Dice Martinazzoli che finalmente la Dc è stata liberata dalla condanna di governare e non c'è dubbio che la troppo lunga pratica di governo all'interno di coalizioni spesso difficili, ha logorato il partito nel suo tessuto ed ha consolidato la gestione del potere, i calcoli correntizi, i giochi delle convenienze, favorendo la stagnazione di una classe politica. E proprio la coscienza, che oggi va diffondendosi, della necessità, invece, di rispettare i limiti di durata nell'esercizio di un potere, lascia intravvedere la consapevolezza del rischio reale che comporta per l'uomo, per i gruppi, per i partili, l'identificarsinel potere. Una delle conseguenze è stata la interruzione, negli ultimi venti anni, del processo di acculturazione specifica, che pure la Democrazia cristiana aveva messo in atto dall'inizio della sua storia: quel far cultura che alimentava la circolazione delle idee, che diventava formazione politica e che tendeva soprattutto alla ricerca dei modi e dei metodi attraverso i quali realizzare l'incrocio tra principio esigente e necessaria concretezza della proposta politica, amministrativa, istituzionale da mediare ogni volta nella sempre più vivace dialettica tra le diverse forze. Interrotto questo processo, lasciate le strade della ricerca e della formazione, sono andati appannandosi i criteri che all'inizio avevano presieduto la selezione della classe dirigente; si è avuta una caduta progressiva della tensione ideale, a favore di un pragmatismo poco giustificabile in un partito laico che intendeva misurarsi con i valori del personalismo, del popolarismoe della solidarietà. Ha dominato la forza dei numeri per quel che essi erano, trascurando la considerazione su come si fossero formali. E i riferimenti, piuttosto che nella creatività, nella progettazione e nel servizio sono stati individuali semplicemente nei detentori delle tessere. È venuta spesso a mancare la esemplarità e si sono riprodotti soltanto esempi di basso profilo. Adesso si tratta per noi democristiani di essere «altro»da questo che negli ultimianni siamo stati. {)l.LBIANCO Oil, ILROSSO • n•J.13 i a ;J 31 Essere «altro» significa per noi, ha ragione Martinazzoli, ritornare a Sturzo, alla sua laicità densa della forza di una verità, che è la ragione del nostro stare in politica. Sturzo cercava un partito che interpretasse l'uomo-cittadino e il popolo-comunità. Qualcosa di molto diverso dall'idea dell'individuo-cittadino e delle masse popolari. L'uomo-cittadino e la comunità-popolare che si riconoscono nello Stato, che a sua volta li riconosce soggetti delle istituzioni che essi concorrono a formare e sulle quali essi sono chiamati ad esercitare il controllo. Bisogna dire che proprio su questo piano si poteva rivelare la affinità tra cattolici e socialisti e quindi si poteva trovare la giustificazione del binomioforte della coalizione Dc-Psi. Ma poi, quando si sono affrontate le questioni che vanno a toccare il midollo della concezione dell'uomo, si è scoperto troppo spesso il prevalere del pregiudizio. E si è parlato di laicità della politica come di un assoluto, come necessaria contrapposizione di un supposto integralismo dei cattolici. In realtà si è rinunciato a scavare a fondo, a ricercare quello che sarebbe stato meglio per la persona e per la società civile. Il cattolico non poteva imporre la sua regola morale, certamente. Doveva e deve solo affermarla con la sua testimonianza di vita privata e pubblica. Ma dall'altra parte si rinunciava a capire cosa potesse significare oggi «modernità» e ci si appiattiva sulla annosa esperienza di altri Stati democratici, quando questi stavano già esplorando vie nuove di sostegno alla famiglia, alla procreazione responsabile etc. Oggi vien fatto di porsi la domanda se sia solo utopia un partito di cattolici, testimoni e insieme propositivi e creativi. Il dubbio c'è. Ma allora sorgono alcuni quesiti. Quale soluzione ci può essere, ad esempio, alla enorme questione, scoppiata pressoché in tutti i continenti, della convivenza civile tra popoli di razze, etnie, religioni diverse? Convivenza intesa come diritto a sopravvivere alla fame come diritto ad autodeterminarsi, come diritto alla pace? Anche la minaccia delle ar-
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