Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 41/42 - giu./lug. 1993

D!LBIANCO ~ILROSSO Ni lii Iit-1 Leragionivere dellamiascelta di Giorgio Benvenuto A chi si fosse voluto sottrarre, anche in questa sede, ad una riflessione seria sulla estrema fragilità di questa fase della vita del Paese, il terribile attentato di Firenze non lascia margini di alcun genere, né via di fuga. Ogni giorno di più tocchiamo con mano - e ieri lo abbiamo fatto con il sangue di altre vittime innocenti - quanto grande sia il pericolo al quale è esposta una democrazia che troppo lentamente e con troppe contraddizioni sta affrontando il problema del proprio rinnovamento e del ricambio della classe politica. Abbiamo all'attivo la maturità di un popolo e l'equilibrio di una società civile che reagisce con senso di misura allo sgretolamento del vecchio sistema di potere e cerca di partecipare e di sollecitare il nuovo. Al passivo abbiamo invece un atteggiamento di resistenza ostinata di forze criminali o di poteri occulti che con il crollo del vecchio sistema vedono messe in pericolo le loro coperture, le loro complicità, i loro privilegi. Pensare che queste forze, che sono autenticamente reazionarie, se ne stiano con le mani in mano è davvero ingenuo. Ed è irresponsabile pensare che esse non tentino di approfittare del vuoto di potere - intendo il potere legittimo e rappresentativo - per destabilizzare un Paese che ha scelto la via della trasformazione. Avvertimenti terribili come questi non devono in ogni caso produrre l'effetto di limitare la dialettica politica. Tutti insieme abbiamo però il dovere di respingere la minaccia, di cui quegli avvertimenti sono portatori. Dall'esperienza storica anche recente abbiamo appreso che queste bombe non esplodono mai invano. E che, per quanto esse ci appaiono assurde ed irragionevoli, un qualche effetto di 32 arretramento lo raggiungono sempre. A meno che - come è avvenuto con gli assassini di Falcone, di Borsellino e dei giovani che li scortavano - la reazione della gente non sia insieme lucida e radicale. E non tocchi e coinvolga profondamente la coscienza di un popolo. È chiaro che siamo di fronte a qualcosa di più, e forse di diverso di un attentato di mafia. Siamo di fronte ad una strategia del terrore attuata da forze che vedono in pericolo qualcosa di cui è possibile che a noi sfugga la portata e la dimensione. Forse un impasto di impunità e di privilegi che erano in qualche modo garantiti da quel vecchio impianto statuale che vediamo, giorno dopo giorno, crollare. Forse anche un tentativo estremo e disperato di tenere agganciato il nostro Paese a ciò che residua di vecchie logiche internazionali. Non per tutti il Muro di Berlino è stato abbattuto. Certo oggi la nostra democrazia è quanto mai indifesa. Dobbiamo aver fiducia nel senso dello Stato di questo Governo, oltre che nell'autorevolezza del Presidente della Repubblica. Ma non possiamo non percepire l'intima debolezza politica dell'Esecutivo e l'esigenza che esso trovi un supporto più ampio nel Parlamento. Ma dobbiamo soprattutto contare sulle mille energie della società civile e chiedere ad essa una mobilitazione a tutto campo a sostegno dell'unica grande rivoluzione democratica oggi possibile: il deciso rinnovamento dello Stato e delle sue Istituzioni. In questa situazione un grande ruolo debbono avere i socialisti, ovunque essi si trovino e comunque essi la pensino. Viviamo tutti, io credo, il disagio di questa condizione drammatica. Un disagio che può aiutarci ad essere insieme più severi e più sereni nell'asprezza forse inevitabile del nostro con-

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