Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 41/42 - giu./lug. 1993

O!LBIANCO OIL, ILROSSO J;ilkiiliii ni di uomini nelle campagne, nelle città, nei distretti minerari o tessili, hanno vissuto non solo la povertà, ma l'impoverimento. Un peggioramento documentabile rispetto alle condizioni di vita precedenti. La scelta del movimento socialista, come quella del solidarismo cristiano, è stata compiuta sotto il segno degli «ultimi». Gli ultimi destinati ad essere moralmente e politicamente i primi. La condizione originaria degli «ultimi» intorno a cui si forma il mito positivo dell'emancipazione è sicuramente quella della subalternità e dello sfruttamento. Ciò che muoveva il sentimento collettivo (ben al di là del concetto di plusvalore maneggiato da ristrette élites) era la condizione immediatamente percepibile: indigenza, insicurezza, ignoranza, malattia. Sappiamo bene che in realtà il socialismo democratico si è all'inizio costituito intorno a figure diverse dagli ultimi: operai di mestiere, alfabeti ed artigiani. Ma la «missione» del nucleo organizzato traeva la sua universalità e quindi la sua legittimità dal riferimento alle masse indigenti. Le parole da sempre tipiche del movimento socialista (lavoro, giustizia, lotta, sfruttamento, povero, ricco, dignità, emancipazione ed altre ancora) hanno tratto risonanza e significato da quel contesto. Un contesto ancora vero in gran parte del mondo ed in minoranze del lavoro europeo, ma pressoché inimmaginabile per buona parte dei giovani a cui tenta di rivolgersi, oggi e qui, il messaggio del socialismo riformista. In breve volgere di tempo si è colmata una grande distanza. Molte parole e molti pensieri si sono preservati, ma in qualche modo appaiono esangui, estirpati dalle loro radici, perciò inattendibili. La questione sociale, che è stata il punto di forza delle battaglie del socialismo democratico in Europa, è radicalmente cambiata. Nel significato unificante che essa ha avuto per decenni, è scomparsa. La società appare dominata dalla frantumazione, dai-corporativismi, dai gruppi di interesse, da sparse e fluttuanti collettività, senza più un punto coesivo, una figura integratrice. La questione sociale che aveva dominato il secolo, accompagnando l'ascesa della socialdemocrazia, sembra esaurita con l'esaurirsi del secolo. Restano i problemi sociali. Lo Stato sociale, grande ed incompiuta conquista del movimento socialista e dei lavoratori, oggi è in discussione. In discussione per il suo costo che produce defi44 cit e crescente pressione fiscale. In discussione anche per la sua qualità. Per salvarlo occorre riformarlo davvero; incominciando con l'eliminare incrostazioni e deviazioni. Mi limito a fare il solo esempio dell'istruzione superiore. Per anni è stata sostanzialmente gratuita ed anche oggi è fornita ad un costo che non ha alcun rapporto con quello reale, sulla base del presupposto sostenuto acriticamente dalle cosiddette forze di sinistra che «bisogna permettere ai figli degli operai di andare all'università». In realtà di figli di operai all'università continuano ad essercene pochi. Più o meno, uno su quattro. Il risultato è che la differenza tra il costo reale dell'istruzione superiore dei figli delle classi medie (con poche eccezioni) è pagato per tre quarti da chi non riesce a mandare i propri figli all'università. È solo un esempio, ma credo che aiuti a capire che non c'è nulla di più iniquo dell'eguaglianza fatta tra diseguali e che è difficile (o addirittura impossibile) fare una politica nuova con una cultura vecchia. 2. I partiti tradizionali sono entrati in una crisi irreversibile. Non solo per la loro anacronistica struttura territorializzata (come le Parrocchie, o l'Arma dei Carabinieri). Non solo per i loro elefantiaci apparati che comportano un costo esorbitante ed inaccettabile della politica. Sono in crisi di identità, che è sempre crisi di strategia, perché cambia il loro ruolo. Sia in rapporto alla prospettiva (ancora incerta e confusa) di riforme istituzionali, ma che dovranno comunque essere orientate a ripristinare visibilmente l'autorità delle istituzioni contro l'invadenza e le prevaricazioni della partitocrazia. Sia in rapporto ai cambiamenti determinati dalla legge elettorale che comportano la necessità di aggregazioni e di nuovi raggruppamenti. 3. Il problema della «dislocazione» socialista nella politica del futuro. Si parla molto in queste settimane di «polo progressista» e «polo moderato», senza che si riesca bene a capire tra chi e soprattutto sulla base di quali programmi si dovrebbero costituire l'uno e l'altro. Intanto si dovrebbe tener presente che solo le riforme istituzionali (che non ci sono ancora) possono bipalarizzare il sistema. Esito che non è invece prodotto dalla sola riforma elettorale. Per la buona ragione che nulla e nessuno può assicurare che in

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