Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 40 - maggio 1993

LaDc rifà Centro Ormai a me sembra chiaro: Martinazzoli, ma anche l'ala protesa ad un «più radicale rinnovamento» della Dc, ripropongono una collocazione del partilo coerente con la migliore tradizione democristiana. I pilastri sono due e si integrano e sostengono a vicenda: rifiuto del bipolarismo e scelta attiva per un sistema almeno tripolare; collocazione al centro e rifiuto di una rappresentazione esplicita della dialettica conservazione-progresso. Non c'è niente che indigna di più un democristiano autentico che la richiesta di una scelta di campo. Martinazzoli e Rosy Bindi reagiscono, su questo versante, allo stesso modo dei notabili storici. E non sbagliano, dal loro punto di vista: accreditare l'alternativa conservazione progresso significa mandare in frantumi il ruolo di mediazione sociale sempre realizzato dalla Dc al suo interno e, soprattutto, avviare un processo al termine del quale c'è la divisione non dei cattolici - già abbastanza dispersi in più formazioni politiche - ma di questa concretissima Dc, fatta di cattolici e di laici, di moderati e progressisti acquattati sotto la dicitura di «popolari». Le altre scelte sono conseguenti. Ricambio graduale dei politici inquisiti, libertà di coscienza per chi è costretto a rilasciare o negare un «passi» ai giudici nessun invito ad accettare la magistratura ordinaria. Propensione per il sistema maggioritario ad un turno, senza favorire alcuna possibilità di intesa tra le forze politiche. Silenzio sui contenuti. {)Il, BIANCO a.L.ILROSSO 11111 --W IM ;J E si candida a governare per altri decenni In questa riscoperta del Centro, da parte democristiana, c'è del geniale. La Dc, nel dare un contributo importante sia alla stabilizzazione istituzionale del Paese, sia al suo risanamento 29 morale ed economico, inventa un sistema nel quale un forte centro rende assai improbabile la dialettica destrasinistra, e si predispone a governare scegliendo secondo i tempi e le necessità. Qualcosa del genere si è già vista: ma qui si gioca alla grande. Non è detto che l'intento riesca. Sono condizionanti le riforme elettorali e istituzionali che si andranno a realizzare. Ma è anche decisiva la qualità della politica che svilupperanno le forze progressiste, fuori e dentro la Dc. Davvero la dialettica conservazione-progresso è cosa del passato? Certo, se ancora una volta viene ridotta al conflitto capitale-lavoro. No, se assume i mille volti dell'uomo moderno, se è tesa a ridisegnare i percorsi delle libertà individuali e collettive. No se fa propri i processi di liberazione dal bisogno economico, ma anche dalle paure e dal rischio di solitudine dei tempi dello sviluppo. No se acquista peso la solidarietà come misura del vivere civile e ricostituente di una società fatta in misura eccessiva da segmenti e corporazioni. Su questa sensibilità, la tradizione dei partiti storici della sinistra è piuttosto modesta. E tale resterà senza l'apporto, non di singoli cattolici, ma di una area cattolica che si collochi strutturalmente nell'area progressista. L'idea di una «Costituente dei cattolici-progressisti» non sarebbe male. Potrebbe dare, allo schieramento di sinistra, una «valenza» culturale e organizzativa altrimenti impensabile. Ma proprio per questo lo scontro non consente più zone d'ambiguità. Forse Ermanno Gorrieri, Giovanni Bianchi, e altri con loro, presto dovranno decidere.

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