Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 41/42 - giu./lug. 1993

D!LBIANCO ~ILROSSO era ormai praticamente inaccettabile, a meno di non farsi complici di un atto di morte definitiva dell'esperienza del socialismo italiano. È a partire da questa considerazione che ho deciso di convocare l'Esecutivo il 4 maggio scorso, legando le sorti della segreteria a scelte irrevocabili sulla questione morale e sulla definizione di un percorso di rinnovamento radicale del partito. Non ho minacciato le dimissioni: ho semplicemente deciso che esse non potessero che essere la conseguenza inevitabile del rigetto della linea che proponevo. Ancora una volta non avevo fatto i conti con l'esasperante furbizia di chi non poteva ancora permettersi il lusso di far fuori il segretario del partito. Le proposte sulla questione giudiziaria venivano accettate senza batter ciglio, nella convinzione che rigettarle sarebbe stato piuttosto impopolare. Ma la ritorsione partiva a questo punto sulla linea politica; quella linea era la stessa che era stata approvata all'unanimità il 16 marzo. Riapprovata «nelle sue linee fondamentali» il 4 maggio, questa linea cominciava ad essere sabotata il 5 maggio e poi sempre più vistosamente nei giorni successivi. I gruppi parlamentari cominciavano a schierarsi per il turno unico sulla legge elettorale con un ostentato ribaltamento della linea del Partito: in particolare per quanto riguarda la scelta di imboccare con decisione la strada della formazione di un più vasto raggruppamento progressista nell'ambito di una chiara collocazione a sinistra. Come si poteva pensare che io resistessi un giorno di più di fronte a tanta spregiudicatezza? E che avallassi una tale situazione di scollamento e di diaspora? Non avevo più condizioni da porre perché sapevo che ormai sarebbero state ad un tempo accettate e sabotate. E soprattutto non potevo più accettare che chi tirava i fili di tutto questo se ne stesse tranquillamente defilato. Non c'è fuori da queste mura chi non capisca che una distanza abissale separa oggi la vicenda interna del Partito socialista dai travagli, dalle ansie e dalle speranze della società civile. E che la contesa - rispetto alla quale noi dichiariamo la nostra estraneità - rischia di avvenire intorno alle spoglie di un caro estinto. Voglio sperare che il partito socialista possa sopravvivere ali' abbraccio imbarazzato e saffo36 cante di chi si ostina a considerarlo sua proprietà personale. Da socialisti molto si potrebbe fare per aiutare il Paese ad uscire da una crisi che le bombe di questi giorni tingono di un colore ancora più cupo. C'è bisogno dei valori del socialismo liberale in una sinistra che deve prendere corpo finalmente dalla confluenza di tante esperienze progressiste. C'è bisogno della nostra grande tradizione riformista per affrontare una nuova fase della vita pubblica, con la riforma dello stato sociale, con l'impegno ad avviare - insieme con il cambiamento istituzionale - la modernizzazione della pubblica amministrazione. C'è bisogno del movimento e della cultura socialista per costruire in Italia una solida prospettiva di unità sindacale. Tra qualche mese scopriremo un Paese completamente cambiato ed una geografia politica che di questi cambiamenti non potrà non tenere conto. C'è una grande voglia tra la gente di tornare a contare a dispetto degli apparati e dei gruppi di potere. Lo dimostra il grandioso fenomeno del volontariato e la pratica diffusa della solidarietà. Lo dimostra la vitalità dell'arcipelago ambientalista. Lo dimostrano le nuove forme di impegno e di partecipazione giovanile. Lo dimostra la coralità dell'impegno contro la mafia e contro la criminalità che unisce l'Italia come nient'altro riesce a fare. Cosa dovrei chiedere, pensando a tutto questo, di fronte all'assemblea nazionale del Psi? Che accetti e rispetti le mie dimissioni. Nient'altro da chiedere, nessuna mediazione, nessuna trattativa da fare. Mi sono impegnato, con i compagni a cui tanto debbo, in un lavoro appassionante nel quale ho creduto fino in fondo. Ora guardo al lavoro che mi aspetta, e in cui credo, tra i tanti compagni che in giro per l'Italia mai hanno ammainato l'idealità socialista. Quanto al Psi, a questo Psi, noi sappiamo di aver fatto la nostra parte. Ormai che taluni restino o no nel partito dipende da una sola cosa: dal fatto che vi sia, con il rinnovamento dei gruppi dirigenti, una cesura netta con un passato tanto ingombrante quanto indifendibile. Insomma se noi e molti altri possiamo continuare a stare nel Psi dipende solo da voi.

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