Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 41/42 - giu./lug. 1993

D!LBIANCO ~ILROSSO f+iiiiilit~• Riaperto il dialogo con una minoranza che non aveva ragione di esistere in quanto tale e che anzi poteva mettere a disposizione del lavoro comune energie tra le più preziose, abbiamo potuto eleggere un Presidente del livello e del prestigio di Gino Giugni e con lui porre le basi per una politica di moralizzazione piena ed integrale del Partito. Non è mancato chi ci ha rimproverato di non aver saputo reinserire il Psi nel circuito delle grandi decisioni, ma abbiamo evitato di rispondere che erano altri i tempi quando Berta filava e che, a rischio di non contare molto, dobbiamo ammettere di non riuscire a provare nostalgia per quei tempi. Tre mesi sono pochi, non abbastanza per prendere le misure al più allucinante dei Palazzi del potere. Non abbastanza per capire come la struttura centrale di un Partito del 15 per cento possa essere stata svuotata di ogni funzione politica e ridotta ad un contenitore di debiti e ad una fabbrica di disoccupati. Non sufficienti infine, quei tre mesi, per dare ad una squadra di volenterosi la possibilità di impostare il lavoro con un minimo di calma e di serenità. Sono pochi tre mesi, ma non potevano essere di più. Ci sono bastati per capire quanto pesante fosse il gioco politico che si svolgeva sulla testa e sulla pelle della segreteria. Diciamo meglio: i giochi politici. Perché erano e sono più d'uno. Tutti tesi comunque a lasciare insediati nei punti nevralgici del Partito proprio quei gruppi che avrebbero dovuto lasciare il passo ad una nuova generazione di dirigenti socialisti. La rete di connessione non è facile da smontare, tanto è CarloCarrà Carrozzella (1911) 34 diffusa ed articolata dal centro alla periferia. In un Partito che ha smarrito la sua base i dirigenti finiscono per diventare l'unica «massa» esistente. Combattere contro di essa è come combattere contro i mulini a vento. Fatto sta che aggrappati ad un potere sempre più evanescente ed illusorio, questi gruppi sono così padroni degli organismi dirigenti che sono in grado di contrastare ogni forma di rinnovamento. Essi tollerano la declamazione della linea politica, ma ne impediscono la concreta attuazione. A prevalere è, in fin dei conti, la paralisi e la fiduciosa attesa di tempi migliori. Nel frattempo il Partito va in liquefazione. Dobbiamo capire cos'è oggi questo Partito craxiano senza Craxi. E non pretendo che dalla nostra esperienza traggano beneficio coloro che succederanno a noi nel gestire questa improbabile avventura. Questo gruppo dirigente - con le dovute eccezioni - ha avuto per anni, al riparo di tanta leadership, la sensazione di «possedere» il Partito. Con il criterio della cooptazione ha occupato i suoi organismi ad ogni livello. All'ombra di quella leadership, molte promettenti carriere si sono venute costruendo e con esse una visione politica come gestione sistematica delle aree di potere. Dal centro, questa logica, ha invaso e pervaso la periferia dando vita al singolare fenomeno delle imitazioni successive. Ne è derivato un processo di omologazione dei comportamenti e di alterazione del concetto stesso di militanza che ha progressivamente allentato, fino a reciderli i legami tra Partito e società civile. Negli ~ 'l ' ' ~. !'l!é.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==