Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 41/42 - giu./lug. 1993

{)!LBIANCO ~ILROSSO 1!11PW;JMII volta, il Psi, almeno nelle grandi città, è ridotto alle dimensioni di una lista di pensionati. In cambio, la Lega si afferma come secondo partito italiano, sfonda a Milano il muro del 40 per cento e, al Nord, va al ballottaggio in quasi tutti i comuni. La Rete di Orlando, data in declino dopo il referendum, piazza suoi esponenti in ballottaggio a Milano, Torino e Catania. Risorge dalle sue ceneri il Pds, più per capacità di stringere alleanze che per resistenza elettorale, con l'eccezione delle regioni «rosse», le ultime ancora refrattarie alla questione morale. I Popolari di Segni erodono, ma non spaccano, la Dc, anche se, al contrario degli scudocrociati, riescono a stare nel gioco delle alleanze e ad andare al ballottaggio a Catania come a Torino, a Ravenna come a Pordenone o a Torre del Greco. Fin qui i dati. In attesa, mentre scriviamo, dei ballottaggi, si può cominciare a ragionare su cosa essi significano per l'evoluzione della politica italiana. In primo luogo, la fine della centralità democristiana. La polarizzazione del sistema politico (indotta, per la verità, più dall'elezione diretta dei sindaci che dal sistema elettorale, rimasto sotanzialmente proporzionale nei centri maggiori) ha punito severamente la Dc, ridimensionandola sul piano elettorale fino a ridurla al rango di forza di media grandezza, ma l'ha soprattutto esclusa dalla competizione per i sindaci. La ragione di questo duplice scacco sta nella scelta, da parte del partito di Martinazzoli, di giocare in modo tatticamente contraddittorio rispetto alle regole nuove, cioè «da soli e al centro». Non si è voluto tener presente che il sistema nuovo rende le alleanze che si stringono quasi più importanti dei voti che si prendono e che il centro, in un sistema maggioritario, non è più uno spazio politico autonomamente rappresentabile, ma diventa un'area di consenso contesa tra il polo di destracentro e quello di sinistra-centro. L'elettorato di centro diviene così massimamente importante e altrettanto preziosa diviene, per entrambi gli schieramenti, la presenza al loro interno di personalità ed aree organizzate che possano attrarne i consensi. Ma pretendere di rappresentare il centro come terzo polo, significa o scommettere in un cattivo funzionamento del sistema, oppure illudersi e tradire lo stesso elettorato centrale conducendolo sostanzialmente su un binario morto. Questo è precisamente ciò che ha finito 3 per fare la Dc, pagandone il relativo prezzo con una certa disinvoltura e senza nascondere una certa fiducia che la polarizzazione che si è verificata alle amministrative possa non ripetersi alle politiche, complice un sistema elettorale più confuso e l'assenza di meccanismi di elezione diretta degli esecutivi. Secondo tema proposto dalle elezioni: la Lega. Al Nord è ormai, largamente, quel polo di centro-destra che in Italia mancava. Con le sue ambiguità (il Formentini in doppio petto non è la stessa cosa di Comino, lo Schwarzenegger torinese), che tuttavia risultano arginate proprio dal nuovo sistema: non a caso Formentini vince e Comino perde. Il vero problema della Lega non è quindi quello della sua compatibilità democratica, ma piuttosto quello della sua ristrettezza geografica: sotto il Po, la Lega non c'è. E soprattutto non sembra esserci nessun'altra forza in grado di occupare con successo lo spazio di centro-destra. Per usare un linguaggio un po' «leghista», si potrebbe dire che mentre al Nord sembrano esserci ormai tutte le condizioni per un bipolarismo politico, al Centro-Sud la situazione è ancora acerba e confusa. Trovare un alleato per la Lega nelle regioni sotto la Linea Gotica (Cossiga?) è quindi oggi una delle condizioni per lo sblocco del sistema politico italiano. Terza questione: il futuro della sinistra. Imploso il Psi, la sinistra si presenta oggi come un sistema ternario: al centro il Pds, a sinistra un'ala composita fatta di Rifondazione e Rete, a destra un'ala ancor più frastagliata, formata da quel che resta della sinistra riformista, più Alleanza Democratica e Popolari di Segni. Se si eccettua il caso delle regioni «rosse», dove ha riscoperto un'insperata autosufficienza, il Pds ha fin qui giocato la sua centralità a sinistra in modo ambiguo, talvolta privilegiando l'alleanza con la sinistra estrema, talvolta quella verso il centro. Sarà il ballottaggio a dire l'ultima parola, ma al momento parrebbe confermato che (con l'eccezione di Torino) la sinistra non possa andare al governo da sola, cioè senza un solido ancoraggio nell'area di centro-sinistra. Per il Pds si pone quindi un problema simmetrico a quello della Dc: se non ha senso per il partito di Martinazzoli chiudersi in un'impossibile autosufficienza del centro, così, per il partito di Occhetto, l'unico senso che può avere chiudersi in un'autosufficienza della sinistra è quello di garantirsi una

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