primo ministro promette anche miglioramenti nella vita dei lavoratori stranieri, dei Gastarbeiter. Promette case, lavoro, anche se si tratterà di case alla periferia, con i letti a castello e i servizi igienici in comune, anche se il lavoro sarà di quelli più faticosi, privi di prestigio, di quelli che i tedeschi ormai rifiutano. Ma dei diritti di cittadinanza non si parla. Del diritto di voto non si fa cenno, neppure in via ipotetica. Il Governo federale ha preparato un nuovo disegno di legge sulla cittadinanza straniera. Questa legge si propone due obiettivi: agevolare l'integrazione dei cittadini stranieri che vivono da molto tempo in Germania e contestualmente limitare l'immigrazione di nuovi contingenti. Il secondo obiettivo è stato raggiunto prima del primo. Per agevolare l'integrazione degli stranieri da molto tempo residenti in Germania, la legge dovrebbe limitare una serie di disposizioni che fino ad oggi hanno ostacolato la naturalizzazione. Attenzione, però: la naturalizzazione non è vista come una via per promuovere l'integraziorte; al contrario, l'acquisizione della cittadinanza tedesca deve costituire il punto d'arrivo di un riuscito processo di integrazione. Lo scopo finale è di accettare gli stranieri solo quando si siano debitamente depurati da ogni elemento allogeno ad evitare qualsiasi rischio di spiacevole contaminazione. L'opinione pubblica tedesca è profondamente imbevuta di questo «razzismo naturale». La ricerca, proprio sui lavoratori turchi in Germania, condotta dal giornalista Gunter Wallraff (dr. Faccia da turco, trad. it. ed. Pironti, Salerno 1986)documenta persuasivamente questa situazione. Il pericolo vero è nel perbenismo della maggioranza silenziosa, che può talvolta anche ritenere che i naziskin stiano esagerando, ma che in fondo pensa che una certa pulizia etnica, per quanto spiacevole, vada fatta, e fatta bene, in fretta, ;:-adicalmente, e senza troppi scrupoli da anime belle. Con la consueta acutezza, Umberto Galimberti la recensito il mio libro La tentazione dell'oblio nel «Sole 24 Ore» di domenica 6 Giugno 1993. A ragione si sofferma nella tragedia del!' odio che è sfociata nell'Olocausto. L'Olocausto: perché? Non se ne può parlare seriamente ai giovani di oggi senza tentare una risposta - una risposta che non si limiti all'emotiva condanna, di regola troppo appassionata e viscerale per non far sospettare che si nasconda qualche cosa di impor6 tante. L'Olocausto non è stato il solo genocidio: le popolazioni andine, i pellerossa, i neri d'America, e, entro certi limiti, anche d'Africa, i Rom, e così via sono stati e sono altrettanti genocidi. Ma l'Olocausto si è meritato la distinzione di essere stato un esperimento scientifico, sistematico, degno di studio come un caso specifico di sociologia dell'organizzazione. Non solo. L'Olocausto non è stato una deviazione, un errore occasionale. Ha avuto luogo in uno dei paesi più «civili»del mondo, con una amministrazione pubblica eccezionale per solerzia, dedizione al lavoro, diligenza, rispetto delle gerarchie e delle norme scritte. Perché, dunque, l'Olocausto? Se i criminali, come pensava Hegel, hanno diritto alla loro pena e all'espiazione - per restaurare l'ordine cosmico - anche le vittime hanno diritto a conoscere le ragioni per cui all'improvviso, senza alcuna colpa personale, sono stati strappati alle loro abitudini, alle loro case, alla cerchia dei parenti e degli amici - in una parola, le ragioni del loro sacrificio. Ma l'Olocausto non riguarda solo vittime e carnefici. Riguarda l'umanità nel suo complesso. Nessuno può chiamarsi fuori. Non ci possono essere osservatori neutrali, bystanders. Di fronte allo sterminio scientifico di massa nessun essere umano può considerarsi estraneo. La stessa idea di Dio è chiamata in causa, almeno quanto la chiama in causa Giobbe caduto in miseria e in disgrazia, seduto sul «trono» del letamaio. Ma ciò che caratterizza l'Olocausto, ciò che ne fa un evento in tutti i sensi straordinario e che lo rende operativamente possibile, è in primo luogo la freddezza scientifica con cui è stato condotto. Non c'erano saccheggi. Non era l'attacco alla città da parte di truppe ostili, come avveniva nell'antichità, con stupri, uccisioni, ferite, ma anche con quelle lotte a corpo a corpo in cui la violenza può a tratti sembrare solo un abbraccio mal calcolato. Nell'Olocausto c'è freddezza, efficienza, organizzazione, Leistung. Le vittime sono numerate, schedate, ordinatamente suddivise. Sul tutto domina una chiara, sicura, limpida coscienza professionale. È gente che fa, e fa bene, il proprio dovere. Ammazza, in modo pulito, senza troppe storie, sine ira ac studio. Ciò è possibile perché gli esseri umani cessano dall'essere tali: caldi, in parte almeno emotivi, quindi imprevedibili. Qui tutto è previsto, catalogato, scontato. Vittime e carnefici sono, da

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