Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 41/42 - giu./lug. 1993

ic)!t BIANCO lXltROSSO Miik•ilid FinedelPsie prospettive delsocialismoitaliano di PierreCamiti ttaviano Del Turco che si cimenta, dopo il O fallimento di Giorgio Benvenuto, nel tentativo generoso e disperato di far sopravvivere, con la tradizione, i valori, la cultura del socialismo riformista, anche la struttura del Partito Socialista Italiano, ha tutta la mia simpatia alla quale, però, non mi sento di poter unire anche la mia speranza. Capisco alcune delle ragioni che presumibilmente l'hanno sollecitato. I torti dei socialisti non possono offuscare i meriti del socialismo, cioè anche di un partito che, nel corso di una vicenda ormai secolare, ha fatto corpo comune con le battaglie di libertà, di democrazia, di progresso di giustizia. La storia socialista non è infatti riducibile ai vergognosi episodi di cronaca giudiziaria che, negli ultimi tempi, hanno gravemente sfigurato la sua immagine. Si comprende quindi la voglia di «provarci ancora». Capisco anche che in politica è sempre più utile la mentalità del dentista che quella dell'urbanista. È meglio far funzionare ciò che c'è, evitando di scaricare le nostre responsabilità nei confronti dell'oggi con la fuga in progetti palingenetici di incerta realizzazione. Oltretutto occorre forse più fantasia, slancio, motivazione ideale a progettare le città possibili che non quelle impossibili. Conoscendo Del Turco, immagino che questo duplice ordine di considerazioni abbin. avuto un forte peso nella sua decisione, ma ci sono altri elementi (a mio modo di vedere determinanti) che avrebbero dovuto indurlo a ritenere che la crisi socialista non era più risolubile con l'elezione di un nuovo segretario in sostituzione di quello dimissionario. Trascuro qui due tra le questioni che hanno indotto Benvenuto ad abbandonare il campo. In primo luogo che il Psi è gravato da un debito im43 ponente ed inspiegabile, ma soprattutto inestinguibile. Secondo, che quel che resta del Partito Socialista è saldamente dominato da un ceto politico autoreferente. In queste condizioni la residua consistenza elettorale tenderà sempre più ad essere il prodotto di clientele che si organizzano, anziché di militanti che resistono. Ma anche a prescindere da questi elementi specifici (che comunque non possono essere colpevolmente ignorati) la gravissima crisi del Partito Socialista è la conseguenza di profondi cambiamenti che possono essere fronteggiati solo con un risoluto aggiornamento della cultura, dei modi, delle forme dell'organizzazione politica dei socialisti. Mi limito a richiamare gli aspetti che considero più rilevanti. 1. I partiti socialisti sono in difficoltà ovunque. Del comunismo non resta nulla di vitale e di utile per noi contemporanei, se non la lezione da appronfondire di una utopia che ha voluto farsi storia. Ma che rimane del socialismo democratico dopo la fine del comunismo? Sicuramente una mirabile vicenda di emancipazione delle classi lavoratrici, condizione fondamentale dello sviluppo delle democrazie occidentali. Ma rimane anche una meno apprezzabile inclinazione a rimuovere le conseguenze delle proprie conquiste economiche e sociali. La socialdemocrazia si è infatti formata ed è cresciuta in un contesto di miseria e di insicurezza economica. Tra l'Ottocento ed il Novecento Londra, capitale dell'impero, ha un terzo di abitanti in condizioni sub-umane. La memoria popolare europea è una sconfinata sceneggiatura in cui la denutrizione è tra gli attori principali. Per molti decenni, in momenti diversi, moltitudi-

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