Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 41/42 - giu./lug. 1993

J).., ISS 1120-7930- SPED.ABB.POST.- GR. III/70% ~lLBIANCO lXILROSSO MENSILEDI DIBATTITOPOLITICO Orasigovernaconlealleanze p di Giorgio Tonini er una volta, gli osservatori della sempre enigmatica politica italiana sono tutti d'accordo: le elezioni del 6 giugno sono state un terremoto. Con buona pace di quelli che dicevano che le regole non contano, è bastato un accenno di maggioritario, trainato dall'elezione diretta dei sindaci, per sconvolgere il quadro politico in modo da far impallidire il 5 aprile di un anno fa. La Dc arretra sotto il 20 per cento, ma soprattutto perde in modo catastrofico la vera battaglia, quella per i sindaci. A sua 41/42 ANNOIV 0 • GIUGNO/LUGL1IO993• L.7.000

Giorgio Tonini Franco Ferrarotti Giorgio Ruffolo Giovanni Gennari Tiziano Treu Carmine Russo Nadia Sgaramella Giorgio Benvenuto Ottaviano Del Turco Pierre Carniti Valdo Spini Giovanni Gennari Franco Archibugi Silvio Ceccato LuigiFrey Gianni Mattioli Bruno Chiarini Agostino Carrino Giovanni Bianchi Paolo Giuntella Pier Angelo Sequeri Giovanni Gennari Roberto Speciale Azelio Fulmini Ettore Rotelli Mario Ferrari IN QUESTO NUMERO EDITORIALE Ora si governa con le alleanze ATTUALITÀ Sulla violenza dei naziskin. Casualità o progetto? Partiti e questione morale. Per uscire dal pantano Cattolici e politica: novità senza regali per nessuno Pubblico impiego: una riforma in cammino Pubblica Amministrazione: e se domani? ... Volontariato e legge regionale campana: al di là del bene del male? Le ragioni vere della mia scelta «Intendo difendere l'autonomia del Psi» Fine del Psi e prospettive dal socialismo italiano Psi: rompere col craxismo. Cercare nuove convergenze Dichiarazioni sindacalisti Fiom-Fisac-Filtea-Cgil DOSSIER Governare il futuro Premessa: i nostri orizzonti, le nostre speranze, i nostri limiti Governo del futuro e concertazione sociale È possibile governare il futuro? Presuntuoso! Le conseguenze della dinamica demografica attesa L'ambiente e il futuro? Tante spine e niente rose? La dinamica di scelte economiche, istituzioni e comportamenti economici Etica, politica e governo del futuro La speranza e la politica: una salutare moderazione Politica e speranza: un binomio lacerato da ricomporre Spunti di antropologia metafisica della speranza Sperare: l'analisi filologica e il mestiere dell'uomo EUROPA E IL MONDO Lo stato dell'impresa pubblica nella prospettiva europea Le imprese pubbliche e il diritto della Cee SCAFFALE Una democrazia per gli italiani Geometrie politiche e costituzionali di fine secolo VITA DELL'ASSOCIAZIONE ReS: perché questo incomprensibile attendismo? Le illustrazioni di questo numero sono riproduzioni di opere futuriste pag. l pag. 5 pag. 11 pag. 14 pag. 18 pag. 22 pag. 26 pag. 32 pag. 37 pag. 43 pag. 46 pag. 47 pag. 54 pag. 56 pag. 65 pag. 67 pag. 69 pag. 72 pag. 74 pag. 77 pag. 78 pag. 81 pag. 83 pag. 85 pag. 87 pag. 89 pag. 91

{)!LBIANCO ~ILROSSO 1!11PW;JMII volta, il Psi, almeno nelle grandi città, è ridotto alle dimensioni di una lista di pensionati. In cambio, la Lega si afferma come secondo partito italiano, sfonda a Milano il muro del 40 per cento e, al Nord, va al ballottaggio in quasi tutti i comuni. La Rete di Orlando, data in declino dopo il referendum, piazza suoi esponenti in ballottaggio a Milano, Torino e Catania. Risorge dalle sue ceneri il Pds, più per capacità di stringere alleanze che per resistenza elettorale, con l'eccezione delle regioni «rosse», le ultime ancora refrattarie alla questione morale. I Popolari di Segni erodono, ma non spaccano, la Dc, anche se, al contrario degli scudocrociati, riescono a stare nel gioco delle alleanze e ad andare al ballottaggio a Catania come a Torino, a Ravenna come a Pordenone o a Torre del Greco. Fin qui i dati. In attesa, mentre scriviamo, dei ballottaggi, si può cominciare a ragionare su cosa essi significano per l'evoluzione della politica italiana. In primo luogo, la fine della centralità democristiana. La polarizzazione del sistema politico (indotta, per la verità, più dall'elezione diretta dei sindaci che dal sistema elettorale, rimasto sotanzialmente proporzionale nei centri maggiori) ha punito severamente la Dc, ridimensionandola sul piano elettorale fino a ridurla al rango di forza di media grandezza, ma l'ha soprattutto esclusa dalla competizione per i sindaci. La ragione di questo duplice scacco sta nella scelta, da parte del partito di Martinazzoli, di giocare in modo tatticamente contraddittorio rispetto alle regole nuove, cioè «da soli e al centro». Non si è voluto tener presente che il sistema nuovo rende le alleanze che si stringono quasi più importanti dei voti che si prendono e che il centro, in un sistema maggioritario, non è più uno spazio politico autonomamente rappresentabile, ma diventa un'area di consenso contesa tra il polo di destracentro e quello di sinistra-centro. L'elettorato di centro diviene così massimamente importante e altrettanto preziosa diviene, per entrambi gli schieramenti, la presenza al loro interno di personalità ed aree organizzate che possano attrarne i consensi. Ma pretendere di rappresentare il centro come terzo polo, significa o scommettere in un cattivo funzionamento del sistema, oppure illudersi e tradire lo stesso elettorato centrale conducendolo sostanzialmente su un binario morto. Questo è precisamente ciò che ha finito 3 per fare la Dc, pagandone il relativo prezzo con una certa disinvoltura e senza nascondere una certa fiducia che la polarizzazione che si è verificata alle amministrative possa non ripetersi alle politiche, complice un sistema elettorale più confuso e l'assenza di meccanismi di elezione diretta degli esecutivi. Secondo tema proposto dalle elezioni: la Lega. Al Nord è ormai, largamente, quel polo di centro-destra che in Italia mancava. Con le sue ambiguità (il Formentini in doppio petto non è la stessa cosa di Comino, lo Schwarzenegger torinese), che tuttavia risultano arginate proprio dal nuovo sistema: non a caso Formentini vince e Comino perde. Il vero problema della Lega non è quindi quello della sua compatibilità democratica, ma piuttosto quello della sua ristrettezza geografica: sotto il Po, la Lega non c'è. E soprattutto non sembra esserci nessun'altra forza in grado di occupare con successo lo spazio di centro-destra. Per usare un linguaggio un po' «leghista», si potrebbe dire che mentre al Nord sembrano esserci ormai tutte le condizioni per un bipolarismo politico, al Centro-Sud la situazione è ancora acerba e confusa. Trovare un alleato per la Lega nelle regioni sotto la Linea Gotica (Cossiga?) è quindi oggi una delle condizioni per lo sblocco del sistema politico italiano. Terza questione: il futuro della sinistra. Imploso il Psi, la sinistra si presenta oggi come un sistema ternario: al centro il Pds, a sinistra un'ala composita fatta di Rifondazione e Rete, a destra un'ala ancor più frastagliata, formata da quel che resta della sinistra riformista, più Alleanza Democratica e Popolari di Segni. Se si eccettua il caso delle regioni «rosse», dove ha riscoperto un'insperata autosufficienza, il Pds ha fin qui giocato la sua centralità a sinistra in modo ambiguo, talvolta privilegiando l'alleanza con la sinistra estrema, talvolta quella verso il centro. Sarà il ballottaggio a dire l'ultima parola, ma al momento parrebbe confermato che (con l'eccezione di Torino) la sinistra non possa andare al governo da sola, cioè senza un solido ancoraggio nell'area di centro-sinistra. Per il Pds si pone quindi un problema simmetrico a quello della Dc: se non ha senso per il partito di Martinazzoli chiudersi in un'impossibile autosufficienza del centro, così, per il partito di Occhetto, l'unico senso che può avere chiudersi in un'autosufficienza della sinistra è quello di garantirsi una

{)!LBIANCO ~ILROSSO •HPN1P At+118 duratura permanenza all'opposizione. Anche Occhetto quindi, come Martinazzoli, deve scegliere: alle elezioni politiche, Segni e Garavini non sono cumulabili. Certo, la responsabilità di far vincere o perdere il polo riformatore non sarà solo di Occhetto. È ugualmente necessario che, guardando verso il centro, il Pds trovi qualcosa di più di quel cumulo di rovine e di quell'insieme di conati che affollano oggi l'area di centro-sinistra. Riorganizzare quest'area in un'Alleanza democratica che sia qualcosa di più e di diverso da un pur Frantisek Kupka I cavalieri (1900) 4 meritorio club di benpensanti è allora la priorità dei riformisti: cattolici, laici, socialisti o ambientalisti che siano. Se l'operazione riuscirà, si potrà negoziare col Pds la costituzione di un polo riformatore forte ed autorevole, capace a sua volta di favorire la nascita di un polo di centrodestra ugualmente affidabile. In caso contrario, qualunque sia la legge elettorale dovremo tenerci ancora a lungo i governi dal centro, sostenuti da traballanti coalizioni. In nome del principio che ha sin qui sempre dominato la politica italiana: meglio tirare a campare che tirare le cuoia.

~li~ B11\NC{) '-X_IL lt()SS() Sullaviolenzadeinaziskin. Casualitàoprogetto? di Franco Ferrarotti L'olocausto e il suo significato estate precoce e calda verso cui ci incam- L I miniamo promette di non risparmiare i colpi. La cronaca si è fatta densa. Ci bombarda, si può dire, ad ogni ora del giorno e della notte con notizie terribili: bombe a Roma e a Firenze, fuoco contro gli «asylanten» e bambine bruciate vive in Germania, fa ripresa della carneficina a Sarajevo, i tre italiani di Brescia trucidati in Bosnia, il massacro di pakistani in Somalia. Il vissuto è più ricco del pensato. È difficile tener testa all'orrore che si è fatto normalità quotidiana. Eppure, bisogna resistere. Non bisogna rinunciare a pensare, a riflettere, a distinguere. Alcuni quotidiani, come «Il Giornale» (del 30 maggio 1993)hanno cominciato a battere la strada della consolazione a buon mercato. Da noi, a Roma e a Milano, le bombe. In Germania, gli incendi. Ogni paese ha i suoi orrori; vien da dire: gli orrori che si merita. No. Questo non è accettabile. L'equazione non tiene. Non è la stessa cosa. Le bombe di Roma e di Firenze restano misteriose, non si sa se attribuirle alla mafia, a schegge impazzite dei servizi deviati o ad una generica ripresa della strategia della tensione. Gli incendi tedeschi sono un'altra cosa. Non c'è in essi nulla di misterioso. Sono attacchi criminali fir5 mati. Scritta sulla sabbia, come le scritte di Gesù di cui parlava il Vangelo, i naziskin hanno lasciato la loro firma, una croce uncinata. Ora, si dirà, come aveva già scritto il «Corriere della Sera» il 21 maggio 1993, «non è tutta colpa dei naziskin». E chi mai lo penserebbe? Ho speso un intero capitolo del mio libro, La tentazione dell'oblio (Laterza), che il superficiale recensore del «Corriere della Sera» ha recensito senza averlo letto, per mostrare con un grado sufficiente di plausibilità che forse, dietro l'apparente casualità, nelle imprese dei naziskin c'è un piano, si cela un progetto. Il mio recensore, Franco Ferraresi, per precostituirsi un alibi, cita poche frasi fuori contesto, fa pensare a quegli incalliti mafiosi che hanno sempre un certificato anti-mafia pronto per ogni evenienza, il che non dovrebbe stupire oltre misura, tenuto conto che viviamo in una situazione culturale in cui non si danno più capi-scuola, ma capi-mafia, più portati a scambiare cattedre che idee. Le due bambine turche bruciate vive a Solingen erano nate in Germania, frequentavano le scuole tedesche, conoscevano e parlavano la lingua tedesca assai meglio di quella turca. Ma non erano considerate cittadine tedesche. Lo jus sanguinis, il diritto di sangue, lo impediva. Il primo ministro Kohl promette di perseguire i responsabili del delitto. Ma la reazione dell'opinione

{)!LBIANCO ~ILROSSO liiiiii•P pubblica tedesca sembra tiepida. Il primo ministro promette anche miglioramenti nella vita dei lavoratori stranieri, dei Gastarbeiter. Promette case, lavoro, anche se si tratterà di case alla periferia, con i letti a castello e i servizi igienici in comune, anche se il lavoro sarà di quelli più faticosi, privi di prestigio, di quelli che i tedeschi ormai rifiutano. Ma dei diritti di cittadinanza non si parla. Del diritto di voto non si fa cenno, neppure in via ipotetica. Il Governo federale ha preparato un nuovo disegno di legge sulla cittadinanza straniera. Questa legge si propone due obiettivi: agevolare l'integrazione dei cittadini stranieri che vivono da molto tempo in Germania e contestualmente limitare l'immigrazione di nuovi contingenti. Il secondo obiettivo è stato raggiunto prima del primo. Per agevolare l'integrazione degli stranieri da molto tempo residenti in Germania, la legge dovrebbe limitare una serie di disposizioni che fino ad oggi hanno ostacolato la naturalizzazione. Attenzione, però: la naturalizzazione non è vista come una via per promuovere l'integraziorte; al contrario, l'acquisizione della cittadinanza tedesca deve costituire il punto d'arrivo di un riuscito processo di integrazione. Lo scopo finale è di accettare gli stranieri solo quando si siano debitamente depurati da ogni elemento allogeno ad evitare qualsiasi rischio di spiacevole contaminazione. L'opinione pubblica tedesca è profondamente imbevuta di questo «razzismo naturale». La ricerca, proprio sui lavoratori turchi in Germania, condotta dal giornalista Gunter Wallraff (dr. Faccia da turco, trad. it. ed. Pironti, Salerno 1986)documenta persuasivamente questa situazione. Il pericolo vero è nel perbenismo della maggioranza silenziosa, che può talvolta anche ritenere che i naziskin stiano esagerando, ma che in fondo pensa che una certa pulizia etnica, per quanto spiacevole, vada fatta, e fatta bene, in fretta, ;:-adicalmente, e senza troppi scrupoli da anime belle. Con la consueta acutezza, Umberto Galimberti la recensito il mio libro La tentazione dell'oblio nel «Sole 24 Ore» di domenica 6 Giugno 1993. A ragione si sofferma nella tragedia del!' odio che è sfociata nell'Olocausto. L'Olocausto: perché? Non se ne può parlare seriamente ai giovani di oggi senza tentare una risposta - una risposta che non si limiti all'emotiva condanna, di regola troppo appassionata e viscerale per non far sospettare che si nasconda qualche cosa di impor6 tante. L'Olocausto non è stato il solo genocidio: le popolazioni andine, i pellerossa, i neri d'America, e, entro certi limiti, anche d'Africa, i Rom, e così via sono stati e sono altrettanti genocidi. Ma l'Olocausto si è meritato la distinzione di essere stato un esperimento scientifico, sistematico, degno di studio come un caso specifico di sociologia dell'organizzazione. Non solo. L'Olocausto non è stato una deviazione, un errore occasionale. Ha avuto luogo in uno dei paesi più «civili»del mondo, con una amministrazione pubblica eccezionale per solerzia, dedizione al lavoro, diligenza, rispetto delle gerarchie e delle norme scritte. Perché, dunque, l'Olocausto? Se i criminali, come pensava Hegel, hanno diritto alla loro pena e all'espiazione - per restaurare l'ordine cosmico - anche le vittime hanno diritto a conoscere le ragioni per cui all'improvviso, senza alcuna colpa personale, sono stati strappati alle loro abitudini, alle loro case, alla cerchia dei parenti e degli amici - in una parola, le ragioni del loro sacrificio. Ma l'Olocausto non riguarda solo vittime e carnefici. Riguarda l'umanità nel suo complesso. Nessuno può chiamarsi fuori. Non ci possono essere osservatori neutrali, bystanders. Di fronte allo sterminio scientifico di massa nessun essere umano può considerarsi estraneo. La stessa idea di Dio è chiamata in causa, almeno quanto la chiama in causa Giobbe caduto in miseria e in disgrazia, seduto sul «trono» del letamaio. Ma ciò che caratterizza l'Olocausto, ciò che ne fa un evento in tutti i sensi straordinario e che lo rende operativamente possibile, è in primo luogo la freddezza scientifica con cui è stato condotto. Non c'erano saccheggi. Non era l'attacco alla città da parte di truppe ostili, come avveniva nell'antichità, con stupri, uccisioni, ferite, ma anche con quelle lotte a corpo a corpo in cui la violenza può a tratti sembrare solo un abbraccio mal calcolato. Nell'Olocausto c'è freddezza, efficienza, organizzazione, Leistung. Le vittime sono numerate, schedate, ordinatamente suddivise. Sul tutto domina una chiara, sicura, limpida coscienza professionale. È gente che fa, e fa bene, il proprio dovere. Ammazza, in modo pulito, senza troppe storie, sine ira ac studio. Ciò è possibile perché gli esseri umani cessano dall'essere tali: caldi, in parte almeno emotivi, quindi imprevedibili. Qui tutto è previsto, catalogato, scontato. Vittime e carnefici sono, da

{)!LBIANCO ~ILROSSO tiiii;ii•M questo punto di vista, sullo stesso piano. per questa ragione, di merito e di metodo, l'Olocausto, nelle società moderne tecnicamente avanzate, potrà ripetersi. Perché non è una sorta di follia collettiva. O non è questo soltanto. E non è neppure una aberrazione episodica. È un esito, forse inevitabile, del tutto logico, che trascende il piano della volontà individuale. Quando gli esseri umani sono ridotti a numeri, cose, cifre, ossia, nel senso più letterale, quando gli esseri umani sono «cosificati», cessa dal valere la distinzione fra la regola formale, tecnica, e la legittimità sostanziale. Bisognerebbe comprendere che le leggi scritte non sono niente, se manca lo «spirito» delle leggi, l'aura che le ispira, il «regime», ossia un insieme di regole e di costume o, meglio, di regole che sono anche costume, etica vissuta. L'oggettualizzazione delle persone è la premessa fondamentale per realizzare l'Olocausto. Questa premessa è ancora oggi all'opera. Non è solo la «banalità del male». È il male della banalità: il nottambulismo del quotidiano che fa scambiare le atrocità più disumane per ordinaria amministrazione. (Cfr. in proposito H. Arendt, La banalità del male, tr. it. Il Mulino, Eichmann a Gerusalemme, la ed. 1964; nuova ed. Feltrinelli, Milano, 1992; Z. Bauman, Modernità e Olocausto, tr. it. Il Mulino, Bologna, 1992; D. Dwork, Children with a Star-]ewis youth in Nazi Germany, Princenton University Press, Princenton, 1991. Ma forse l'opera più sugggestiva in ---------- ----- ----- -==------ ~ ~ G o ---- Jf ---~ Filippo Tommaso Marinetti Parole in libertà (1915) -==------- ... 7 proposito è quella di Hans Jonas, L'idea di Dio dopo Auschwitz, tr. it. Il Melangolo, Genova 1990. È appena necessario ricordare che si pensa qui allo «spirito delle leggi» di Montesquieu, ma anche al grande dialogo platonico Le Leggi, in cui lo straniero d'Atene fa comprendere come non si possano ad libitum decretare leggi, senza tener conto del «brodo sociale primordiale», ossia all'ambiente in cui si pensa che dovranno avere efficacia; in altre parole, legalità formale e legittimità sostanziale, anche se mai si potrà scoprire e stabilire esplicitamente un «diritto naturale», non vanno confuse). Bisogna reagire, con urgenza riscoprire il valore delle differenze, la forza della particolarità, il significato delle minoranze. Che le razze siano diverse è un fatto positivo. Bisogna metterle in grado di unire i loro punti forti e di integrarsi a vicenda, senza snaturarsi, per quanto riguarda i loro «doni» peculiari. È una fortuna, per l'umanità nel suo complesso, che la realtà delle differenti razze umane resti innegabile. A questo proposito, che si torni a parlare e a discutere liberamente e fin spregiudicatamente di razze e di cultura è un fatto altamente positivo. Le «dichiarazioni sulla razza» dell'Unesco, che più sopra abbiamo menzionato, sono perspicue e vanno riportate testualmente per esteso: «Dal punto di vista biologico, la specie Homo sapiens è composta di più gruppi che differiscono gli uni dagli altri per la frequenza di uno o più geni particola- '';.,.,,., ... .:~~~~ ........... \~. {. . ·-., ... lu-"o':.' · -·. . ...........

{) .!J, BIANCO W.ILROSSO Piiiiliii ri ... Una razza, sotto l'aspetto biologico, può dunque definirsi come un gruppo fra quelli che costituiscono la specie Homo sapiens. Questi gruppi possono incrociarsi gli uni con gli altri, ma per causa delle barriere che li hanno più o meno isolati nel passato presentano alcune caratteristiche derivanti dalla loro particolare storia biologica .... Riassumendo, la parola «razza» designa un gruppo o una popolazione caratterizzata da una certa frequenza e distribuzione di geni o caratteri fisici che nel corso del tempo compaiono, variano e spesso scompaiono per effetto di un isolamento dovuto a fattori geografici o culturali .... I gruppi nazionali, religiosi, geografici, linguistici o culturali non coincidono necessariamente con i gruppi razziali. ... Le razze umane sono state classificate, e lo sono ancora, in modi diversi dagli antropologi fisici, ma in questo momento, la maggiore parte di essi è d'accordo nell'assegnare gran parte della specie umana a tre gruppi: mongoloide, negroide, caucasoide». Dichiarazione che, nel suo complesso e nonostante l'autorevolezza della fonte, non sembra oggi più accettabile, Aushwitz non è stato soltanto un incidente di percorso, non è stato solo una momentanea, episodica deviazione. L'Olocausto ci richiama duramente al semplice fatto che la «civiltà europea» non è da intendersi come un risultato raggiunto per sempre, sicuro fur ewig. La ricaduta nella barbarie è sempre possibile. Di fatto, oggi (1992) ciò che avviene nella ex-Jugoslavia, la lotta fratricida (ma c'è guerra che non sia fratricida?) fra serbi croati e mussulmani presenta caratteristiche analoghe allo sterminio tentato dai nazisti. Le campagne per la «pulizia etnica», che già nel termine evocano fantasmi nazistici, hanno riportato ai nostri occhi increduli i campi di concentramento, uo-- mini e donne smagriti dagli occhi infossati e dai corpi piagati dietro il filo spinato, tutto uno spettacolo già visto che sa di Buchenwald e Auschwitz e ricopre tutta l'umanità di vergogna. Non solo: ci ricorda che non ci sono soltanto i ghetti degli altri. Insieme con i Lager nazisti, non va dimenticata quella che era, fino a tempi recentissimi e che continua ad essere, almeno in parte, l'apartheid del Sudafrica, e inoltre la discriminazione di fatto e la segregazione degli afroamericani negli Stati del Sud degli Stati Uniti e nelle grandi città del Nord, le emarginazioni a sfondo razziale a Londra come a Parigi, a 8 Francoforte, a Milano, il razzismo e la violenza anti-minoritaria contro gli «asylanten» e gli immigrati extra-comunitari, ma anche contro i cittadini di paesi economicamente più deboli della Comunità europea, a Dresda, Amburgo, Monaco, Berlino, in città antiche e dal passato civile, come Firenze, Napoli, Milano e Torino, e in villaggi sperduti nella Germania del Nord, come Mòlln, e nell'Italia del Sud, come Villa Literno. La violenza è tornata in Europa, nelle città, nei grandi centri metropolitani, ma anche nelle periferie emarginate e nei piccoli paesi delle regioni rurali, là dove ingenuamente si crede che alberghino solo antiche consuetudini, buon umore, ottima cucina e armonia sociale, ma in cui affondano invece le radici della diffidenza verso lo straniero, l'odio per il diverso, l'antica rabbia distruttrice e i radicati pregiudizi contro l'ebreo astuto e usuraio. In Germania i naziskin hanno ucciso in dieci mesi più persone di quante ne abbia uccise la Rote Armée Fraktion in vent'anni. Gli attacchi dei naziskin sembrano imprese di giovani balordi a caccia di emozioni forti e di occasioni per esibire un coraggio che non hanno. In realtà, a ben considerarli, mostrano una tattica collaudata e una strategia studiata a tavolino: aggressioni notturne, contro edifici incustoditi e in quartieri cittadini periferici oppure in villaggi cui non possa giungere alcun aiuto in tempo utile; simboli e scritte vagamente rivoluzionarie, in realtà legati quasi sempre al passato nazista, ma in modo equivoco, a mezza strada fra il club sportivo e la squadra di boyscout, con alcune eccezioni attentamente calcolate, in cui sono sapientemente mescolati divise paramilitari, giubbotti neri tipo blousons noirs, berretti con visiera e occhiali da sole per mascherare, almeno in parte, il viso e rendere più difficile il riconoscimento nel caso di interventi della polizia; armi improprie, come manganelli o coltelli e lime, ma anche armi da fuoco automatiche e soprattutto pistole lanciarazzi, utili per appiccare incendi a case d'abitazione, con preferenza per le case, abitate dagli stranieri, specialmente turchi e operai di colore, ostelli per profughi, immigrati extra-comunitari, lavoratori che, con ironia inconsapevole, il vocabolario ufficiale indica come «Gast-Arbeiter», lavoratori «ospiti». La tattica e la strategia, insieme con la distribuzione geografica delle aggressioni, che appa-

{)!L BIANCO ~IL ROSSO PiiidMNM Filippo Tommaso Marinetti Parole in libertà (1915) ·ut""o'°":rt ...r--._u.-.1.,......,_, re particolarmente curata, tanto da coprire nel giro di una settimana tutto il paese dal Nord al Sud e dall'Est all'Ovest, sono certamente finanziate e determinate da una regìa centralizzata, in grado non solo di decidere il numero, la qualità e gli obiettivi degli attacchi, ma anche di regolarne l'intensità in modo da ottenere il massimo effetto di visibilità, paura, disordine, dimostrazione della debolezza delle istituzioni democratiche e attesa di un assetto diverso e di una difesa più decisa dei «veri tedeschi». Le spiegazioni correnti delle gesta dei naziskin spiegano poco, quasi nulla. L'ufficialità non sembra aver molto da dire. Si chiamano in causa la disoccupazione giovanile, il disagio, il disorientamento, il bisogno di ideali che oggi appaiono liquefatti. Soprattutto, si chiama in causa una generica «società», come se fosse una chiave esplicativapasse-partout. Ma i problemi sociali non possono essere sommariamente spiegati in base alla «società». La società in quanto tale, è un'astrazione che non spiega nulla. In genere quando si dà la colpa di tutto alla «società» vuol dire che si rinuncia a spiegare, a trovare cause o condizioni veramente determinanti. Quando tutti sono responsabili più nessuno lo è. La «società», come spiegazione, non vale molto. Non si può trasformare in criterio di spiegazione l'oggetto da spiegare, ossia la società violenta. Inoltre, spiegare tutto vuol dire non spiegare niente. I naziskin sono solo 9 '" ;.,y ~t ·- ·, ...... , \: ........ truppe a piedi da gettare allo sbaraglio. Non dovrebbero, di per sé, preoccupare, a parte il danno e le sofferenze che provocano alle cose e alle persone. Sono solo ignoranti e sprovveduti, vittime di un sistema educativo-scolastico che in Europa non ha saputo chiarire né affrontare i problemi del passato prossimo europeo, il fascismo e il nazismo, forse orfani del muro di Berlino e delle dittature della Germania orientale. Questi problemi sono stati nascosti, come vergogne, ai giovani dalla generazione più anziana, che probabilmente ha avuto un minimo di pudore, non ha trovato il coraggio morale di dire ai propri giovani la verità su se stessa e su di loro. Abbiamo già mostrato più sopra che il tipo di cultura e di educazione prevalente in Europa è in ritardo rispetto al mondo che ci aspetta alle soglie del Duemila. Di per sé, i naziskin non sono importanti; sono solo la bassa truppa, i disperati da sobillare e da mandare avanti a sfogarsi dopo averli debitamente ubriacati di birra e di parole d' ordine prive di senso. Ma sarebbe un errore sottovalutarli in nome dell'irrilevanza numerica. Intanto, non si hanno dati sulla loro consistenza. E poi, come massa di manovra, il loro peso non è indifferente. Non sono, comunque, i naziskin che dovrebbero far pensare - e per questa ragione è probabile che i provvedimenti polizieschi repressivi attualmente allo studio in tutti i paesi europei non è detto che funzionino. Ciò che dovrebbe preoccupare è l'indifferenza, la beata

O!LBIANCO ~ILROSSO ATTUALITÀ apatia, con cui sono accolte le loro «bravate» da una grigia, perbenistica, anonima, maggioritaria opinione pubblica. Anche quando storce il naso e trova che «adesso esagerano», è probabile che questa perbenistica opinione pubblica li approvi, come si approva di regola chi ha il coraggio o lo stomaco di fare i lavori sporchi che nessuno vuol fare, ma che ad ogni buon conto vanno fatti. In questo senso, il teppismo criminale dei naziskin, in Germania e nel resto dell'Europa, è politicamente e moralmente significativoe allarmante. Per quanto riguarda la scena politica e sociale tedesca di oggi, è giocoforza riconoscere che i naziskin godono di una base sociale o, più precisamente, di una cassa di risonanza sociale che nelle loro iniziative, anche in quelle criminali, trova una consonanza fondamentale. Questa corrispondenza o consonanza è ciò che è sempre mancata ai terroristi tedeschi. In questo senso, i naziskin di oggi sono più pericolosi dei terroristi di ieri. I naziskin sono il detonatore di una miscela di odio, malamente repressa per anni, che forse sta per raggiungere il punto di rottura, quello dell'esplosione. La Germania non è sola in questa esperienza. In tutta l'Europa, la miscela della paura e dell'odio, del rifiuto del diverso e della discriminazione anti-minoritaria sta oscuramente ribollendo nel profondo della consapevolezza sociale media, esplode a tratti in superficie, ma in misura limitata, come un'infezione epidermica. Dove hanno colpito i naziskin? Le loro aggressioni obbediscono a un piano, anche se ovviamente mancano in proposito prove giuridiche. Si tratta di moltiplicare i focolai dello scontento e della paura perbenistica, di convincere i buoni tedeschi come i buoni italiani e i buoni francesi che i loro «valori», le loro case, le loro abitudini, i loro posti di lavoro, forse addirittura le loro figlie e le loro mogli sono in pericolo. Gli «stranieri» avanzano. Gli ebrei, i sionisti preparano l'attacco alla «fortezza Europa», al suo benessere, alla sua ricchezza. È da questo punto di vista che si può comprendere come la minaccia posta in essere dai gruppi, pur sparuti e numericamente irrilevanti dei naziskin, non può essere seriamente fronteggiata e risolta solo con provvedimenti di polizia o misure legislative. Conta sullo sfascio della situazione politica 10 democratica, sulla disgregazione dei logori partiti usciti dalla Resistenza e sviluppatisi sulle rovine del fascismo e del nazismo, per recuperare le sue perdute fortune politiche. Alla fine, è probabile che la destra perderà il controllo del gioco, se mai l'ha avuto, convinto come sono che i naziskin e in generale la violenza odierna, da quella degli stadi sportivi agli incendi degli ostelli per profughi, sia orchestrata da organizzatori e finanziatori che non conosciamo. La «primitività» apparente dei naziskin non dovrebbe ingannare. Del resto, non solo in Germania e in Francia, ma anche in Italia e in Inghilterra le violenze dilagano a pelle di leopardo, si direbbero un modo di saggiare le capacità di resistenza dei governi democratici e nello stesso tempo una tecnica raffinata per limare i nervi dei borghesi perbenisti. Hitler ha perduto la guerra, si è probabilmente suicidato nel bunker, ma il suo spettro si aggira ancora fra noi. Si direbbe che la memoria abbia fatto naufragio. Razzismo e anti-semitismo tornano a confluire e si rafforzano a vicenda. Ben il trentadue per cento dei tedeschi di oggi trova che gli Ebrei nella Germania nazista hanno avuto solo quello che si sono meritato; il quaranta per cento dei polacchi non vorrebbe un ebreo per vicino; cinque milioni di italiani dichiarano di desiderare che i loro trentacinquemila concittadini ebrei se ne vadano dall'Italia, per non parlare della «pulizia etnica» che si sta conducendo, con zelo eccezionale e omicida, nella ex-Jugoslavia. In Italia vi è stato addirittura chi ha ritenuto che Hitler abbia commesso solo qualche «errore di stile» (forse gli arredamenti delle camere a gas lasciavano a desiderare - ed è giusto che ciò sia rilevato da un italiano, memore della vocazione estetica del suo popolo). Marx una volta ha detto che i fatti storici prima si verificano con tragedia; poi, tornano come farse. Siamo alla farsa. Si pensi, per convincersene, alle straordinarie, per quanto estetizzanti e decadenti, metafore del «Manifesto futurista» di Marinetti e le si metta a confronto con il banale, popolaresco ma gaglioffo, slogan odierno, «La Lega c'è la duro»: un'espressione miserabile del!' ipermaschilismo fascistoide, troppo esibito per non far pensare ad una profonda insicurezza. Forse siamo alla farsa. Ma la farsa può essere mancabra e omicida.

{)!LBIANCO ~ILROSSO f+iiki41Aii Partitie questionemorale: perusciredalpantano di Giorgio Ruffolo p er «questione morale» s'intende un diffuso deterioramento dell'etica pubblica, che si manifesta in tutti i settori della vita collettiva, dai doveri connessi con l'esercizio di pubbliche funzioni alle deontologie professionali; dall'osservanza di regole di concorrenza e di trasparenza nei rapporti di mercato all'imparzialità dei giudici ... È dunque questione che coinvolge tutte le strutture sociali: imprese, amministrazioni, partiti. E, ancor più in profondo, tocca aspetti peculiari della storia del Paese: di un certo suo modo di interpretare l'autonomia della politica come licenza morale. Se ci occupiamo della questione morale solo in relazione ai partiti, non è dunque per indulgere a una visione parziale e fuorviante. È per restringere il tema a quella parte di esso che può essere concretamente oggetto di un'azione politica correttiva e innovatrice. 2. Dobbiamo richiamare, sia pure in termini brevissimi, le ragioni positive della speciale, e per molti versi, eccezionale importanza assunta dai partiti nel nostro Paese: la lotta contro il fascismo e la ricostruzione della democrazia, in un contesto istituzionale compromesso con iì regime, in un'economia sfasciata, in un sistema sociale disgregato. 3. Dobbiamo altrettanto brevemente riepilogare il processo di aumento dell'entropia che l'istituzione-partito ha subìto, nel senso di una progressiva trasmutazione da «filtro»a «tappo» della domanda politica. Le cause di questo processo entropico dei partiti sono molteplici: la congenita debolezza delle istituzioni dello Stato unitario, il sistema eletto11 raie proporzionale, il sistema parlamentare bicamerale, il sistema politico consociativo, l'ipertrofia del dirigismo economico, con l'abnorme crescita dell'impresa pubblica, il dualismo economico sul quale si è fondato un sistema assistenziale delle regioni più arretrate, la crescita di un «welfare» assistenzialistico e per molti aspetti parassitario nei settori della sanità e della previdenza, l'irrigidimento sindacai-corporativo dell'impiego pubblico ... Tutti questi fattori hanno agevolato !'«occupazione abusiva di suolo pubblico» e lo sviluppo delle rendite politiche da parte dei partiti. A loro volta, occupazione abusiva e rendite politiche hanno promosso la proliferazione di un ceto politico parassitario (nomenclatura) e autoreferente, che si alimenta attraverso la cooptazione e si chiude rispetto al ricambio e alla domanda della società. Di qui lo sradicamento sociale e la progressiva delegittimazione politica dei partiti. 4. Particolare e critico aspetto di questo processo è la «corruzione». Il sempre più ampio divario tra la posizione «formale» e il potere reale dei partiti sta alla radice del fenomeno. C'è lo sviluppo parkinsonisano e incontrollato della spesa, ben al di là dell'ipocrita limite del finanziamento pubblico: il quale genera un'esigenza in qualche modo «oggettiva» di finanziamento illegale. C'è la fonte della corruzione aperta dall'occupazione e gestione delle strutture pubbliche, locali e nazionali. C'è l'intreccio e lo scambio politico collusivo con i gruppi imprenditoriali. Tutto questo, dal lato delle occasioni «viziose». Dal lato dell'indebolimento degli impulsi «virtuosi»: il tramonto delle fedi ideologiche, non compensato da grandi ideali politici; anzi,

D!LBIANCO ~ILROSSO Miiiilit+i la perdita di interesse verso programmi e scopi dell'azione politica, e la progressiva conseguente omologazione dei partiti in agenzie di produzione di potere attraverso il potere; la balcanizzazione del potere, con la formazione di grupppi oligopolistici infrapartitici; la diffusione di un professionalismo cinico di con concorrenzialità aggressiva e di pseudo-managerialità sfrontata. 5. Lo sviluppo di questi fenomeni patologici comporta un costo sociale crescente: un'imposta invisibile, che la collettività comincia a percepire, e poi a contestare, quando il costo supera in modo evidente i servizi offerti dal sistema. E soprattutto, quando le difficoltà economiche e finanziarie impediscono di trasferire questi costi al futuro: prima come inflazione, poi come debito pubblico. 6. Occorre analizzare con obiettività le gravi conseguenze che questo processo di degenerazione da una parte e di delegittimazione dall'altra, comporta per la democrazia. Non si deve indulgere a interpretazioni complottistiche, trasversalistiche, misteriche. Non perché non vi siano complotti (la storia del nostro Paese ne è piena). Ma perché l'analisi poliziesca, invece di chiarire, offusca e complica la comprensione delle cose. E poiché i complotti nascono dagli squilibri politici e sociali, e non questi da quelli, è sul risanamento delle fondamenta del sistema che occorre dirigere l'azione riformatrice. Stabilito che i partiti restano le strutture essenziali di mediazione politica di una democrazia moderna, occorre ristabilire la loro funzione produttiva, mediatrice, e ridurre drasticamente la loro disfunzione intermediatrice. In ogni caso, non si può porre al Paese il ricatto: o i partiti o il caos. Questi partiti sono già il caos. E in ogni caso, è un ricatto che non funziona più. 7. L'azione riformista deve esplicarsi su due versanti: quello esterno del contesto «ambientale» e quello interno, del sistema strutturale e funzionale. Qui ci concentreremo avviamento sul secondo, investendo il primo temi vasti e diversi che vanno trattati sul loro terreno specifico. Senza però dimenticare che una riforma strutturale e funzionale dei partiti non può essere realizzata se non in combinazione con altre riforme «conte12 stuali»: in particolare, con la riforma elettorale, che ne semplifica il gioco; con la riforma parlamentare, che snellisce i processi decisionali; con la riforma regionale, che ne consente il decentramento. 8. Il primo e fondamentale obiettivo di un'azione riformatrice dei partiti è il loro «dimagrimento»: una ritirata generale del!' occupazione abusiva del suolo pubblico e una (conseguente) decongestione della nomenclatura. Questa ritirata dei partiti del settore pubblico non comporta la sua «privatizzazione». Lo Stato, inoltre, come accade in tutti i paesi del mondo deve conservare l'ivestitura di certe cariche strategiche. È però necessario che le procedure di tale investitura ne garantiscano la correttezza professionale e morale. Per il resto, è opportuno che il dimagrimento di partiti sia accompagnato da una disinflazione del settore pubblico. Non si tratta, però, solo di «privatizzazione». Si tratta di rendere autonome e il più possibile competitive le gestioni, di definire i programmi, di garantire le regole: indipendentemente dalla «proprietà». 9. La riforma del sistema-partito, della sua struttura e delle sue funzioni, può svolgersi in due modi: nel modo autonomo dell'autoriforma; o attraverso una disciplina legislativa che fissi regole e determini controlli per tutti i partiti. Come l'esperienza dimostra, non si può contare solo sull'autoriforma. Occorre un quadro robusto di regole comuni. Proprio perché i partiti non sono mere assicurazioni private, ma organismi fondamentali di mediazione tra la domanda politica diffusa e le istituzioni, è necessario un quadro normativo adeguato. Il quadro attuale non lo è, a cominciare alla Costituzione. Un primo passo può essere appunto la modifica dell'art. 49 della Costituzione, nel senso a suo tempo suggerito dalla Commissione Bozzi. 10. C'è poi bisogno di una legge-quadro che determini: a) le garanzie fondamentali di correttezza democratica nel tesseramento, nelle procedure interne relative al dibattito e alla formazione degli organi direttivi, alla convocazione delle assemblee e dei congressi;

{)l.LBIANCO ~ILROSSO iiiki+il•N b) le regole per la selezione dei candidati alle elezioni e per il loro comportamento nelle campagne elettorali. Ci si può basare, per questi due punti, sulle proposte già avanzate da autorevoli esperti e parlamentari: come quelle suggerite da Gianfranco Pasquino; c) le norme relative alla gestione patrimoniale o finanziaria. Anche qui, esistono proposte importanti, che hanno già ottenuto vaste adesioni, come quella presentata a suo tempo alla Camera da Valdo Spini. Si dovrebbero anche approfondire i suggerimenti relativi: a) alla limitazione del finanziamento pubblico a certe fondamentali funzioni dei partiti; essenzialmente, alle spese relative alle campagne elettorali; b) alla possibilità che il finanziamento pubblico sia concesso nella forma di contributo agli interessi su prestiti emessi dai partiti stessi; c) alla istituzione di un Organo di Vigilanza, costituito da persone designate da un'Autorità super partes (Presidente della Repubblica?) e incaricato di controllare la corretta applicazione della legge-quadro. 11. All'interno della legge-quadro, necessariamente e opportunamente costruita su principi e regole generali sta ai singoli partiti di definire, autonomamente, la loro particolare e specifica configurazione statutaria. Su questo punto, il termine di riferimento concreto dell'autoriforma riguarda la nuova aggregazione politica che ci si propone di promuovere tra tutte le forze democratiche e riformiste della sinistra. Paul Joostens Auto (1916) 13 12. Tra i punti da approfondire in proposito, i seguenti meritano particolare attenzione: a) la membership. Dovrebbe essere esaminata, in relazione all'obiettivo di una forma-partito aperta e non burocratica, la prospettiva di articolare la base del partito in tre forme: l'affiliazione individuale; la federazione di enti collettivi; la rappresentanza istituzionale (degli eletti in Parlamento e nelle Regioni). Tale struttura, come avviene in altri partiti della sinistra europea, comporta l'attribuzione di pesi specifici alle diverse rappresentanze. b) l'organizzazione delle campagne elettorali. Dovrebbe essere considerata l'introduzione di istituti ben noti e collaudati in altri paesi, come le «primarie», che consentano di sottoporre la scelta dei candidati a un collaudo di consenso e di trasparenza; c) l'innovazione del «contratto politico». Il contratto politico è un impegno formale, non una serie di promesse generiche, assunto dal partito verso certe istanze rappresentative della società: sindacati, cooperative, associazioni, gruppi organizzati di cittadini in campagne ad hoc; d) norme specifiche di incompatibilità e di temporaneità delle cariche, dirette a restringere al minimo il contingente professionale di funzionari del partito (peraltro indispensabile e selezionato sulla base di una seria formazioneprofessionale) e di assicurare la «circolazionedelle élites»; e) le norme specifiche riguardanti la deontologia del partito. Non «L'imitazione di Cristo». Solo, quei principi generali di etica pubblica, di legalità formale e di sostanziale correttezza che l'appartenenza a un partito popolare comporta per i suoi iscritti e per i suoi dirigenti.

J}!LBIANCO ~IL ROSSO ti i lf;i Mi tt Cattolicie politica:novitàsenza regalipernessuno di Giovanni Gennari attuale momento politico è quello di uno «stato nascente di massa». Sia sul piano elettorale che su quello istituzionale la situazione è del tutto nuova. L' Nel contesto di questa novità un posto particolare lo occupa quello che una volta veniva chiamato «mondo cattolico». La sua realtà è davvero in movimento. La Chiesa italiana Non è capitato spesso, in passato, che i vescovi manifestassero chiaramente di avere pareri molto diversi, sulla concretizzazione della presenza politica dei cattolici italiani. Oggi capita, al punto che nessuno, neppure chi anche di recente aveva cercato anche con i denti di difendere l'unità politica dei cattolici, intesa come adesione alla Dc, osere~be riproporla come tale. Le divergenze politiche tra i vescovi sono venute alla luce, e il meccanismo elettorale nuovo ha evidenziato che talora nelle competizioni elettorali non ci sarà un candidato di dichiarata matrice cattolica. É successo a Milano e Torino, ora, e succederà sempre più spesso, salvo grossi e imprevedibili fatti nuovi. É un fatto nuovo, con buona pace di eminenti uomini di Chiesa che fino alla fine hanno cercato di salvare il passato: le precisazioni imbarazzate, le smentite, le precisazioni non fanno altro che evidenziare ancor più il fatto. La Democrazia cristiana Non è neppure capitato spesso che il segretario della Dc, interpellato dai giornalisti sul pensiero dei Cei, se la cavi rispondendo con un po' di durezza che dai vescovi ci si attende che ci parlino di Dio, e non che pretendano di insegna14 re il mestiere ai politici. Oggi capita anche questo, e MinoMartinazzoli lo ha fatto. Dopo Tangentopoli, dopo la rottura di Orlando, dopo quella di Segni, dopo i fermenti della «Cosa bianca» di Rosy Bindi e Gorrieri, dopo la «Costituente della Strada», dopo le vicende che hanno toccato Giulio Andreotti, - che pure molto ha significato per il mondo cattolico uffi. ciale per quasi mezzo secolo-, e che hanno fatto vedere alla gente, in modo aperto, una faccia di corruzione diffusa anche, se non soprattutto, nel partito di ispirazione cristiana, dopo la proposta esplicita, e accolta quasi da tutti, di cambiare nome al partito dello Scudo crociato, dopo i tentativi, più o meno autentici, e più o meno riusciti e ancora in atto, di rinnovare il partito e renderlo di nuovo presentabile, nessun vescovo italiano potrebbe ufficialmente dichiarare che è dovere cristiano assoluto votare Dc, questa Dc, con questo peso di responsabilità sul passato, con questa confusione, e questo presente del tutto indeciso. Da un passato, anche molto recente, in cui l'accento veniva posto quasi solo sull'unità, e dicendo questo si intendeva proprio unità politicopartitica, e non si faceva nulla per nasconderlo, si è passati ad un esplicito riconoscimento del fatto del pluralismo, e l'accento viene posto sull'unità dei valori, della ispirazione fondamentale, del modello etico e ideale di uomo e di società che conseguono alla professione cristiana. Un ambito in cui la mediazione della coscienza dei laici cattolici, in autentica indipendenza, recupera tutto il suo ruolo. Questa, del resto, almeno dal Concilio in poi, era dottrina ufficiale della Chiesa, ma valeva dapertutto fuorché in Italia. Oggi vale anche qui. Nessuno oserebbe riproporre i richiami ai cattolici come prima del 5

{)!L BIANCO ~ILROSSO PiiidMIM Paul Joostens Treno (1917) aprile e del 13 novembre 1992, e neppure come timidamente è successo anche prima delle recenti elezioni comunali. Tutti hanno visto quale sorte quegli autorevoli richiami abbiano avuto. É un punto di partenza nuovo. Si è chiusa, chiaramente, una stagione politica che era iniziata nel 1945-1947, quando all'interno della Santa Sede prevalse la scelta di Montini, per la Dc degasperiana, contro la scelta di Tardini, per un impegno dei cattolici in partiti diversi. Gli altri. Una «laicità» che manca ancora Ma con queste premesse qualcuno potrebbe pensare che il problema della presenza politica dei cattolici in Italia è archiviato, e che d'ora in poi tutti i partiti, vecchi e nuovi, partono alla pari, nei confronti del voto di quei cattolici che ritengono che la loro fede abbia anche delle conseguenze sul piano dell'impegno politico. Esiste, e continuerà ad avere conseguenze, il problema della coerenza delle scelte politiche con l'ispirazione cristiana, e il luogo delle decisioni non sarà più, certo, la rispondenza a consigli ecclesiastici, che non verranno più, almeno apertamente. I vescovi non diranno più, come in passato, di votare Dc, certo. I movimenti cattolici di base saranno impegnati soprattutto nel sociale, o nel prepolitico, per usare una espressione di Bartolomeo Sorge che andò di moda qualche anno fa, 15 · \ ' -----"'\ -..• -, --rma occorre chiedersi per chi, oggettivamente, un cattolico italiano che tale sia e tale voglia essere non solo anagraficamente potrà optare al momento del voto. Certo: conteranno soprattutto le persone, ma restano anche i valori, i programmi, le scelte di fondo. Recentemente su «L'Unita» un intelligente articolo di Paola Gaiotti De Biase si chiedeva se la Chiesa italiana fosse in condizioni di convivere con il pluralismo dei cattolici. Domanda giusta, ma che copre solo metà del cielo. Occorre, per abbracciare tutto il reale, chiedersi anche se i partiti italiani siano in condizione di convivere con ciò che per i cattolici è irrinunciabile ... Chi scrive ha grossi e motivati dubbi che i partiti laici italiani, per intendersi tutti gli altri, rispetto alla Dc, siano in condizioni tali, oggi, da poter capire, e accogliere, quanto di ispirazione cristiana irrinunciabile ci sia nei cattolici italiani degni di questo nome. Basterà constatare ciò che è successo a Giuliano Amato, ad Achille Occhetto e più recentemente a Giorgio Benvenuto, allora ancora segretario del Psi, solo per aver accennato laicamente alla considerazione del valore della vita umana a proposito dell'aborto: sono stati zittiti, insolentiti, insultati all'interno degli stessi loro partiti. E va ricordato che nessuno dei tre metteva in questione la scelta politica della Legge 194. Si trattava solo di prendere in considerazione le perplessità che sul fatto abortivo non posso-

{)!LBIANCO a-L, ILROSSO kiikiil•M no che derivare dalla ispirazione cristiana di fronte ad una applicazione della legge 194 che, per opposti e miopi ideologismi, non ha fatto funzionare sul serio la prevenzione, ha generato crociate e scontri, ha ancora tanti punti da chiarire, tanti passi da fare, tanto dolore e tanti drammi da affrontare ... L'ideologismo laico, di ogni tipo, ancora prevalente in tutti o quasi i vecchi partiti italiani, la rozzezza del!'approccio alla tematica religiosa, presente nella Lega e in altri movimenti nuovi, la non comprensione della autentica laicità della ispirazione cristiana, sono i più grandi alleati, ancora oggi, della unità politica, di fatto, dei cattolici italiani. Eallora? Siamo alla stagione dei «Se» Dove potrebbe trovare una casa politico-partitica dignitosa, oggi, un cattolico italiano convinto e degno di questo nome? A parole gli altri partiti si dicono pronti ad accogliere i cattolici delusi dalla Dc, ma nei fatti, nei programmi, nella realtà degli uomini, della cultura che esprimono, delle scelte che fanno giorno per giorno pare siano del tutto indisponibili a questa accoglienza. Ecco perché ho detto che al titolo della Gaiotti, relativo alla Chiesa cattolica, che ha avuto ed ha il suo da fare per accettare il pluralismo politico reale presente tra i cattolici italiani, e che lo ha dovuto riconoscere dalla dura, - e su questo versnte davvero benedetta, lezione dei numeri -, occorreva aggiungere un altro interrogativo: saranno mai capaci gli altri partiti, vecchi e nuovi, di convivere laicamente con la ispirazione cristiana irrinunciabile dei cattolici italiani, e di farla convivere con le diverse ispirazioni che per storia e per recenti acquisizioni hanno accolta al loro interno? Dicono tutti che le ideologie sono morte, ma un laicismo di bassa lega, un rifiuto di tutto ciò che sa di religioso, o addirittura di eticamente cristiano, è ancora diffuso largamente nei partiti italiani cosiddetti laici, incluso il Pds. Ecco perché, oggi come oggi, guardando il variopinto panorama politico italiano, pensando al futuro della cosiddetta questione cattolica, nei termini del tutto nuovi in cui si presenta, la parola più importante sia una sola: se. Si tratta cioè di vedere come a questo punto si muoveranno i partiti italiani, tutti, Dc in testa. 16 É infatti evidente che non si può pensare che la storia si cancelli di colpo. La Dc mantiene una specie di primogenitura che è difficile negare. Gli occhi del mondo cattolico nel suo complesso sono puntati in modo speciale sul suo presente. Sono molti certo, i cattolici italiani davvero tali che nei decenni passati hanno visto in anticipo quello che oggi pare tutti vedano, e cioè i tradimenti, la controtestimonianza e gli ostacoli che dal legame Dc-Chiesa venivano alla stessa credibilità della fede e al cammino della società italiana, ma sono anche molti coloro che fino ad oggi si sono rivolti alla Dc, magari «turandosi il naso», in mancanza di meglio. - Ciò vuol dire che il primo se dei cattolici italiani, oggi, va detto nei confronti della Dc. Se nella Dc avverrà davvero e in tempi non biblici un rinnovamento radicale, che faccia pulizia non solo di nome e di facciata, ma di programmi, di persone, di prassi, se gli uomini rinnovatori non cederanno a personalismi indebiti, se le energie pulite non saranno disperse, se Martinazzoli, in una parola, riuscirà nella impresa che ha iniziato, allora il futuro di una Dc davvero rinnovata sarà diverso, da questo punto di vista, da quello degli altri partiti. Non è una contraddizione: una Dc rinnovata sul serio, nel nome, nelle persone, nei programmi concreti, avrebbe tutte le carte in regola per continuare, o addirittura per cominciare, ad essere partito credibile per chi ispira la sua vita alla fede cristiana non integrista, ma neppure ridotta a pura astrattezza. Tanti cattolici finora non democristiani per ragioni di coscienza, costretti o a non votare o a votare con parecchi problemi per partiti diversi, potrebbero ripensare alla loro scelta politico partitica. Una Dc, o come si dovrà chiamare la cosa, laicamente ispirata alla fede cristiana, avrebbe buone chances politiche, nel deserto odierno della politica devastata da Tangentopoli e dintorni. Viene in mente, con un po' di ironia, una riflessione di Carlo Levi del I giugno 1948, mentre in casa cattolica si litigava tra De Gasperi e Gedda, il primo difendeva l'indipendenza del partito dalla invadenza clericale: «un giorno o l'altro la Democrazia cristiana diventerà l'unico partito laico italiano». In mezzo c'è, come detto un se: grosso, certamente, ma non irreale.

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