D!LBIANCO ~ILROSSO 111P11 H• MJ.~111NP◄ ct 1~• I solo con la necessità di una riflessione assai critica o anche di cambiamenti radicali e perfino di rotture rispetto al proprio passato, ma con l'opportunità di sbarazzarsi di questo passato come di cosa inutile, ingombrante, dannosa. La cosa si spiega con il fatto innegabile che gli avvenimenti drammatici in atto segnalano una crisi profonda, l'esaurimento di spinte ideali e politiche che furono alla base delle scelte di epoche passate, la difficoltà di trovare vie nuove. Io credo che a questa tentazione sia necessario resistere. In primo luogo perché in un mondo che definiamo «interdipendente» non è possibile separare un discorso dall'altro, e non vedere come la crisi profondissima di ciò che si è chiamato il «socialismo reale» sia solo una parte, pur rilevante, di problemi più complessivi del mondo contemporaneo che esigono, per la loro soluzione, la collaborazione di tutti. In altre parole, questa crisi sconvolgente del «socialismo reale» non libera né assolve quello che viene chiamato «mondo capitalistico» dalle sue contraddizioni, dai suoi mali, dalle sue ingiustizie e storture. Considero una pura sciocchezza l'affermazione di Francis Fukuyama (nel suo saggio «The end of history») secondo la quale «con la fine della guerra fredda e l'avvento di Gorbaciov, l'Occidente liberale ha ormai vinto la sua plurisecolare guerra ideologica: siamo dunque a quel punto di fine della Storia, di supremazia dello spirito, ipotizzato da Hegel». Per quel che riguarda il 'Pci, siamo impegnati, come è noto, nella nascita di una nuova formazione politica. Il rinnovamento che ci proponiamo di operare è dunque radicale. Ma esso non può basarsi sopra un vuoto di memoria storica, anzi sul rinnegamento di essa. Condivido le affermazioni che Biagio De Giovanni ha fatto nell'introduzione al suo libro (La nottola di Minerva, Editori Riuniti, 1989), dove dice che il Pci «ha rappresentato, nel quarantennio, una garanzia per la storia d'Italia, una riserva di idee di sensibilità di passioni che hanno costruito azione e cultura politica e che hanno segnato l'identità della storia di un Paese», per cui il rinnovamento e anche il cambiamento più radicale debbono poter trovare «un filo di continuità ... nella gelosa conservazione della sua serietà, nella gelosa attenzione per una idea di politica che sa guardare lontano perché intrisa di storia, per una stabilità intellettuale che non deve significare con56 servazione stantia di ciò che è morto ma relazione con i processi che durano e comprensione della vita sostanziale di una società». In altre parole, mantenere chiara la consapevolezza di ciò che si è stati e della funzione che si è riusciti a svolgere, è la condizione per lo stesso rinnovamento audace e radicale della propria azione e fisionomia, ed è anche una prova di serietà. Ciò deve valere anche, modestamente, per ciascuno di noi. Un esponente dell'attuale gruppo dirigente del Pci affermò alcuni mesi fa, di appartenere a «una generazione incolpevole». L'affermazione mi colpì molto. E mi colpì soprattutto perché la congiunsi a un'altra considerazione (questa, in verità, ripetuta più volte) secondo cui il passato, appunto, del movimento comunista è soltanto «un cumulo di macerie», e che oggi non resta da fare altro che trarne un giudizio conclusivo di «fallimento storico». C'è effettivamente di che riflettere per i comunisti della mia generazione. E c'è da chiedersi, con assoluta sincerità, di quali «colpe» noi siamo responsabili (o corresponsabili), e se risponde a qualche verità che il nostro impegno politico, civile e culturale di alcuni decenni abbia prodotto soltanto macerie, nel nostro paese e nel mondo. A queste cose venivo pensando, e alla necessità di una risposta argomentata, quando mi capitò, tempo fa, di rileggere un famoso libretto di Benedetto Croce ristampato nelle edizioni Adelphi (Contributoallacriticadi me stesso). Questa rilettura rafforzò in me il proposito di dedicarmi, con una qualche organicità, a una riflessione sulla mia vita. Non certo - sia ben chiaro - per scrivere una mia biografia che, in quanto tale, non interesserebbe nessuno, ma per condurre una riflessione sopra fatti ed esperienze che hanno costituito la sostanza del mio impegno politico e culturale, ma che possono essere considerati comuni a molti della generazione cui appartengono. In altri termini, intendo raccontare episodi, circostanze, avvenimenti di cui sono stato partecipe, traendo da essi lo spunto per fare alcuni ragionamenti più generali circa il modo come molti della mia generazione hanno fatto la loro parte. Certo, col senno di poi, ma senza presunzione o jattanze, e anche senza abiure e sconfessioni postume. Si tratta di una riflessione sopra la mia esperienza politica. Non parlerò, cioè, delle questioni che riguardano la mia vita
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