Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 40 - maggio 1993

~li~ BIANCO l.XILROSSO SCAFFALE «Francesco»: uomo,profeta,poeta D avanti a un romanzo sul santo d'Assisi, prima ancora di leggerlo, ti sorgono immediate alcune domande. La prima: se occorre ancora una volta fare ricorso alla sua conosciuta biografia, segnata da eventi ormai mitici o mitizzati (la dissipata vita borghese, la spoliazione materiale e fisica a San Rufino; il matrimonio con la povertà; l'ossessione della regola religiosa e il cedimento alla Chiesa; Chiara, le stimmate, la morte). Vicende note, anche fastidiosamente note, per i rimandi e le reiterazioni religione, romanzate, cinematografiche. Siamo ancora malconci per l'edizione francescana di Liliana Cavani con un certo Mickey Rourke. E un'altra domanda ancora: se il lettore non religioso, non credente, o comunque laico, ha ancora qualcosa da conoscere, pensare, approfondire su Francesco il Santo. E se, ancora oggi, alla soglie del 2000, si possa utilizzare proprio questa parola, «santo» - Mario Bertin, nel suo «Francesco», non la usa mai - e per quale santità. E, infine, una domanda da porre a se stessi, cosiddetti progressisti di sinistra: se è ammissibidi Aurelio Grimaldi le, settecento anni dopo, confrontarsi ancora con la povertà: in un pianeta abitato ad Occidente da un miliardo di persone ricchissime, e da altri 4 miliardi alle prese con la fame. Mario Bertin sceglie il linguaggio misurato, classico, in terza persona. «Dio» è scritto anche con la d minuscola, e diventa spesso, solamente, «dio». Non ci sono visioni estatiche o effluvi di sanità: Francesco è umano, terribilmente umano, mai fintamente umano né fintamente santo. Non abbiamo letto, in questo libro, elencazioni di illuminazioni e doni soprannaturali: anche l'episodio delle stimmate diventa dolore, paura, segno improvviso. Gioia da tacere. È una pagina bellissima: «Francesco sfiorò questo confine e stramazzò con la faccia contro la terra. Restò là senza vita e non seppe mai per quanto tempo. Nel fondo del pozzo orrido. Aveva le braccia spalancate e pareva un misero passero colpito dal fulmine». Non vi abbiamo trovato santità ma tanto male di vivere, e la fatica di superarlo, che prende tutti allo stesso modo e in maniera diversa ciascuno cerca di sciogliere; poi la mediazione, la sconfitta, l'Istituzione; che anche in questo libro appare incomprensibile e 53 irritante; che abbassa la purezza del «santo»e solleva il tormento dell'uomo. E, alla fine, la morte riparatrice: come muore un uomo che ha fallito con gli altri e può salvarsi solo nella solitudine della natura e di pochi, pochissimi, veri amici. Già nelle primissime pagine, quando battibecca col padre sull'opportunità di partecipare alla guerra contro Perugia, Francesco attacca l'Istituzione: «La Chiesa è sempre stata dalla parte dei nobili». Nel viaggio a Roma, alla basilica: «Era un andirivieni incessante e indaffarato di cardinali, vescovi, prelati e preti. Parlottavano, si indignavano, ridevano, discutevano. Discutevano, si indignavano, ridevano avvolti nei lunghi mantelli rossi e viola fatti apposta per nascondere i loro amori. [... ] E la gente entrava come un fiume, sempre uguale sempre indifferente. E leccava, accarezzava, baciava, sbavava. Deponeva con l'obolo i propri peccati. Leccava, baciava, sbavava, comprava l'indulgenza plenaria. Entrava e confessava i propri peccati. Confessava di avere ucciso, di avere squartato, di avere rubato e fornicato. Con donne con bambini. Confessava e con l'imposizione della verga sulla spalla otte-

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