Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 40 - maggio 1993

via. Dalla bocca dei suoi leaders, grandi piccoli e medi, non uscì più pubblicamente alcuna parola destinata ad orientare simpatizzanti, elettori ed anche gli stessi avversari sui grandi problemi della vita associata che pure si addensavano gravidi di interrogativi sul mondo. La tattica prevalse insomma sulla strategia, ed eccellenti tatticì si rivelarono i grandi commis d'Etat democratici cristiani (primo fra tutti l'esperto Giulio Andreotli) quando si trovarono ad esercitare il potere e a prendere decisioni in settori vitali della vita nazionale ed internazionale. In una tale condizione, favorita anche da una singolare congiuntura internazionale, in cui la crisi sempre più evidente dei due modelli del comunismo si accompagnava all'affermazione, negli Stati Unili e in Gran Bretagna del «capitalismo rampante», sembrò ai dirigenti della Democrazia cristiana che si susseguirono nella gestione del potere (Piccoli, De Mila, Forlani, Andreotti) che la sola via percorribile fosse quella dell'accrescimento continuo del benessere secondo un metodo però sensibilmente diverso da quello percorso in altri paesi (specialmente in quelli anglosassoni) per raggiungere lo stesso obiettivo. Si pensò di valorizzare le risorse del paese (in primo luogo quelle di un turismQ che sembrava inesauribile) senza sacrificare nessuna delle conquiste che i lavoratori, i pensionali, le donne e gli studenti avevano ottenuto nel periodo della contestazione e del compromesso storico (diritto allo studio, assistenza medica ed ospedaliera gratuita, pensioni assicurate a tutti). Da questa politica derivò una spirale di aspettazioni crescenti che furono soddisfatte solo con il carico sempre crescente di un debito pubblico che diventava sempre più insostenibile. Non c'è bisogno di dire che una tale politica valeva esclusivamente per i contenuti economici che soddisfaceva, non più per il bene comune che operava. La politica come struttura si affermava dunque come mediazione degli interessi che coinvolgeva. Si sa che la politica ridotta a mediazione di D.!J, BIANCO ~ILROSSO ••11 ~-m•a;J interessi è molto pericolosa, non solo per la maggiore facilità di corruzione, sempre in agguato, in simile contesto, ma anche e soprattutto per la possibilità di insurrezione e di protesta per gli interessi meno coinvolti e meno soddisfatti. Inoltre, un tale sistema non poteva più mantenere al centro della vita politica la Democrazia cristiana neppure dal punto di vista del puro potere, perché chances maggiori aveva da questo punto di vista (ed ebbe effettivamente) il Partito socialista perché meno affetto da remore morali e perché poteva esercitare un più efficace raccordo tra le forze di destra e le forze di sinistra. Poiché tutte le forze politiche erano coinvolte in queste operazioni, parve che il sistema di potere (che ormai non poteva neppure più definirsi centrista, data la crisi del comunismo che modificò ogni dato) fosse indistruttibile. Nessun sistema politico è però privo di fessure e di varchi, tanto meno quello costruito sulla spirale degli interessi e delle mediazioni crescenti: tanto meno lo era quello italiano, che, dopo aver tentato di continuare a coniugare le conquiste sociali con le conquiste del «capitalismo rampante», dovette far fronte alle spese crescenti con un carico fiscale sempre crescente per di più affidato ad una burocrazia pervasiva e non più accomodante, ed ad una legislazione selvaggia, la cui proliferazione rendeva possibile qualsiasi operazione, cui il popolo italiano non era mai stato abituato. Questo «giro di vite» fu una delle principali ragioni del risultato elettorale delle elezioni del 5 aprile 1992, in cui la crisi della Democrazia cristiana si evidenziò con la spaccatura del suo elettorato settentrionale, ormai attirato dalle suggestioni autonomistiche della Lega. Due altri varchi, assai più efficaci che le esternazioni del presidente della Repubblica Cossiga, e di esse forse più imprevedibili, furono l'intervento politico dei magistrati da una parte e la presa di posizione antisistema quasi unanime dei giornalisti e degli intellettuali dall'altra. Di per sé l'intervento politico così esteso e capillare dei magistrati sulle operazioni di mediazione 46 politica è un elemento distruttivo del sistema, se non altro perché squilibra a favore del potere giudiziario l'equilibrio dei poteri dello Staio. A mio parere però in questo intervento vi è di più. Lo sappiamo tutti quanto vi può essere di moralistico, cioè di strumentale, in questi interventi: tuttavia non v'è migliore omaggio di quello che l'ipocrisia tributa alla virtù. In questo senso, l'espressione politica maggioritaria del mondo cattolico è colpita alla radice della propria contraddìzione: cioè viene colpita proprio nel momento in cui la superstrutturalità della politica rispetto ai suoi valori fondanti dimostra tutta la sua validità. In altre parole, una struttura politica conta non per le operazioni che compie, bensì per la qualità del suo rapporto con l'opzione culturale che la fonda: quello che è sempre stato il punto focale della dottrina sociale cattolica è stato dunque confermato. Ebbene, proprio in nome di una malintesa laicità, questo punto centrale della dottrina sociale cattolica, cui per origine storica la Democrazia cristiana aveva l'elementare dovere di riferirsi, è stato abbandonato da essa, che ha sposato invece una realpolitik che non appartiene affatto alla sua tradizione, la quale invece, sia pure in termini culturalmente molto incerti e approssimativi, è stata ripresa da altre forze. Nell'attuale crisi religiosa e culturale del mondo occidentale, infatti, si intravvede come punto fermo ciò che fu sempre affermato dai cattolici che si sono dedicati alla politica: dovere essere cioè i valori e i fini della politica non dissimili da quelli della morale (e non di una qualsiasi morale, ma da una morale ben precisa, che deriva da una concezione religiosa, che nella nostra Europa non può essere che quella cristiana). Un'eventuale ripresa del partito della Democrazia cristiana non può dunque avvenire che sulla base di questa precisa consapevolezza che non è neppure una novità, alla luce della lunga campagna contro l'autonomia della politica a suo tempo sostenuta da un filone che partiva dal Machiavelli.

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