{)!LBIANCO ~ILROSSO vece per una parte non piccola delle giovani generazioni del Nord del paese) essi furono autori o quanto meno spettatori e partecipi di quel rifiorire di dibattiti e di esperienze rinnovatrici, e di speranze in un'Italia nuova, di cui parlavo prima. A Napoli si concentrò l'azione dei ricostituiti partiti antifascisti. A Napoli risiedevano Benedetto Croce e gli uomini a lui più legati. A Napoli sbarcò, reduce da un lungo esilio, Palmiro Togliatti. Napoli non fu solo, in quegli anni, la città descritta da Curzio Malaparte in La pelle, ma anche un crogiuolo di fermenti culturali e politici nuovi, una sede animatissima di tentativi generosi di dar vita a nuove organizzazioni, a nuove attività politiche e culturali. Pur in un quadro generale caratterizzato da condizioni materiali tristissime, e da una sordità e diffidenza assai larghe, e di massa, verso le novità politiche che si annunciavano o che molti patrocinavano, Napoli esercitò davvero, allora, una funzione di capitale politica e culturale, sia pure sulla base di impulsi assai diversi fra loro. In questa atmosfera maturò, per me e per molti altri della mia generazione, quella che Giorgio Amendola avrebbe chiamato la «scelta di vita»: e fu (ma su questo tornerò) una scelta essenzialmente di carattere democratico e antifascista. Con un importante elemento aggiuntivo, però (tanto importante da diventarne parte essenziale): una volontà di operare per la soluzione della questione meridionale, che il fascismo aveva proclamato risolta, e in questo quadro per costruire un avvenire diverso e moderno per la città di Napoli e per i napoletani. Una scelta, dunque, essenzialmente antifascistica e meridionalistica. Questa volontà di impegnarsi sui temi della rinascita del Mezzogiorno, e su quelli più particolari (ma non meno drammatici e complicati) di Napoli, con uno sforzo anche di carattere culturale, per trasformare ed elevare la plebe di questa città - ignorante, sanfedista, retriva - e farla diventare popolo cosciente e responsabile, fu quella che ci spinse alle milizia politica, intesa allora come missione morale e civile, e anche come dovere di una persona pensante: e fu la molla che ci indusse a una polemica aspra (e a voltè ingiusta) contro quei nostri coetanei che non intendevano rinunciare agli svaghi e alle distrazioni proprie della nostra età (e tipiche anche di alcune categorie sociali) e che a un certo 58 punto andarono via da una città in cui non riuscivano a espandersi le possibilità di lavoro intellettuale e professionale. E fu anche il motivo che mi indusse, dopo una breve permanenza a Milano dal 1947 al 1949 dove fece l'ingegnere, a tornare a Napoli e a dedicarmi, sia pure (in un primo momento) in forme particolari, alla attività politica. Debbo aggiungere, però, per onore della verità, che una spinta potentissima ad orientarci in un certo modo ci venne dall'Unione Sovietica guidata da Stalin. Questo punto non può essere sottaciuto. Su di esso deve concentrarsi, anzi, una grande attenzione, se si vuole capire bene l'itinerario politico e culturale dei comunisti della mia generazione. Ma anche qui la radice di tutto va ricercata nelle turbinose, drammatiche vicende della lotta antifascista, e del «periodo di ferro e fuoco» (sono parole di Togliatti) che l'Europa attraversò. Non riesco, nemmeno oggi, a dimenticare l'angoscia che invase il mio animo di fronte alla minaccia, che sembrava incontrastabile, di Hitler e delle armate naziste. Avevo 16 anni quando i tedeschi, dopo aver ingoiato l'Austria, la Cecoslovacchia, la Polonia, arrivarono a Parigi. E poi la Norvegia, la Danimarca, la Jugoslavia e la Grecia. E poi la marcia fin sotto Mosca. E lì erano i sovietici, era Stalin a fermarli, e a riaccendere le nostre speranze. Certo, la Germania nazista fu sconfitta da una grande coalizione di paesi democratici e anche da una larghissima mobilitazione popolare in molti paesi (la Jugoslavia, la Francia, l'Italia). La sorte del fascismo fu segnata quando Franklin Delano Roosevelt e i democratici nordamericani riuscirono a far scendere in campo, contro la Germania e i suoi alleati, il loro potentissimo paese. Ma il primo «alt» a Hitler e alla Germania nazista fu dato dall'Unione Sovietica. Si trattò in verità, di un sentimento generale di ammirazione e di gratitudine. Aspettavamo ansiosi i comunicati del quartier generale di Stalin. Ricordo Vittorio De Caprariis che, eccitatissimo, ci portava notizie, ogni pomeriggio, di quei bollettini nella piccola libreria in cui ci vedevamo, a Napoli, vicino a Piazza del Gesù: né sono riuscito mai a capire come facesse ad averle, quali radio ascoltasse per sapere, prima di noi, i fatti di Russia, e prima che sentissimo, la sera, a volte insieme, Radio Londra. Questo influì, in misura grande, sulle nostre
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