Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 40 - maggio 1993

D!LBIANCO ~ILROSSO 111 •}.'"SJ • M;J Dc:unaderivapoliticae ideale. O sirinnovao è finita Q uando Aldo Moro, dopo le elezioni politiche del 1976, che avevano dato alla Democrazia cristiana il cospicuo consenso di oltre quattordici milioni di italiani, propose il «compromesso storico» ad Enrico Berlinguer, che per conto del Pci aveva raccolto oltre dodici milioni di voti, compiva l'ultimo atto politico adeguato alle tradizioni politiche democratico-cristiane. Esso si riferiva in particolar modo alla concenzione superstrutturale della vita politica rispetto non all'economia, ma ad un'opzione culturale preliminare capace di fondarla, concezione tipica della stessa presenza dei cattolici impegnati nella politica. Nello stesso tempo, il presidente del partito lanciava anche un'ancora di salvataggio a quel Partito comunista che, al di là delle clamorose affermazioni elettorali e politiche, soffriva anch'esso di una crisi di identità. Da tempo il segretario del Partito comunista italiano sapeva di non poter più riferirsi né al modello sovietico né a quello cinese del comunismo: il primo, con Breznev, sembrava irrimediabilmente congelato in una specie di anchilosamento burocratico, tanto da strappare a Berlinguer l'ammissione che ormai la spinta propulsiva della rivoluzione d'ottobre si fosse ormai esaurita; il secondo, sia con Mao, sia con il dopo-Mao, sembrava comunque troppo lontano dalle tradizioni industrialistiche della storia del movimento operaio italiano ed europeo. È vero che Berlinguer aveva lanciato la sfida di Danilo Veneruso del cosiddetto «eurocomunismo», che intendeva essere una variante rispetto sia alla socialdemocrazia che non aveva buona udienza presso la tradizione comunista italiana, sia al modello bolscevico della rivoluzione d'ottobre: ma è anche vero che la proposta, dopo un effimero entusiasmo, era stata lasciata cadere da alcuni partiti comunisti dell'Occidente europeo, soprattutto dal partito comunista francese, più che mai arroccato attorno ad un sempre più improbabile operaismo. La proposta di Moro, dietro al quale c'era anche parte della Chiesa, tra cui lo stesso Paolo VI e il card. Agostino Casaroli, non mancava di penetrare in un terreno minato, in cui l'accordo era reso arduo dalla contrapposizione frontale delle due diverse tradizioni, quella religiosa del cristianesimo e quella materialistico-alea del marx-leninismo. Ma non si poteva neppure negare che le esigenze profonde, dalle quali era sorto e si era radicalo il comunismo, erano comprensibili soltanto in un terreno arato dal cristianesimo: questa ulteriore constatazione poteva giovare in un momento di crisi, quando il comunismo italiano cercava radici in un terreno ormai diverso da quello del marx-leninismo e della dialettica materialistica. D'altra parte, la posizione della Chiesa postconciliare non consentiva di portare il discorso su un terreno diverso da quello della laicità, dimensione che andava comunque rispettata. Del «compromesso storico» furono consumati soltanto i preliminari: per varie ragioni non riuscì ad andare oltre un timido inizio. Si sa quale grave portata abbia avuto an45 che a questo proposito l'assassinio dello stesso Moro (9 maggio 1978): esso è però da considerare più un effetto che una causa, nel senso che documentava la forza delle opposizioni che venivano levate conto l'intera operazione sia all'interno dei rispettivi partiti, sia dagli schieramenti culturali internazionali che continuavano a condizionare la vita politica italiana. Furono soprattutto questi, specie dopo la fine del neo-rooseveltismo di Carter e l'inizio del «capitalismo selvaggio di Ronald Reagan, a segnare la fine del fragile e precario esperimento. Non si può neppure tacere però ·con quanta gioia gruppi consistenti dei due partiti, impersonati dalla tradizione marx-leninista nel Partito comunista e da quella atlantico-moderata nella Democrazia cristiana, salutassero la fine di quell'esperimento. Dire che la Democrazia cristiana tornasse al passato sic et simpliciter non corrisponderebbe però al vero. Priva ormai di ogni possibilità di riferimento superstrutturale, essa si trovò ridotta alla sola struttura, destinata ad esercitare il potere come tale. Dall'inizio degli anni ottanta, dopo la quasi simultanea scomparsa di Aldo Moro e di Benigno Zaccagnini dalla vita politica, la Democrazia cristiana si trovò a gestire il potere in modo che fosse proibito ogni riferimenlo che andasse al di là dei contenuti, puramente materiali, della politica esercitata. Da quella data, i pochissimi manifesti attaccati nei muri dal partilo contenevano soltanto opinioni contingenti del partito sulla politica dei porti, sull'opportunità di collocare qui o là le discariche e così

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