a produrre novità istituzionali, ma segnalò uno stacco tra le nuove generazioni e quelle che avevano portato a una espansione diversa dei consumi e l'affermarsi di nuovi modi di vita. La Dc non colse la novità (non si interpretò il perché le maggiori ebollizioni avvenivano nelle scuole alte e basse) e si fece sorprendere dai pro- {)!LBIANCO ~ILROSSO ••Xfl§§j•H;I cessi di secolarizzazione e di laicizza- · zione, nei quali movimenti antichi ~ .-.-.- sembravano ancora capaci di adeguarsi alla complessità della società moderna: forse a causa dell'illusione data dalla gestione di un potere che pareva solido nel modo di formarsi e di articolarsi ai vertici delle strutture statali. Nello stesso periodo pareva che in Europa arrivasse l'ora delle socialdemocrazie. In realtà queste ultime, nella misura in cui rimanevano legate ad antiche premesse classiste e ad una contrapposizione al capitalismo superata nelle sue forme «canoniche», erano già datate e destinate a subire le conseguenze di un esaurimento della prospettiva socialista in generale, quale fiducia in un rinnovamento della qualità della politica e della vita, legando tutto a una trasformazione delle strutture economiche ed istituzionali. Ciò sboccò in un esito pragmatista che ha prodotto una crisi che doveva rivelarsi nel fronte della cosiddetta sinistra nel suo insieme. La somma delle difficoltà incontrate da tutti ha portato a una situazione di stallo dove la governabilità ha finito per essere un valore a se stante, con le conseguenze che oggi scontiamo. La progressione delle difficoltà ha fatto sì che dapprima si puntasse a una ricostruzione della politica attraverso le riforme istituzionali, per giungere al punto attuale in cui la storia politica finisce per essere ridotta addirittura alla storia dei sistemi elettorali, scambiando il mezzo con il fine. Ciò ha portato ad attribuire un valore eccessivo ai meccanismi, mentre si è perso di vista che una politica si regge se si riesce a proporre una condizione nuova, una nuova tensione civile, in cui i punti di trazione sono da un lato il consenso e le sue motivazioni culturali e di visibile utilità sociale e dall'altro il fine costituito da programmi di breve e lungo termine. Stava trionfando per tutti - era il solo legato ricevuto e accettalo dal 1968 - il principio del fondatore della socialdemocrazia tedesca, Bernstein, secondo cui «il movimento è tutto, il fine nulla». L'ossessione della governabilità ha stravolto le necessità vere, i nuovi fini. Nel quadro già confuso si è inserita poi la questione morale, la fine del bipolarismo (almeno di quello noto nell'ultimo cinquantennio), la caduta delle motivazioni che avevano dato vita a una forma di ragion di stato che ha fatto perdere di vista quel che implicava l'innovazione tecnologica che produceva novità al di fuori dei programmi politici, la trasformazione dei bisogni, la crisi dello Stato assistenziale, l'affermazione dei «partiti» occulti, il movimento migratorio internazionale che poneva i problemi di una nuova cittadinanza fondata sulla parità dei diritti. La Dc ha cercato di porsi sulla strada giusta, ma senza un impegno severo in queste nuove condizioni. Si deve riconoscere che la relazione del prof. Sergio Cotta a Lucca, nel convegno ricordato, non fu compresa, perché apparve al persistente ideologismo an39 che cattolico una specie di fuga verso la tecnocrazia. Questa era una tendenza reale che avrebbe avuto un governo di indirizzo che invece è mancato. La questione di fondo che rimane è se in tanti cambiamenti la Dc abbia ancora una giustificazione storica e politica. La risposta può essere data solo se si assume che una sincera unità non partitica viene prima di darsi un partito. In sostanza il mondo cattolico dovrebbe riproporsi come «movimento cattolico» animato da una specie (da intendere analogicamente) di Opera dei Congressi - dal basso - che riuscisse a perfezionare di continuo i termini di una presenza che si giustifichi non più come difesa di un fronte, ma come affermazione di una visione della vita nelle decisioni collettive. Nelle condizioni nuove di pluralismo un partito solo non esaurisce tutto l'arco delle risposte possibili, ma può costituire un baricentro pratico magari maggioritario fra i cattolici, ma senza pretese di monopolio. Concretamente tutto questo significa che non ci si può basare su una specie di rilevazione sociologica delle attese dei cattolici, quanto piuttosto nel1'accettare una fase di transizione che è di dibattito, in cui l'impegno della Dc può essere quello di ricomporsi, intorno a un'ipotesi che non può essere di meccanica continuità o discontinuità, ma nella capacità di esame sul da farsi. Ciò vale perché sul mercato non viene offerta un'alternativa anche se, ad esempio, la Lega si pone come secondo partito di cattolici; stando in un punto basso della tradizione. La Dc rimane un'ipotesi valida a patto che riesca a venir fuori dal magma delle proposte talora persino strampalate che suscita la crisi attuale. C'è una questione di uomini che non può rimanere in sottordine. Qui finisce questa confusa riflessione possibile per porsi un interrogativo finale: quanto conta la ricostruzione di una classe dirigente che deve sortire da una condizione difensiva a una propositiva? E mentre il segnalatore della riserva lampeggia rosso?
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