{)!L BIANCO '-"' ILROSSO • 11•~•1Ièl ;J LaDcdevetornaraellesue radicicristiano-popolari è un filo teso tra per- e sona e persona e tra # 1e persone, i gruppi le istituzioni. Ed è il filo di una incertezza così acuta e a tratti persino angosciosa che sembra tagliare la voglia di progettare il futuro. Incertezza e confusione: è questo che oggi ci accomuna al di là della nostre diversità, al di là persino delle differenti ragioni che stanno alla base della nostra inquietudine. E tuttavia quando questa cresce dentro di noi fino a farci soffrire, allora credo che essa porti con sé un seme che può germogliare. Anzitutto il seme della umiliazione, della percezione del limite che il potere deve rispettare e quindi del bisogno di mettersi .in ascolto degli altri, di confrontarsi senza pregiudizi, di cercare gli itinerari per uscire dalla crisi, di capire con chi e fin dove ci sonopercorsi da fare insieme. E poi il seme duro della consapevolezza delle nostre colpe: nostre come partito (e parlo della Democrazia cristiana per quanto mi riguarda) e nostre come cattolici. A me brucia nell'uno e nell'altro caso, rispettivamente la colpa e il peccato dell'incoerenza. Il riconoscersi cattolici dovrebbe significare un impegno, oltre che di testimonianza personale e collettiva, anche e soprattutto di partecipazione al dibattilo culturale e sociale, di sollecitazione costante e gratuita ai politici per risposte concrete agli interrogativi ed ai bisogni dei cittadini, di condivisione - nella preghiera - della fatica dei politici. di Alessandra Codazzi Il riconoscersi democristiani avrebbe dovuto significare l'impegno costante e gratuito di elaborare proposte politiche che portassero il segno: quel segno specifico che deriva dal sapere e dal capire che le domande del cittadino, se si formano intorno ad un diritto o ad un disagio o ad una esigenza, hanno pur sempre una radice nell'uomo. Ed è intorno a quella radice che si può ritrovare la ragion d'essere di un partito democratico cristiano. Dopo le stagioni dell'arroganza quindi, questa stagione, potrebbe apparire meno buia. E tuttavia queste sono ancora solo parole, mentre davanti a noi stanno interrogativi duri. Uno, ad esempio, corrisponde a «il che fare» per riportare il Paese a livelli competitivi sul piano della ricerca, della produzione, dell'organizzazione del lavoro. Qundo le famiglie debbono misurarsi con la cassa integrazione, con la inoccupazione dei giovani, con la disoccupazione, quando i lavoratori cominciano a vedere intaccati i diritti acquisiti, la paura del domani può accendere la miccia di una «rabbia» oggi democraticamente espressa e avviare processi pericolosi per uno sviluppo progressista. Ma il rilancio di tale sviluppo ha bisogno del sostegno di un equilibrio politico che garantisca la governabilità, anche ai fini di una programmazione economica che faccia i conti con la unione dei mercati europei e con la dinamica del mercato in generale. È soprattutto la necessità assoluta di assicurare al Paese un grado alto di governabilità, quella che ha indotto la scelta del maggioritario rispetto al si30 sterna proporzionale, che pure (come dimostrano anche le recenti riflessioni dei politologi francesi e inglesi), potrebbe meglio corrispondere alla complessità delle società più moderne ed avanzate. L'altra domanda che si avanza da più parti è se sia attuale un partilo che si ispira ai principi cristiani, in una società ampiamente secolarizzata; in un'epoca nella quale, sempre più, si tende a sostenere che l'essere cristiani è una condizione dello spirito che non ha nulla a che vedere con la politica; in un tempo nel quale la caduta del muro di Berlino sembra aver restituito libertà di scelta politica in primo luogo ai cattolici. Il fatto è che è andata consolidandosi una pseudocultura politica per la quale la ragion d'essere della Democrazia cristiana si riconduceva soprattutto alla necessità di riequilibrare il potere rappresentato da quel grande partito di massa che era il Pci. In un certo senso quindi vi è stata, durante tutti questi anni, da parte della «intelligenza» che sovrintendeva i partili di minori dimensioni, una strumentalizzazione della Dc quale argine che permetteva il fluire dei diversi orientamenti politici (che fossero di lunga tradizione o di più recente formazione). Forse, c'è una responsabilità anche della Dc nel consolidarsi di questa pseudo-cultura, nel senso che, nel confronto elettorale, ha usato spesso la semplificazione del ruolo anticomunista, forte della chiara indisponibilità di gran parte del popolo ad accettare il socialismo reale.
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