Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 41/42 - giu./lug. 1993

O!LBIANCO "-'Z,. IL ROSSO Miiiiliit+J sce a fare della negoziazione uno strumento utile, ancorchè non unico, per migliorare la qualità dei servizi pubblici e ridurne i costi o la riforma del pubblico impiego sarà fallita in partenza. E cresceranno le posizioni favorevoli a «bloccare» il rinnovo dei contratti. 5. I prossimi mesi dovranno servire a prepara - re una contrattazione nuova che tenga conto dei condizionamenti dei costi e che dimostri di saper promuovere obiettivi di qualità. Alcuni appuntamenti sono già definiti e sono in parte comuni a quelli discussi per il settore privato. Mi riferisco alla ridefinizione dei comparti ed alla precisazione delle regole e dei criteri riguardanti la rappresentatività sindacale. Il decreto 29/1993 ha rinviato ogni scelta, scontando il dissenso esistente fra le maggiori confederazioni. Un rinvio ulteriore sarebbe grave per tutto il movimento sindacale e tanto più nel pubblico impiego, dove la crisi di rappresentatività dei sindacati è particolarmente grave. Allo stesso fine è urgente realizzare il superamento delle forme tradizionali di partecipazione sindacale negli organismi di gestione del pubblico impiego che il decreto 29/1993 ha attuato solo in parte. La crisi di rappresentatività del sindacato nel pubblico impiego è anche un effetto della loro compromissione diffusa negli organismi gestionali che ha ridotto la loro capacità di interpretare i bisogni differenziati, e di per sè non facilmente comprensibili, della loro base. Al sindacato si richiede una maggiore chiarezza di ruoli e di collocazione all'interno degli organi della pubblica amministrazione. Ciò implica escludere il cumulo fra posizioni sindacali e posizioni dirigenziali nelle strutture pubbliche, che è anomalo e che è vietato in altri paesi, sia nell'area privata, sia nell'area pubblica. Questo non significa auspicare una logica di estraneità del sindacato rispetto alle sorti della pubblica amministrazione, nè pensare che siano utili pratiche sindacali meramente rivendicative. Al contrario nel settore pubblico è richiesto forse più che nel privato, che il sindacato integri la propria azione rivendicativa sui vari obiettivi contrattuali, con una strategia partecipativa. Ma deve trattarsi di una strategia partecipativa effet20 tivamente finalizzata a obiettivi positivi per entrambe le parti e per gli utenti e non di una pratica «spartitoria» quale si è finora troppo spesso seguita. 6. I temi che la contrattazione collettiva dovrà affrontare nel merito sono non di dettaglio, ma di grande rilievo. Mi limito a ricordarne alcuni. Un primo obiettivo, come si diceva, è rimuovere quella parte della precedente normativa, di legge e di d.p.r., che negli anni passati ha irri.gidito l'impiego del lavoro pubblico. In secondo luogo si tratta di ripensare l'intero sistema di inquadramento, superando definitivamente, come il decreto 29/1993 permette, la logica delle qualifiche funzionali e delle carriere formali e sperimentando forme realistiche e flessibili di valutazione del lavoro pubblico. Ipotesi, se non modelli di riferimento, esistono sia nel!' esperienza dei settori privati sia nelle proposte valide per alcuni settori pubblici. La tendenza comune prefigurata è di superare la tecnica delle declaratorie rigide e frammentate, prospettando inquadramenti in ampie aree professionali, all'interno delle quali sia possibile realizzare una maggiore flessibilità e polìvalenza del lavoro. Ipotesi del genere per essere utili presuppongono la disponibilità delle amministrazioni pubbliche a rivedere la organizzazione del lavoro in modo tale da rendere effettivamente, e non solo nominalisticamente, più ampio l'impiego della manodopera e da costruire prospettive realistiche di arricchimento professionale e di carriera. Da parte sindacale è necessario che le opportunità aperte da un sistema del genere siano usate per promuovere questo obiettivo e non per riproporre in altro modo forme di automatismo economico (all'interno delle nuove aree). 7. Un terzo tema critico sarà quello delle retribuzioni variabili e dei sistemi premianti. La struttura retributiva nel pubblico impiego è notoriamente irrazionale, appiattita e poco premiante. Non si tratta di opporre meritocrazia a egualitarismo. Si tratta di dare senso anche nel pubblico impiego alle direttive costituzionali dell'art. 36, secondo cui la retribuzione deve essere sufficiente ai bisogni del lavoratore e della sua fami-

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